Mentre le incursioni politiche della Chiesa di Francesco rappresentano tutto sommato un danno di portata ridotta, limitato per lo più al piano della persuasione e della propaganda, ancora oggi assistiamo a forme di clericalismo hard, come nel caso del patriarca Kirill di Mosca e dell’Ayatollah Ali Khamenei.
Nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, giunto al sorgere dell’età moderna, George Wilhelm Friedrich Hegel scrive: «A partire da adesso la Chiesa rimane indietro rispetto allo spirito del mondo». In altri termini: la riforma protestante, la fioritura delle scienze e della filosofia, fanno sì che il «mondo cattolico, nel suo insieme» ricada «all’indietro», e che la Chiesa di Roma d’ora in avanti si vada configurando sempre più come un residuato della Storia.
La colpa al cuore della Chiesa – la sua perversione fondativa – è per il filosofo l’idea che Dio possa esistere nel mondo, cioè all’esterno dell’anima di ogni individuo, e che una qualche autorità o istituzione possieda le chiavi per accedere alla volontà dell’Altissimo e alla salvezza dell’essere umano. Quello del cattolico con Dio è quindi un rapporto mediato, perché la Chiesa pretende di fare da mediatrice tra l’uomo e Dio. È anche il principio della superstizione: se Dio può prendere corpo negli oggetti, allora Egli può essere nelle reliquie e nei resti dei martiri, può apparire nei luoghi della fede e nelle città sante, ed è questo per Hegel che dà il via, ad esempio, all’assurdità delle Crociate o alla vendita delle indulgenze.
La Riforma protestante sovverte questo paradigma.
Da quel famoso giorno del 1517 in cui, stando alla leggenda, il frate agostiniano Martin Lutero affigge le sue 95 tesi sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg, la cristianità è tempestata da ogni fronte: crollano gli idoli, scompaiono le vuote ritualità, è condannata l’autorità della Chiesa e della Tradizione, la traduzione della Bibbia in tedesco consente agli uomini un rapporto immediato con la Parola, e gli esseri umani abbandonano finalmente lo stato di minorità nel quale erano forzosamente costretti.
Una delle più gravi violenze perpetrate dalla Chiesa era infatti stata, per Hegel, quella di aver separato l’uomo dalla propria coscienza; l’artigiano che al mattino apriva i battenti della sua bottega non aveva il diritto di decidere autonomamente cosa fosse bene e cosa fosse male – e, di conseguenza, come dovesse comportarsi – ma era invece costretto a rivolgersi all’esterno, doveva insomma delegare la propria coscienza a un’autorità religiosa. Un ecclesiastico gli avrebbe spiegato cosa lui, l’artigiano, avrebbe dovuto desiderare, e quali fossero gli strumenti più consoni per raggiungere i non-più-suoi obiettivi. La Chiesa predicava così l’obbedienza del gregge all’arbitro totale del pastore, e portava nel mondo «l’illibertà assoluta».
Sulla base delle parole del filosofo, possiamo affermare che la modernità germina sul cadavere della Chiesa. O meglio: sul cadavere delle Chiese, perché la condanna senz’appello che viene promulgata nei confronti dell’autorità cattolica può essere estesa anche a qualsiasi altra autorità religiosa. Il progresso dello spirito del mondo dovrà via via, con il passare del tempo, risciacquare le strade delle città dal tanfo dell’ignoranza, bonificare le paludi del dogmatismo e scaricarne i liquami negli impianti fognari dei tempi-che-furono.
L’analisi di Hegel, com’è evidente, è viziata da un tipico difetto delle filosofie della storia, quello cioè di attribuire alla «Storia» un andamento lineare e finalistico, mascherandone la complessità e richiamando problematiche categorie quali quella di «Provvidenza». E, tuttavia, la domanda di fondo, cioè chiedersi se l’autorità religiosa sia o meno un ostacolo sulla strada della modernità, è ancora oggi legittima. Di più: guardandoci attorno e guardando ai fatti del nostro mondo, la domanda diventa quasi dovuta.
Il caso più prossimo è di nuovo quello della Chiesa di Roma. Le incursioni del papato nella sfera della politica sono all’ordine del giorno; Papa Francesco interviene sull’economia e sull’immigrazione, sull’Ucraina e sui diritti civili, sull’ambiente e sull’Europa, al punto da non comprendere più se si ha a che fare con un Pontefice o con un’encyclopédie. E le sue prese di posizione appaiono di frequente nemiche della libertà, benché un certo giornalismo le ricopra di salamelecchi e vi ritrovi preoccupazioni più elevate. L’evento più recente è di certo il telegramma di cordoglio inviato dalla Santa Sede per la morte del macellaio iraniano Ebrahim Raisi, un messaggio che esprimendo «vicinanza spirituale alla Nazione in questo momento difficile» tralascia completamente le proteste che da quasi due anni contestano un governo violento e autoritario, oltre che i numerosissimi iraniani che invece, negli stessi giorni, gioiscono per la dipartita del despota. D’altronde, nota opportunamente Feltri, simili condoglianze non sono mai state espresse dal papato «alle famiglie dei ragazzi macellati perché osano ribellarsi alla più tirannica sharia».
