La preoccupazione dell'Europa per l'approvvigionamento di grano ucraino non è tanto motivata da un interesse diretto, quanto piuttosto da una questione di sicurezza alimentare a livello internazionale.
La realtà dei fatti:
L'inflazione dei prodotti alimentari ha avuto inizio nella seconda metà del 2020, influenzata sia dall'incremento progressivo dei costi dell'energia, sia dalle politiche adottate in risposta alla pandemia di COVID-19. La conflittualità in Ucraina ha ulteriormente destabilizzato i mercati, particolarmente nel settore energetico.
L'Ucraina detiene una posizione di rilievo a livello globale come principale esportatore di olio di girasole, rappresentando il 50% delle esportazioni mondiali. Inoltre, si colloca al terzo posto per le esportazioni di orzo (18%), al quarto per quelle di granoturco (16%) e al quinto per il frumento (12%). Nel solo anno 2021, l'Ucraina ha registrato esportazioni di cereali dal valore di quasi 12 miliardi di USD, pari a circa 11,5 miliardi di EUR.
Il 65% del frumento esportato attraverso l'iniziativa sui cereali del Mar Nero ha trovato destinazione nei paesi in via di sviluppo. La decisione della Russia di ritirarsi da tale iniziativa sta ulteriormente acuendo la crisi alimentare globale.
Un aspetto rilevante da evidenziare è il divieto all'importazione di grano ucraino da parte dei paesi dell'Europa dell'Est, come Polonia, Ungheria, Slovacchia e Bulgaria. Questa misura è stata adottata in risposta all'abbondanza di prodotti agroalimentari ucraini che, creando un surplus sul mercato, ha fatto crollare i prezzi. Tale situazione ha generato una crescente insoddisfazione tra i produttori locali, mettendo in luce come l'agricoltura ucraina non impatti direttamente sui prezzi nel settore alimentare europeo e quindi sull'inflazione in Europa.
L'unico prodotto che risulta essere direttamente influenzato dalla guerra in Ucraina è l'olio di semi di girasole, che ha registrato un aumento dei prezzi di quasi il 50% dopo lo scoppio del conflitto.