I dazi di Trump: una minaccia concreta per l’economia italiana, UE e statunitense

La rielezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America getta pesanti ombre sul futuro del commercio mondiale.

Uno dei pochi pregi che caratterizzano i leader isolazionisti è la chiarezza del loro linguaggio e, nel caso di Trump, quello dei dazi è uno dei pochi ambiti dove la violenza della sua retorica ha trovato una concreta attuazione che, se in passato ha riguardato la Cina, oggi finirebbe non più col colpire solo lei, ma bensì anche l’Unione Europea.

Con risultati non certamente buoni né per noi, né per gli Stati Uniti stessi.

Gli scambi commerciali tra Stati Uniti, Italia ed Europa: situazione odierna

Fatta eccezione per il 2020 a causa del COVID, i dati forniti dall’Istat(1) ci indicano un interscambio fra Italia e Stati Uniti in crescita e a nostro favore:

Trend scambio commerciale Italia-Stati Uniti (2013-2023). Fonte Istat

Più della metà dell’export 2023 proviene da Lombardia (14,3 miliardi di euro), Emilia-Romagna (10,4 miliardi) e Toscana (9,1 miliardi), con la seguente  composizione merceologica:

Composizione merceologica export italiano negli Stati Uniti (anno 2023). Fonte Istat

con i primi tre settori (macchinari, farmaceutici e autoveicoli) in crescita da anni.

Questa crescita positiva dell’interscambio interessa poi anche l’Unione Europea, come ci viene illustrato dai dati Eurostat(2):

Trend scambio commerciale UE-Stati Uniti (2013-2023). Fonte Eurostat

Ma quali sono i fattori alla base dell’aumento dei rapporti commerciali?

La crescita dell’export: tra dazi e cambi di preferenze

Le ragioni dietro alla crescita della bilancia commerciale sono riconducibili alle evoluzioni della geopolitica, della politica economica e dei trend di mercato; le principali sono:

  • la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, che ha spinto le imprese statunitensi a puntare sui fornitori europei per merci come attrezzature e beni manifatturieri;
  • la svalutazione dell’Euro rispetto al dollaro;
  • la ripresa della domanda statunitense post pandemia, che ha interessato settori nei quali l’Europa ha una posizione di mercato consolidata;
  • il cambio nelle preferenze di consumo e acquisto statunitensi verso prodotti di maggiore qualità e sostenibilità (moda, lusso, prodotti alimentari e bevande ecc);
  • l’aumento della domanda statunitense relativa alle tecnologie verdi(3), della quale ha beneficiato anche l’Unione Europea(4).

Ma in tutto questo bisogna ora prestare particolare attenzione al tema dei dazi che, se prima ci ha beneficiato, ora può diventare un problema.

I dazi: le politiche di Trump devono colpire l’Unione Europea

Negli Stati Uniti la Cina è vista come una minaccia tanto dai repubblicani, quanto dai democratici: entrambi gli schieramenti hanno adottato misure (tariffe commerciali, restrizioni tecnologiche e re-shoring) per contrastare il Dragone nella lotta alla leadership economica e geopolitica mondiale.

I dazi hanno comportato una riallocazione delle importazioni(5) di cui abbiamo beneficiato, ma tale plus potrebbe ora venire meno.

Se da una parte i cinesi hanno cercato di aggirarli delocalizzando in paesi come il Vietnam, dall’altra lo spazio per nuovi ulteriori misure verso di loro è ormai troppo ristretto, non solo per il consolidamento della politica protezionistica sotto Biden, bensì anche per l’altro grande elefante nella stanza dei rapporti tra i due paesi: il debito pubblico statunitense.

Dei 34,59 trilioni di dollari che lo formano(6), il 22,9% è detenuto da paesi stranieri con la Cina secondo creditore per la cifra di 749 miliardi(7).

Nonostante l’importante contrazione di portafoglio registrata nell’ultimo decennio, l’acquisto del debito da parte dei cinesi è originato dalle dinamiche commerciali tra i due paesi: la Cina – puntando su una crescita guidata dall’export – necessita di un cambio yuan/dollaro favorevole e i dollari che riceve con gli scambi devono essere in qualche modo utilizzati.

I Treasury Bond – grazie al loro reddito garantito – sono la soluzione a tale necessità, come è necessità per gli Stati Uniti che la Cina continui ad acquistare il suo debito pubblico, visto un rapporto deficit/PIL importante(8) e nonostante l’eventualità di una cessione in blocco di quelli da loro detenuti sia tuttora un evento di coda.

Vi è infine un ultimo aspetto da considerare: Trump vede nell’UE un competitor(9).

Lui non ha mai risparmiato critiche e contestazioni all’Unione, spaziando dall’economia, alla geopolitica e alle divisioni interne; una UE debole e divisa è un plus per un leader isolazionista come Trump, la cui base politica – contagiata da una crescente antipatia verso la globalizzazione – preme perché siano imposte limitazioni al free-trade.

E sebbene sia improbabile che vengano imposti dazi nella misura del 100 per cento, le stime di questi giorni prevedono un impatto importante per il nostro sistema economico, in misura nettamente superiore alle ipotesi di Borghi su un sedicente maggiore introito del turismo USA generato dal reddito figlio di tali politiche(10).

Fantapolitica pura se guardiamo poi alla storia: i dazi non fanno così bene all’economia statunitense.

L’impatto dei dazi sull’economia americana (conclusioni)

L’imposizione di nuovi dazi unito al taglio delle tasse promesso da Trump spingerà ulteriormente un PIL già in crescita, ma poco e a un costo tutt’altro che irrilevante.

Se il taglio della tassazione – sostenibile solo per un breve periodo di tempo – comporterà in primis un maggior debito pubblico, queste due policy combinate saranno fonte di inflazione, notizia tutt’altro che rassicurante: il mandato di Powell scade fra 2 anni.

E Trump, non volendo pagare il costo politico dell’inflazione, potrebbe minare l’indipendenza della FED, fattore essenziale alla base della credibilità di una banca centrale, specialmente se questa è quella degli Stati Uniti.

Inoltre, tale crescita potrebbe poi divenire una decrescita.

Diversi studi hanno già dimostrato come i dazi adottati finora abbiano complessivamente danneggiato l’economia americana(11), poiché se a beneficiarne sono stati i settori direttamente protetti, il resto del sistema è stato colpito dal rincaro di materie prime e componentistica, nonché dalla riorganizzazione delle catene di fornitura, dal rientro dei siti produttivi nel paese e dalle variazioni dell’export.

Non proprio il risultato sperato.

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