La GPA retribuita (utero in affitto sotto compenso) è l'unica forma di surrogazione di maternità moralmente accettabile, ed ecco perché.
Nell’annoso dibattito sulla maternità surrogata, l’Italia resta tra i pochi paesi a non contemplarla ancora nel panorama legislativo. Spesso chiamata utero in affitto, tale espressione pare politicamente preferita alla più istituzionale surrogazione di maternità, ma è in realtà considerata infelice, offensiva, impropria (poiché non onnicomprensiva), giuridicamente errata e dispregiativa, in quanto utilizzata dai detrattori della pratica. In quest'articolo cercherò di sostenere le ragioni della bontà della Gravidanza Per Altri (GPA), impropriamente chiamata dalla stampa mainstream e dalla politica "utero in affitto". In particolare, dopo un breve riepilogo sulla disciplina giuridica che regola la GPA in Italia e nel mondo, una pars destruens esaminerà e sbugiarderà sommariamente gli argomenti contrari alla surrogazione di maternità e una successiva pars costruens illustrerà i motivi per cui la GPA è fondamentale, ma non nella forma altruistica - insufficiente a riconoscere rispetto e dignità alle parti coinvolte - quanto nella forma retribuita, qui considerata l'unica eticamente difendibile.
Dal punto di vista medico si distinguono la GPA tradizionale (dove l’ovulo fecondato appartiene alla donna che porta avanti la gravidanza) e la GPA gestazionale (dove l’ovulo proviene o dalla madre intenzionale, cioè la richiedente che adotterà il figlio, o da una terza donna). Nella surrogazione tradizionale, il seme del padre è utilizzato per fecondare la madre surrogata, che diventa anche madre biologica, mentre nella surrogazione gestazionale (spesso utilizzata da donne che non possono sostenere una gravidanza) l’ovulo donato è fecondato in vitro e l’embrione, formato con il seme del padre e della madre (o di donatori, nel caso di sterilità di uno dei due), è poi impiantato nell’utero della donna, che si limita a portare avanti la gravidanza senza legami genetici col nato.
Dal punto di vista giuridico, invece, la GPA è definita altruistica se non è previsto che alla gestante venga corrisposto un contributo pecuniario (è il caso degli stati europei che permettono legalmente la pratica, come Paesi Bassi, Regno Unito e Grecia), mentre è retribuita o lucrativa se la legge prevede la possibilità di un compenso economico. Alcuni Paesi hanno leggi che regolano solo una delle due tipologie (come ad esempio il Canada, dove è legale solo se fatta senza scopo di lucro), altri la doppia formula (come Georgia, Russia e Ucraina). Negli Stati che non ammettono la retribuzione ma solo la forma altruistica, la gestione è spesso demandata ad agenzie specializzate che ricorrono almeno a un rimborso che copre le spese mediche delle donatrici (gli esami, le visite specialistiche, eventuali farmaci o l’assicurazione), oltre a tutti gli oneri dovuti alla pratica.
In entrambi i casi, comunque sia, la GPA si articola secondo una procedura contrattuale in cui il/i futuro/i genitore/i e la gestante negoziano e dettagliano procedimento, regole e conseguenze, nonché il contributo alle spese mediche della gestante e la sua eventuale remunerazione per il servizio offerto. In Grecia, addirittura, la GPA (legale dal 2002) avviene sulla base di un accordo scritto e autorizzato dalla magistratura prima del concepimento.
In generale, la GPA può essere consentita a coppie eterosessuali, omosessuali maschili e femminili o a persone singole. Nel 2014, in Spagna, l’80% dei bambini partoriti tramite la GPA e iscritti nel registro civile erano nati su iniziativa di coppie eterosessuali, mentre negli Stati Uniti, stando ai report di una delle maggiori cliniche americane specializzate nel settore, nel 2016 su dieci gravidanze surrogate sette erano destinate a coppie eterosessuali e tre ai single o alle coppie omosessuali. Ad oggi la GPA è invocata principalmente da coppie eterosessuali con problemi di fertilità o da coppie di uomini, mentre è decisamente più rara tra le coppie lesbiche.
