DE CRETINO

Oggi ci si alza con in essere un decreto assurdo (che poi si può chiamare decreto?) che sembra scritto da persone alla guida di un’auto senza freni con acceleratore bloccato in una strada di montagna.

Oggi ci si alza con in essere un decreto assurdo (che poi si può chiamare decreto?) che sembra scritto da persone alla guida di un’auto senza freni con acceleratore bloccato in una strada di montagna.

Un decreto che denota un’assoluta mancanza di cognizione del mondo produttivo e dei propri meccanismi di funzionamento e che non tiene conto dei dati ad oggi raccolti.

Finora ho preferito non affrontare mai questo argomento perché non volevo contribuire in nessun modo ad aumentare il clima di paura incondizionata che un governo inadeguato e cialtrone invece sembra voler disseminare ad ogni costo per tutto il Paese ma ormai la frittata, per quanto mi riguarda, è fatta.

Un Paese dove purtroppo la maggior parte delle persone pensa o si è convinta che la fonte del lavoro e del proprio benessere derivi dallo Stato come se lo stesso potesse calarli dall’alto per volontà divina.

Inchiodare un Paese indebitato fino al collo con provvedimenti del genere che non sono neanche di chiara se non di impossibile attuazione, hanno solo l’inutile scopo di gettare un Paese nel panico.

Era necessario tranquillizzare e affrontare il problema imparando a conviverci adottando misure “restrittive” finalizzate però alla prosecuzione dei processi produttivi al fine di minimizzare il più possibile i rischi di contagio: uno Stato serio, degno di questo nome, avrebbe aiutato e incentivato le imprese in questa direzione.

Da gennaio sosteniamo la necessità di isolare per davvero, tutelandole, le fasce più anziane che sono di fatto quelle più esposte a conseguenze serie e vera causa della sofferenza del SSN.

Invece si è proceduto a tentoni, a caso, in barba a qualsiasi protocollo tecnico di gestione del rischio, probabilmente affidandosi a improbabili “guru” di turno pagati profumatamente che sostengono che vi sia una correlazione tra la mortalità del virus e la tecnologia 5G.

Nessun piano B all’orizzonte ma solo improbabili “lockdown” ormai ad oltranza senza che nessuno consideri in nessun modo i possibili danni irreparabili e le vittime che una recessione dura farà.

Con questo clima generato, chi convincerà i lavoratori, a queste condizioni, fra 15 giorni a rioccupare il posto di lavoro se la situazione non migliorerà significativamente?

Già ora si commette un errore instillando paura a chi dovrà alimentare la cosiddetta “supply chain” perché lo spiegherete voi, già oggi, ad un operaio del comparto alimentare il fatto che lui debba lavorare e altri no e che la sua salute implicitamente valga meno di quella di altri.

Tutto quanto sopra lo dico senza neanche entrare nel merito del significato del termine di “filiere produttive essenziali” il cui concetto astratto qualcuno lo dovrebbe spiegare a Conte.

In un momento storico delicatissimo nel quale, tra l’altro, ci si riempie la bocca con il tricolore è il momento di capire che il lavoro è un dovere sociale, una forma di contributo al bene collettivo, della patria da tanti citata ma non compresa e non a quello esclusivo dell’imprenditore “cattivo”.

Ed è il momento anche di accettare che disgraziatamente ci saranno delle perdite e non si aiuta il Paese facendo credere che “o faremo così o moriremo tutti” perché è proprio il modo migliore per andare tutti in quella direzione.

 

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