Il ritiro
Joe Biden, 81 anni, 46esimo Presidente degli Stati Uniti, ha ufficialmente rinunciato al ruolo di candidato democratico per le elezioni presidenziali del 2024. In una lettera condivisa su X, il presidente uscente ostenta i propri successi in politica interna ed estera: le leggi restrittive sulle armi, gli investimenti nella sanità pubblica e nell’energia green; ricorda l’aver condotto gli USA fuori dalla pandemia Covid-19 e di aver protetto la democrazia del Paese, riferendosi probabilmente alla vittoria ottenuta alle elezioni sul rivale Donald Trump, presentato in questa campagna come il peggior pericolo per gli USA e le sue istituzioni repubblicane. Ringrazia quindi il popolo americano e la Vice Presidente Kamala Harris per averlo sostenuto nel corso di questi ultimi tre anni e mezzo. Ed infine annuncia il suo ritiro dalla corsa presidenziale spiegando come la sua candidatura non fosse nell’interesse del partito e del Paese, pur confermando di voler portare a termine il suo mandato fino al termine naturale[1].
Le ultime settimane
La notizia, per quanto sconvolgente, non è certo stata un fulmine a ciel sereno: nel corso dell’ultimo anno sono emerse diverse speculazioni riguardo alla salute psicofisica di Joe Biden, che sembrava risentire dell’età avanzata e delle fatiche istituzionali del suo ruolo di Presidente. Il problema, sempre negato da Biden e dal suo entourage, è divenuto man mano più evidente negli ultimi mesi. Basti ricordare le recenti immagini del G7 di giugno, quando l’ottantunenne si è addormentato mentre era seduto al fianco del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, entrambi in ascolto di un’esibizione di Andrea Bocelli[2].
La valanga che ha portato alle dimissioni da candidato ha però iniziato a formarsi a partire dal primo dibattito presidenziale di Atalanta del 27 giugno di quest’anno: Joe Biden non è infatti riuscito a rassicurare gli elettori ed i membri del suo partito che i suoi problemi di età non fossero tali da costituire un problema per il suo incarico. Il dibattito, ospitato dalla CNN e la cui modalità (nessun pubblico in sala, assenza di candidati indipendenti, presentatori moderati, microfoni mutat durante il turno dell’avversario) erano state concordate precedentemente dai democratici affinché favorissero il proprio leader, meno impetuoso rispetto a Trump. Il dibattito si è tuttavia rivelato niente meno che un fallimento: Biden ha avuto difficoltà a concludere le proprie affermazioni e soprattutto a portare avanti una narrazione credibile che ostacolasse quella del candidato repubblicano[3]. Da lì in avanti, tutto è risultato in salita per la campagna elettorale: i democratici, allarmati già prima del dibattito e terrorizzati dopo la sua conclusione, si sono resi conto dai sondaggi e dai discorsi del paese che il loro candidato non sarebbe riuscito quasi sicuramente a battere l’avversario. Nelle settimane successive, fino al 21 luglio, si sono susseguite una serie di gaffe ed immagini desolanti che confermavano come il presidente americano non fosse al meglio delle proprie condizioni: difficoltà a scendere dall'Air Force One, frequenti scambi di persona (ha scambiato la propria vice Harris con Trump e successivamente il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj con quello russo Vladimir Putin, eventi entrambi accaduti all’ultimo summit della NATO) e manifesta assenza di lucidità. Nonostante ciò, il presidente Biden aveva negato più volte di voler rinunciare alla propria candidatura sebbene si fossero palesate notevoli pressioni dal suo partito e dalla base elettorale affinché lasciasse il posto a qualcuno di più giovane ed in salute. Biden ha chiamato in causa persino “Dio onnipotente”, asserendo che sarebbe stato l’unico a farlo desistere dalla corsa.[4]
I primi democratici a richiedere il ritiro di Biden sono stati i membri della House of Representatives Lloyd Doggett e Jim Clyburn ed alcune affermazioni dubbiose nei confronti della salute del presidente sono state pronunciate persino da Nancy Pelosi, ex speaker dell’House of Senate e stretta alleata di Biden. Anche Barack Obama, 44esimo Presidente degli Stati Uniti, si era lanciato solo pochi giorni addietro in una critica del collega: pur ricordandone i meriti, aveva stimato che, dopo il dibattito, le probabilità di vincere le elezioni per Biden si erano notevolmente affievolite[5].
