Mentre mi apprestavo a scrivere un messaggio di reclamo al direttore del museo di Paestum ho pensato che sarebbe stato più efficace e utile per la collettività comporre una breve Cautionary Tale. Metti che sai accompagnando un gruppo di amici milanesi in giro per la terra dove sei cresciuto e che, dopo una scarpinata sul Vesuvio per visitare il gran cono, un tour di Napoli sotterranea più centro storico con tanto di pagnuttiello imbottito di parmigiana di melanzane ti venga in mente di visitare il parco archeologico di Paestum.
Visto che ci sono le misure di sicurezza per via della pandemia ti premuri di verificare via internet se occorre prenotare o se ci sono accorgimenti particolari. Con una ricerca rapida capisci che non c’è un obbligo di fascia oraria, ma solo un limite al numero massimo di persone che possono visitare contemporaneamente il museo (scelta logica e funzionale), l’obbligo di portare la mascherina, igienizzare le mani e verificare la temperatura prima dell’ingresso, per il resto il biglietto vale 3 giorni e include anche le rovine di Velia (molto bella ma un po’ fuori traiettoria).
A questo punto dovrebbe esser comprensibile un po’ di sorpresa quando all’ingresso subisci lo stalking del personale, che sostiene non si possa sostare più di 3 minuti davanti a un reperto soprattutto dopo che ne hai impiegati 4 per capire che il touch screen nella prima sala funzionava male. Sentendoti in colpa perché ti convincono in modo subdolo del fatto che stai causando facendo attendere troppo altri visitatori in coda , attraversi le prime sale senza vedere nulla.
Come concessione del burocrate al suddito ti dicono anche che, se qualcosa proprio ti interessa, fanno passare avanti quelli sono arrivati dopo e ti consentono in via eccezionale di sostare un po’ di più.
Questo avrebbe senso se le disposizioni di sicurezza prevedessero qualcosa tipo “il personale gestisce l’afflusso dei visitatori e la loro permanenza nelle sale, si prega di seguire le loro indicazioni”
Ma le disposizioni prevedono solo un limite al numero totale dei visitatori presenti in contemporanea, che indossino mascherina e abbiano igienizzato le mani. Considerando che il rapporto tra dimensione della struttura e numero dei visitatori ammessi consente un distanziamento nell’ordine dei 15-20m l’atteggiamento dei dipendenti del museo può ben qualificarsi come eccesso di zelo.
Però è estate, ci sono i bambini e non ti pare il caso di perderti in discussioni inutili. Quindi passi avanti prendendo nota mentale di come nel paese di pulcinella (definizione estendibile all’intero stivale)i tuoi diritti vengano descritti come concessioni del burocrate di turno.
Però ci sono davvero poche persone, i bambini volevano vedere una cosa che hanno studiato a scuola e, ti illudi che civilmente si possa far passare avanti gli altri visitatori mentendo distanze abbondanti e cercando di goderti la vista per cui hai pagato il biglietto.
Pessima scelta.
Il cerbero di turno arriva stizzito dicendoti che non puoi tornare indietro, che ci sono gli altri che devono passare e stai causando code.
Secondo esercizio di pazienza, fai civilmente notare che nel contratto che hai sottoscritto per visitare il museo non c’è scritto da nessuna parte che devi subire l’arbitrio del burocrate di turno, che stai rispettando tutte le regole e che per il numero di persone che ci sono si riesce a mantenere una distanza piuttosto abbondante, a occhio anche di 20 metri. Se questo è lo stato in un momento di così scarsa affluenza se il numero dei visitatori aumenta la visita del museo diventa finisce per diventare una presa in giro.
A quel punto parte la difesa di ufficio, le regole mica le fanno loro; loro subiscono reprimende se si formano assembramenti. Mica sono pagati per comprendere le regole delle istituzioni in cui lavorano e per cercare di applicarle in modo ragionevole senza vanificare le finalità ultime di quelle istituzioni.
A loro interessa evitare noie e “cazziate”, che tanto non rischiano nulla più di questo e, se la difesa di questo loro interesse, rende indecente il servizio offerto ai visitatori ci tocca farcene una ragione. Il loro problema è che le sale vicino all’ingresso siano sufficientemente sgombre da evitare lamentele, per cui devono cacciare in avanti i visitatori. Quel che succede dopo non conta.
Fosse stata una storia americana ci sarebbe stato un reclamo, un intervento del direttore del museo o qualcosa di questo genere. Ma nella tradizione più classica della commedia all’italiana tutto finisce a tarallucci e vino. C’è una turista olandese seduta su divanetto a cui nessuno dice niente. Fatti 30 passi dall’ingresso, là dove si finisce l’interesse illegittimo del burocrate illicenziabile termina lo stalking.