Il nostro Paese, come spesso accade, su questo problema pare però molto indietro. La legge che in Italia regola la GPA (recando divieti generali e sanzioni) è la n. 40 del 19 febbraio 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, emanata dal secondo governo Berlusconi e tuttora in vigore, che al comma 6 dell’articolo 12 recita: "Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro". Considerata tra le più restrittive d’Europa sul tema, è da tempo oggetto di contestazione e, nonostante alcuni dei divieti che contiene siano stati in parte rimossi nel tempo da sentenze della Corte Costituzionale, sopravvive ancora quello sulla surrogazione di maternità.
Nel 2022, inoltre, ha fatto molto discutere la richiesta avanzata dal governo Meloni ai sindaci di non registrare più i genitori non biologici negli atti di nascita dei figli nati con la GPA (gestazione per altri). A questa richiesta erano seguiti un voto in Senato e un chiacchiericcio in cui diversi esponenti del governo avevano contestato la pratica, ritenendola piuttosto un "mercato di bambini" e "un reato più grave della pedofilia". Da ogni parte si erano levate voci contrarie, incluso l'ex Terzo polo che, per bocca di Carfagna e Calenda, aveva espresso una posizione più moderata ma comunque rigida (che tutt'ora mantiene, nonostante le diverse sensibilità che animano Azione e Italia Viva). La vicenda si è conclusa ad aprile 2022 con la decisione della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati di adottare il testo base della proposta di legge n. 306 (proposta Meloni), che propone di rendere la GPA un “reato universale”, cioè illegale anche qualora la procedura avvenga all’estero.
A partire dal 2015, però, l’Associazione Luca Coscioni ha promosso attivamente, insieme ad altre realtà vicine alla causa, una proposta di legge sulla Gravidanza solidale e altruistica per Altri (qui il testo aggiornato al 2019) pensata come compromesso per il superamento dell’attuale legislazione. Un compromesso certo timido e insufficiente per chi si auguri la legalizzazione della forma retribuita, ma che si allinea alle altre proposte di legge elaborate ad oggi, tutte imperniate su una GPA non commerciale, gestazionale, aperta a tutti e frutto di una scelta "libera, autonoma, volontaria e altruistica", al fine di regolamentare la pratica in tutte le sue fasi ed evitare abusi e sfruttamenti, nel rispetto degli standard internazionali sui diritti umani. E parlando di abusi e sfruttamenti, veniamo ora alle principali critiche e alle principali ragioni per sostenere la GPA non solo altruistica, ma retribuita.
La GPA nella forma altruistica è una misura monca e parziale. Il vero utero in affitto, quello retribuito, è invece una riforma di libertà, perché dà a persone che non possono avere figli la facoltà di ovviare a questo limite a pagamento e consente alla gestante di essere ricompensata per il servizio. In Italia, tuttavia, l’utero in affitto è un argomento perennemente scottante e spinoso da affrontare pubblicamente, e guai se si parla della forma lucrativa: non appena qualcuno la tira fuori, chiunque si affanna per dissociarsene, non importa quanto liberale o progressista si sia definito fino al giorno prima. Tuttavia, per quanto sia un passaggio fondamentale della riflessione politica interrogarsi sulla portata sociale e sulle implicazioni bioetiche, giuridiche ed economiche di questa come di tante altre pratiche, l’impressione è che la maggior parte dei problemi attribuiti all’utero in affitto siano in realtà problemi di altra provenienza e sono almeno tre le principali critiche che vengono lanciate puntualmente dai detrattori.
Un primo ordine di problemi è che il corpo della donna che si rende disponibile per la gestazione è ancora una volta oggetto di sfruttamento e mercificazione. Considerandolo una merce di scambio, si reitera una visione “ultra-capitalistica” del corpo che ad alcune fazioni politiche pare eticamente inaccettabile… ma non è forse in questo che consiste il lavoro? Mi spiego meglio: da che mondo è mondo, ogni tipo di lavoro umano, in ogni sua declinazione, equivale a mettere al servizio di altri il proprio corpo e le sue facoltà sotto retribuzione. Non vedo perché il discorso dovrebbe cambiare con l’utero in affitto: attivando questo tipo di procedura legalmente nessuno andrebbe a costringere certe donne a fare da gestanti, ma si tratterebbe più che altro di una scelta libera. E laddove la gestazione è una scelta libera, laddove nessuno vincola nessuno, non capisco perché dovrebbe essere contestata o impedita, né vedo la differenza tra la disponibilità volontaria del proprio corpo per una GPA o per altri servizi pagati (si tratti dell’utero, del lavoro in fabbrica o della prostituzione).
