Le grandi aziende italiane lottano contro barriere burocratiche e fiscali che ne frenano la crescita e l’innovazione. Parallelamente, il fenomeno del "nanismo imprenditoriale" e la persistente difficoltà nel reperire manodopera qualificata rappresentano ostacoli che impediscono una crescita sostanziale delle piccole imprese e la nascita di nuovi big player nel mercato.
In questo contesto, la proposta di un salario minimo emerge come una soluzione semplicistica che rischia di impattare negativamente le imprese, da un lato, e risultare inefficace per il miglioramento della condizione salariale dei lavoratori italiani, dall’altro.
Le Barriere Burocratiche e Fiscali
Le grandi aziende italiane (e non solo) sono costrette a navigare un labirinto burocratico che ostacola la loro competitività internazionale. Le lunghe e complicate procedure amministrative non solo rallentano l'operatività aziendale, ma scoraggiano anche gli investimenti esteri.
Il sistema fiscale italiano, caratterizzato da una complessità normativa elevata e da un carico impositivo pesante, rappresenta un ulteriore freno. La Tax Compliance Index dell’OCSE colloca l’Italia tra i paesi con i più alti costi di conformità fiscale, rendendo il sistema particolarmente oneroso per le imprese: ciò obbliga le aziende a destinare risorse significative alla gestione fiscale, risorse che potrebbero altrimenti essere investite in innovazione e crescita.
Infine, l’incertezza e l’eccessiva lunghezza dei processi giudiziari, specie in conflitti inter-partes aziende-istituzioni affrontati per colmare delle distorsioni del sistema fiscale italiano, impiegano ingenti risorse economiche sottraendole agli investimenti.
Il Nanismo Imprenditoriale e il Protezionismo
Un aspetto cruciale della stagnazione economica italiana è il fenomeno delle "imprese nane" – piccole e medie imprese che rimangono intenzionalmente di dimensioni ridotte. Questo nanismo è incentivato da politiche fiscali e protezionistiche che, se da un lato offrono agevolazioni fiscali alle piccole imprese, dall’altro scoraggiano la crescita e l'espansione.
Le agevolazioni fiscali per le piccole imprese, quali il regime forfettario, sono concepite al fine di favorire l’imprenditorialità, ma di fatto incentivano le aziende a non crescere, frammentarsi od eludere il fisco onde non perdere i benefici.
La politica italiana, protezionista per natura, tende a preservare queste piccole imprese attraverso misure che limitano la concorrenza e l’internazionalizzazione. Ad esempio, i decreti "Salva Imprese" spesso includono misure che proteggono settori specifici dalle pressioni competitive internazionali, limitando l’apertura del mercato e l’innovazione. Tuttavia, mantenere un’economia basata su piccole aziende frammentate impedisce di sfruttare le economie di scala e di competere efficacemente sui mercati globali, contribuendo alla stagnazione economica del paese.
La Percezione Popolare e la Creazione del Valore Aggiunto
In Italia, settori quali turismo, artigianato e costruzioni sono spesso considerati fondamentali per l’economia nazionale e meritevoli di trasferimenti crescenti di risorse finanziarie statali. Di fatto, questa percezione rischia di essere fuorviante. Sebbene questi settori contribuiscono significativamente al PIL, tendono a generare lavori instabili, poco qualificati e scarsamente remunerativi. La forte concentrazione su questi settori limita lo sviluppo di industrie ad alta tecnologia ed innovazione, che potrebbero offrire posti di lavoro più stabili e meglio retribuiti.
Nonostante uno stallo o peggioramento relativo alla maggior parte dei settori, l’industria rimane l’unico (di grandi dimensioni) a registrare un incremento di produttività costante, anche se affetto da un sostanziale “fall-back” rispetto alla media dell’Eurozona e delle altre grandi economie europee.