Giorno 472

"Grazie a Dio, grazie alla mia famiglia, ai migliori amici che ho in questo mondo. Sono tornata vivere. [...] Grazie, grazie, grazie. Sono la persona più felice del mondo". - Emily Damari

Queste le prime parole di Emily Damari, una delle tre ragazze consegnate domenica pomeriggio dai miliziani di Hamas alle autorità israeliane per mediazione della Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC), dopo 471 giorni di prigionia nella Striscia di Gaza.

Immagine di freepik

Ventottenne, cittadina britannica e israeliana, Damari è stata rapita nel suo appartamento nel kibbutz di Kfar Aza (1), dopo essere stata ferita alla mano da un colpo di arma da fuoco e alla gamba da un oggetto contundente. Insieme a lei, hanno potuto riabbracciare i propri cari Doron Steinbrecher, trentunenne, infermiera veterinaria, anche lei originaria di Kfar Aza e Romi Gonen, ventiquattrenne, presa in ostaggio dai terroristi durante il Nova Music Festival, nel sud di Israele.

La promessa di pace

Foto degli ostaggi rapiti da Hamas: manifesti in Piazza degli Ostaggi, Tel Aviv / Gennaio 2024. Fonte: Wikimedia Commons

Dopo 15 mesi di guerra, domenica 19 gennaio è entrato in vigore un attesissimo accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas, grazie agli sforzi diplomatici congiunti di Egitto, Qatar e Stati Uniti. Il trattato, i cui caratteri essenziali sono stati delineati per la prima volta dall’advisoryteam dell’amministrazione Biden nel maggio 2024, prevede il rilascio progressivo dei 94 ostaggi e prigionieri di guerra israeliani ritenuti ancora vivi (2) in due lunghe fasi, a cui succederà una terza dedicata alla ricostruzione di Gaza. 

Domenica è iniziata la prima fase, della durata prevista di sei settimane, che porterà in salvo 33 ostaggi israeliani detenuti da Hamas in cambio della liberazione di 1.904 prigionieri palestinesi attualmente incarcerati in Israele. Tra questi, 1.167 sono stati arrestati a Gaza durante la guerra e successivamente estradati in Israele, mentre i rimanenti 737 provengono dalla Cisgiordania, da Gerusalemme o da Gaza. La seconda categoria comprende membri accusati di appartenere a gruppi militanti e terroristi responsabili di attentati che sono costati la vita a decine di israeliani, ma anche individui in attesa di processo e civili in regime di detenzione amministrativa senza accuse formali e senza la possibilità di accedere a tutele legali. Per ogni ostaggio civile liberato da Hamas, Tel Aviv rilascerà 30 prigionieri, mentre il numero salirà a 50 per ogni membro delle forze armate. Questa fase, la più delicata e imprevedibile, prevede anche che le forze israeliane ritirino i propri contingenti dalle aree più densamente popolate di Gaza, senza abbandonare completamente la propria presenza militare nella Striscia. Alle decine di migliaia di palestinesi sfollati sarà consentito tornare nelle loro abitazioni, la maggior parte delle quali ridotta in macerie. Infine, centinaia di camion di aiuti umanitari saranno autorizzati a entrare quotidianamente nel territorio.

La seconda fase prevederà il rilascio degli ostaggi israeliani rimanenti e il ritiro completo e definitivo delle truppe israeliane da Gaza, nell’auspicio di una pace duratura. Infine, l’ultima fase riguarderà l’impegno, verosimilmente prolungato nel tempo, della ricostruzione di Gaza e la riconsegna dei corpi degli ostaggi rimanenti.

Un palcoscenico per Hamas

I miliziani di Hamas a protezione dell’auto con a bordo gli ostaggi, pochi istanti prima del trasferimento in custodia agli umanitari. Fonte: news.com.au | YouTube

Nel pomeriggio, gli ostaggi sono stati prelevati dal luogo di detenzione, la cui posizione resta segreta per garantire il successo delle negoziazioni, e trasferiti a bordo di un convoglio di fuoristrada di Hamas che ha attraversato teatralmente il centro di Gaza City. Qui li attendeva un’auto del Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC), incaricata di trasferirli presso un hub di accoglienza appositamente allestito dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF), prima che venissero condotti in un ospedale di Tel Aviv

Le immagini del “passaggio di consegne” hanno fatto il giro del mondo. I miliziani palestinesi hanno sfruttato l’attenzione mediatica globale per presentarsi come i vincitori indiscussi del conflitto: per la prima volta dall’inizio della guerra, indossano uniformi, coprono volto e occhi e puntano i fucili d’assalto al cielo in un gesto celebrativo, sfilando marzialmente tra centinaia di manifestanti, per lo più giovani uomini, che gridano slogan antisemiti e religiosi, aizzati contro il veicolo umanitario, ma respinti con violenza dal cordone di sicurezza palestinese. Le ragazze liberate appaiono vestite con cura e portano al collo un cordino con su stampate bandiere palestinesi. Si scoprirà dopo il loro rilascio, in seguito alla pubblicazione di un video propagandistico da parte di Hamas, che alle tre donne sono stati consegnati doni, tra cui un “certificato di laurea a Gaza”, accompagnato dalla trascrizione dei loro voti di lettura in arabo, una mappa della Palestinadal fiume al mare” e fotografie scattate durante la loro prigionia. Gesti che fanno pensare ad un tentativo di costruire una falsa narrazione di “cura e rispetto dei prigionieri”, smentita amaramente dalle notizie di abusi, trattamenti disumani ed esecuzioni delle altre vittime.

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