Ma mentre con la Chiesa di Francesco – complice il contesto laico delle liberaldemocrazie occidentali – abbiamo un danno di portata ridotta, limitato per lo più al piano della persuasione e della propaganda, ancora oggi assistiamo purtroppo a forme di clericalismo hard, come nel caso di Vladimir Michajlovič Gundjaev, il famoso patriarca Kirill di Mosca, e dell’Ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema della teocrazia iraniana.
In un discorso del marzo 2022, a pochi giorni dall’invasione dell’Ucraina, Kirill prende la parola per sostenere la guerra «metafisica» di Putin contro l’Occidente, indossando da quel giorno i panni di cappellano dello Zar. L’Occidente, secondo il patriarca, sarebbe prigioniero di una tremenda corruzione morale, e abiterebbe, per citare un contemporaneo maître à penser della destra italiana, un «mondo al contrario». Tale corruzione sarebbe così violenta ed epidemica da aggredire i territori contigui alla Russia («Da otto anni, si tenta di distruggere ciò che esiste del Donbass»), e tuttavia:
«Nel Donbass esiste un rifiuto, un fondamentale rifiuto dei cosiddetti valori che oggi vengono proposti da coloro i quali pretendono di essere potenze mondiali. Oggi, esiste una prova di lealtà a quel potere, una specie di lascia passare per quel mondo “felice”, quel mondo di consumo eccessivo, quel mondo di apparente “libertà”. Sapete in cosa consiste? La prova è molto semplice e allo stesso tempo terrificante: si tratta della parata del Gay Pride»
Il Gay Pride (oggi chiamato solo Pride per questioni di inclusività e rappresentanza) rappresenterebbe quindi il segno di lealtà ad un Occidente che desidera «imporre con la forza il peccato che è condannato dalla legge di Dio», un Occidente il cui obiettivo sarebbe, in sostanza, quello di costringere gli uomini russi e ucraini ad indossare mutandine di pizzo ed intimo femminile, mettendo così a repentaglio «la Salvezza dell’uomo», il «suo posto alla destra o alla sinistra di Dio Salvatore», a tal punto da giustificare la «guerra santa» di Putin. Come si vede, con Kirill giungiamo ad un livello di pericolosità diverso rispetto a Francesco. All’interno di una società autoritaria come quella russa, la religione torna ad essere instrumentum regni, strumento di legittimazione del despota, riportandoci all’epoca in cui la spada – il potere politico – era benedetta dalla croce.
Ma la figura più emblematica del fenomeno è certamente l’Ayatollah Ali Khamenei, Guida della Rivoluzione iraniana, «massimo esperto della legge islamica, che, proprio per le sue doti di sapienza e infallibilità, assume su di sé oltre all’autorità di guida religiosa della comunità anche quella di guida politica», riannodando in definitiva quel groviglio di politica e religione che la modernità aveva faticosamente disciolto. Assieme all’ormai defunto Ebrahim Raisi, dal 17 settembre 2022, giorno del funerale di Mahsa Amini, l’Ayatollah Khamenei porta avanti una spietata repressione del dissenso e delle proteste, rendendosi responsabile di centinaia di morti e di migliaia di arresti. Colpa della ragazza, arrestata e poi brutalizzata dalla polizia morale, sarebbe stata quella di indossare approssimativamente l’hijab, lasciando trapelare alcune ciocche di capelli e violando così le disposizioni della legge islamica. Religione e politica sono – di nuovo – tornate ad essere la stessa cosa, e questo sanguinario connubio rigetta con violenza lo «spirito del mondo» all’indietro, ai tempi della Santa Inquisizione, delle persecuzioni e delle carneficine degli infedeli.
Come si vede, ancora oggi l’autorità religiosa rappresenta – tenendo ovviamente a mente le differenze tra un’autorità e l’altra – il più diffuso carburante per la màcina dell’intolleranza. Il problema non è pertanto riabilitare attempate filosofie della storia o ripescare le “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità; l’oscurantismo esiste, esistono il bigottismo e le gabbie del pregiudizio, e milioni di uomini e donne sono e saranno ancora a lungo schiavi dell’arbitrio e dei soprusi delle Chiese, perché la Storia, da sola, non renderà «chiaro l’occhio dell’uomo» né liberi i polsi della donna.
Quello che può essere fatto, piuttosto, è riaffermare una certa idea di modernità, affinché quelli che per molti sono ormai dati di fatto – la laicità dello Stato, i diritti individuali, la libertà politica ed economica e tutto ciò che rende, in breve, l’uomo un uomo moderno – diventino valori condivisi dal più ampio numero possibile. Perché le religioni possono avere anche aspetti positivi, le Chiese no.