Al contrario i coniugi Clinton, Bill e Hillary, avevano confermato il loro supporto alla candidatura di Biden.
L’attentato a Donald Trump di sabato 13 luglio scorso ha scosso le fondamenta della società americana ed assestato un colpo decisivo al prosieguo della candidatura democratica in vista delle elezioni di novembre prossimo. Il candidato repubblicano, salvatosi miracolosamente dal tentativo di assassinio ordito dal ventenne Thomas Mattew Crooks, ha visto infatti aumentare i suoi consensi a cascata in tutti i sondaggi. La contrapposizione tra il leader repubblicano, portato dai suoi come un “miracolato di Dio” più forte che mai, e la fragile silhouette di Biden ha causato in naufragio delle già scarse speranze di vittoria per il partito democratico. Per ironia della sorte, il proiettile che avrebbe potuto porre fine alla campagna elettorale di Trump sembra aver metaforicamente centrato in pieno quella di Joe Biden, assestandole un colpo fatale.
Nonostante Biden e famiglia avessero ancora rigettato l’ipotesi di una rinuncia, la positività del presidente al Covid e la conseguente quarantena gli hanno probabilmente permesso di riflettere seriamente sulla proposta di addio alla campagna[5]: dopo pochi giorni, il 21 luglio, Joe Biden si è ritirato ufficialmente.
Futuri possibili
Il primo nome che viene in mente quale possibile erede alla candidatura di Biden è la sua vice Kamala Harris, 60 anni, di origini afro-americane ed indiane. Subito dopo aver postato la lettera di rinuncia alla candidatura, Biden ha pubblicato un commento sempre sul social X in pieno sostegno alla sua vice[7]. Harris e Biden erano stati precedentemente feroci avversari alle primarie del partito democratico durante le elezioni del 2020; tuttavia, con la vittoria del secondo, Harris era stata accolta come candidata Vice Presidente e presentata già all’epoca come simbolo delle minoranze al potere. Oggi, questa narrazione potrebbe essere riproposta nel caso Kamala Harris fosse davvero scelta come candidata alla presidenza. Numerosi sondaggi la indicano quale candidata con migliori aspettative rispetto a Biden, ma comunque non sufficienti a poter battere Trump; solo il centro di sondaggistica Bendixen & Amandi International ha affermato che la candidata potrebbe essere in grado di fronteggiare con successo l’ex Presidente repubblicano nel voto popolare. Altra questione è il voto dell’Electoral College, che potrebbe invece vedere trionfante Harris secondo un’analisi di Five Thirty Eight[8].
Altri papabili candidati presentati in queste ore sono: Gavin Newsom, governatore della California, e Gretchen Whitmer, governatrice del Michigan; entrambi sono considerati due stelle nascenti della politica americana e della leadership democratica. Eppure, fonti vicine ai due governatori hanno dismesso le notizie che li vorrebbero veder correre contro la Harris per la candidatura a Presidente[9].
Un’altra candidata spesso evocata quale possibile concorrente democratica è Michelle Obama, 60 anni, avvocato e moglie dell’ex Presidente Barack Obama. Recentemente, il suo nome è stato presentato come possibile candidato sostituto di Biden e l’ipotesi ha preso sempre più piede quando alcuni sondaggi misero in evidenza che fosse l’unica in grado di poter battere Trump alle elezioni e persino con grande distacco. L’ex-first lady ha però ripetutamente negato nel corso degli ultimi anni di voler intraprendere una carriera politica[10].
Nonostante il supporto per Harris da parte di Biden, il Presidente uscente ed il vincitore delle primarie del partito democratico, non si può ancora essere certi che la vice potrà ricoprire di fatto tale ruolo, che sarà invece deciso dal partito democratico o tramite una votazione virtuale specificatamente sulla Harris, precedente alla Democratic National Convention, dove gli elettori ed i politici democratici si ritrovano per nominare ufficialmente il proprio candidato e che si terrà dal 19 al 22 agosto, oppure tramite delle mini-primarie tra diversi candidati in cui risulterà decisivo il voto dei delegati[11]. Visto il poco tempo a disposizione, appena 4 mesi di campagna elettorale, e la difficoltà della sfida posta da Trump, è probabile che il partito democratico si riunirà attorno alla nuova candidata Kamala Harris.