In conclusione il Presidente rivolge due appelli, uno ai governatori provinciali (si ricordi che l’Argentina ha un sistema federale in cui le Province hanno facoltà di spesa) e l’altro al Congresso stesso. Ai primi ricorda che il popolo argentino non accetterà che a una riduzione della spesa pubblica federale corrisponda un aumento di quella provinciale; mentre ai legislatori prospetta l’opportunità, o meglio l’obbligo, di sfruttare il momento per cambiare le cose, prima che sia troppo tardi.
Il discorso è stato poi condito con pathos e un piglio che gli argentini e il mondo hanno ormai imparato a riconoscere. Non sono mancate frasi a effetto come: “Governare non è amministrare lo Stato, governare è rimpicciolire lo Stato per ingrandire la società”; “Se il ciclo economico non è di origine reale, ma è generato dallo Stato, è la stessa cosa che accettare che un mafioso ci rompa le gambe per venire poi a offrirci le stampelle. Non vogliamo le stampelle dello Stato, vogliamo vivere in libertà! Non vogliamo che ci rompano le gambe!”; “Gli stupidi ignorano la realtà, i folli la negano, coloro che scommettono sul successo la accettano e la risolvono”.
Imperdibili i battibecchi con l’opposizione a cui spesso Milei si è rivolto in modo polemico, oltrepassando il limite che l’Istituzione gli imponeva. Il tutto si è svolto in un clima piccante, ad esempio quando il Presidente provoca i banchi del Giustizialismo(1) dicendo: “Voi da questo potete anche astenervi, so che fate i calcoli con difficoltà”, al chè il capo dell’opposizione, Germán Pedro Martinez, lo sfida a parlare senza leggere, Milei non si fa cogliere impreparato rispondendo a tono: “Guarda, che io legga o no, tu continui a fare i calcoli con difficoltà Martinez”. Allo scambio di battute è corrisposta ovazione dai banchi filogovernativi, applausi generali dal pubblico e ovviamente le dure critiche dal lato sinistro dell’emiciclo, il tutto in clima che però non ha mai ecceduto il limite ed è invece sempre rimasto nel goliardico sberleffo.
Ovviamente non sarebbe stato un discorso del loco senza qualche stranezza che fa storcere il naso ai suoi detrattori. Si va dagli slogan consolidati - ma con qualche novità -: “Non sono venuto a guidare agnelli, ma a svegliare leoni” a cui ha aggiunto: “e se non lo avete visto o non volete vederlo, i leoni si sono svegliati”; al solito ed immancabile: “¡Viva la libertad, carajo!” a cui i banchi a destra dell’Esecutivo rispondono in un clima da stadio con: “¡Viva!”; fino a giungere ad un’insolita citazione(2) ad un Cicerone oeconomicus, liberista ante litteram. Peccato che la frase non venga dal famoso Arpinate, bensì dal romanzo storico La columna de hierro, datato 1965. Per carità, la citazione ha i suoi anni, ma non certo i 2000 che le attribuisce Milei. Per la fortuna degli argentini continuerà a occuparsi di politica ed economia, lasciando da parte avventurose incursioni nella filologia classica.
Nello snodo argomentativo non sono mancati neppure i riferimenti alla riduzione della criminalità, e ad altri successi che il Governo si attribuisce, ma in un discorso incentrato pienamente sull’economia sono sembrate più giustapposizioni che altro.
Traendo le somme, il caso argentino è emblematico di per sé, a partire dal leader che sta guidando questa rivoluzione. Un personaggio indubbiamente carismatico, ma anche contraddittorio, cristiano ma non cattolico e praticante l’ebraismo; un politico pronto a chiamare “rappresentante del maligno” il connazionale residente in Vaticano per poi farci la pace a una settimana dall’assunzione come Presidente. Insomma, non sarebbe l’Argentina se non ci fosse un po’ di dramma in questa complessa storia, figlia di anni di malgoverno e violenza, ma che ora forse si apre ad una strada di possibile stabilità per il popolo del Río de la Plata, incrociamo le dita per loro.