Cosa ha letto la nostra redazione negli ultimi tre mesi? Proponiamo alcuni consigli per l'estate.
Tristemente sconosciuto al grande pubblico italiano, Saul Kripke è stato uno dei filosofi più influenti della seconda metà del secolo scorso. Il suo lavoro ha interessato i più svariati rami del pensiero filosofico, dalla metafisica alla logica passando per le teorie della verità e quelle del significato. Forse proprio a causa di questa sua versatilità, ricostruire organicamente i contributi di Kripke è un compito tutt’altro che facile. A questo si aggiunge una certa avversione del filosofo alla scrittura, cosa che non lo ha mai portato ad organizzare sistematicamente le proprie riflessioni sulla carta stampata. I suoi testi più famosi, “Nome e necessità” e “Riferimento ed esistenza” (entrambi pubblicati in Italia da Bollati Boringhieri), sono raccolte di appunti di lezioni e, spesso, trascrizioni delle registrazioni delle lezioni stesse. È immediato capire quanto possa essere ostico, per il lettore non addetto ai lavori, entrare in contatto con la filosofia di Kripke.
“Il genio compreso” è un ottimo tentativo di aiutare i lettori a superare queste difficoltà. Il testo, curato da Andrea Borghini, offre una panoramica densa ma accessibile sui molteplici temi trattati da Kripke attraverso i capitoli redatti (in ordine) da Achille Varzi, Marco Santambrogio e Christopher Hughes. Ognuno di essi si sofferma su un macrotema, per poi entrare nei dettagli anche delle questioni più spinose e ancora oggi dibattute nella comunità filosofica. Nello specifico, il primo capitolo si sofferma sulle fondamentali acquisizioni di Kripke nello sviluppo della logica modale e della semantica dei mondi possibili. Il secondo capitolo affronta i problemi più classici della filosofia del linguaggio (su tutti, la teoria del riferimento diretto), mentre il terzo capitolo si concentra sui contributi di metafisica, tra identità ed essenze.
Una lettura fortemente consigliata a chi volesse approcciarsi ad una delle menti più affascinanti della filosofia contemporanea.
Avete mai provato ad analizzare il nazifascismo tramite la lente della filosofia di Deleuze e Guattari? L'esperimento di Tommaso Tuppini produce intuizioni fulminanti su un fenomeno così trasversale e sabbioso come il nazifascismo, che ancora adesso facciamo fatica a inquadrare: è stato un momento storico circoscritto? È una predisposizione personale? C'è fascismo in ogni esplosione di violenza che vediamo di fronte a noi, oppure tutta la violenza è in un certo senso fascista, oppure entrambe le cose? Tuppini si imbarca in un viaggio al limite di una psicanalisi che è quasi psichedelia, teorizzando una curiosa figura, quella dell'uomo "non-completamente-nato", che nella sua peculiarità giunge a delineare alcuni punti chiave fondamentali: per esempio, la razzializzazione dei corpi, il mito di ripetizione, la macchina da guerra come corsa fine a sé stessa verso l'esaurimento dell'orizzonte. Ma soprattutto, la constatazione assai più concreta che la romantica visione hitleriana delle rovine altro non è che una maschera per un mondo di macerie. C'è anche una tensione dialettica e culturale nascosta in questo libro, quella fra la "civilisation" francese di Deleuze e Guattari e quella della "Kultur" tedesca presa in esame (nonostante il titolo parli solo di "fascismo", è decisamente il NAZI-fascismo il protagonista di questo singolare saggio), e il punto di vista italiano a metà strada, nella persona dell'autore. Non è esplicita, ma a un lettore attento non sfuggirà. Così come non era sfuggito all'italiano Umberto Eco che il fascismo celassse un Ur-fascismo, un "fascismo eterno" che è cominciato con il fascismo storico, ma non si è estinto con esso, e forse non potrà mai farlo. Ma lo stesso si può e si deve dire dell'antifascismo.
Costanza Savaia
La vista di un uomo privato della libertà è straniante. Lo osservi dall’esterno e ti chiedi come possa proseguire ogni giorno sulla stessa strada, senza esplodere d’un tratto, senza mettere un piede fuori dal tracciato, costretto a domandare e supplicare sempre – l’autorizzazione di un funzionario, il permesso di un’autorità, la clemenza del Chivo – e ti acquieti pensando che deve essere meno di te, meno umano, meno reale, e che deve appartenere ad un’altra razza, perchè tu, nelle medesime condizioni, certamente saresti diverso. E quanto accade a lui non può accadere a te.
“La festa del caprone” del premio Nobel peruviano Mario Vargas Llosa è una descrizione dettagliata del funzionamento di una società autoritaria, una società che gradualmente trasforma la mentalità dell’uomo libero in quella dell’uomo schiavo e che corrompe la natura umana tirandone fuori la «vocazione masochista, di esseri che avevano bisogno di ricevere sputi, maltrattamenti, che sentendosi abietti si realizzavano», terrorizzati dall’idea stessa della libertà. L’insicurezza, il terrore, la dipendenza interiorizzata producono una società infantile, al punto che la gente di Santo Domingo, piuttosto che esultare per l’assassinio del dittatore Rafael Leónidas Trujillo, ne è invece disperata e avverte un odio viscerale per chiunque osi ribellarsi.
La lezione di Vargas Llosa, fondamentale oggi come non mai, è che la distruzione di determinate istituzioni politiche, giuridiche ed economiche non è limitata ad un solo ambito specifico: ma investe l’uomo nella sua totalità, nella percezione che egli ha di sè stesso come del mondo. Ci ricorda appunto uno dei protagonisti del romanzo: «La tazza di caffè o il bicchiere di ron dovevano avere tutto un altro sapore, il fumo della sigaretta, il bagno al mare in un giorno di gran caldo, il film del sabato o il merengue alla radio, dovevano lasciare nel corpo e nell’animo una sensazione più gradevole, quando si disponeva di ciò che Trujillo aveva portato via ai domenicani trentuno anni prima: il libero arbitrio».
Davide Membrini
The Canceling of the American Mind è un libro che documenta una tendenza preoccupante nelle istituzioni americane dedicate al lavoro intellettuale, in particolare nelle università. Questa tendenza, accentuatasi negli ultimi anni, consiste in una crescente intolleranza per le opinioni altrui, che porta a trattare certi temi in maniera dogmatica. Nel concreto, questa mentalità sfocia in richieste di eliminazione di certe idee e di allontanamento di chi le diffonde da queste istituzioni. Il libro offre numerosi esempi e aiuta a far capire quanto questi effetti siano pervasivi.
Gli autori partono da esperienze diverse. Greg Lukianoff è un avvocato, presidente di FIRE, una organizzazione per cui lavora da più di 20 anni, che si occupa di difendere legalmente le vittime di questa cosiddetta “cancel culture”. Rikki Schlott, anch’essa impiegata della stessa organizzazione, è una giovane attivista che ha interrotto la propria carriera da studentessa principalmente a causa di questo clima ideologico.
Forti della loro esperienza, gli autori documentano in maniera minuziosa le sembianze e gli effetti concreti di questa “cancel culture”. Offrono poi un’analisi delle diverse strategie adottate dagli schieramenti politicamente di destra e di sinistra per silenziare gli eretici. Infine, propongono comportamenti da adottare per ripristinare una sana cultura del dibattito, del confronto, e della tolleranza verso idee discordanti dalle proprie.