Ma quando mai è una scelta libera? Come sentivo dire da qualcuno in questi giorni, di certo non vedremo mai una Chiara Ferragni rendersi disponibile per una GPA. A fare da gestanti, ove retribuito, non sono i ricchi, quanto piuttosto donne in condizioni di povertà o economicamente impossibilitate ad accedere a livelli minimi di benessere in altro modo. Quindi la scelta della gestazione per altri è qualcosa che riguarda le persone povere ed è dettata dalle condizioni materiali di partenza, ed ecco che ritorna il solito adagio marxista. Ma, come per la microcriminalità o il lavoro nero, se certe donne povere e disagiate ricorrono a questa pratica pagata per sopravvivere economicamente, allora il problema non è nell’utero in affitto ma nella povertà, che impone loro meno libertà di scelta.
Il discorso è analogo a molti altri casi (ladri che non vorrebbero essere costretti a rubare per campare, lavoratori che non hanno potere contrattuale perché versano nella disperazione e devono accettare qualunque offerta a qualunque condizione ecc.): in assenza di una legislazione permissiva su questa pratica, quelle donne povere, in quanto povere, si rivolgeranno ad altre soluzioni ugualmente problematiche, illegali e pericolose, o peggio al mercato nero, come già accade per il mercato della droga, il lavoro non assicurato e numerosi altri esempi. Qualunque fonte di guadagno per uscire dalla povertà e non morire verrebbe vagliato e non è vietando la GPA (a valle) che si risolve il problema, ma intervenendo sulle cause della povertà (a monte).
Ancora una volta, ecco l’importanza della liberalizzazione del mercato del lavoro, dell’alleggerimento delle normative e al contempo di un solido ma mirato welfare che sappia chirurgicamente gestire i presupposti del problema, cioè la povertà, restituendo alle persone povere la loro autodeterminazione, prevenendo il ricorso alla GPA da parte di donne costrette a farlo per sostentarsi (e non libere di sceglierlo per un ulteriore introito) ed evitando tutte le esternalità che esso produce sul corpo e sulla vita della donna. In tal senso, l’utero in affitto diventerebbe semplicemente una delle tante opzioni, che le donne in condizioni economicamente dignitose potranno accettare o non accettare autonomamente, esattamente come accade (o dovrebbe accadere) per il sex work.
Un ultimo, ma importante, problema che viene posto è la questione della genitorialità: in base alla circostanza, l’utero in affitto va a configurare una maternità biologica da parte della gestante, a cui viene successivamente sottratto (per contratto e per consenso) il nascituro che le è figlio geneticamente, riassegnato poi al genitore richiedente. Tuttavia, nei Paesi in cui la GPA è legale, la gestante non è giuridicamente considerata genitrice dei bambini nati: anzi, la legge normalmente considera genitori a tutti gli effetti i genitori intenzionali, ossia i richiedenti che hanno fatto ricorso alla pratica. In tal senso, la madre surrogata si costituisce semplicemente come un “vettore” che certamente contribuisce biologicamente al piccolo, ma la genitorialità è effettivamente riconosciuta sul piano pedagogico, sociale e culturale: è genitore chi si fa carico, cresce, educa e si prende cura dei figli, a prescindere dal legame biologico. Altrimenti non dovremmo permettere neanche le comuni adozioni.
Per portare alcuni casi concreti, in Grecia i genitori intenzionali sono automaticamente riconosciuti come genitori del bambino fin dalla nascita e la GPA può essere solo gestazionale (l’ovulo cioè non deve appartenere alla donna gestante e tra lei e il nato non devono esserci legami genetici). Caso simile l’Ucraina, dove i genitori riconosciuti sul certificato di nascita sono quelli intenzionali, senza bisogno della procedura di adozione prevista altrove. Nel Regno Unito, invece, la legge individua in un primo momento il genitore legale nella partoriente, ma è previsto un percorso di adozione da parte dei genitori intenzionali (con tempi relativamente brevi, di massimo un anno), se residenti nel Regno Unito. In caso di disaccordo (ad esempio se la donna gestante cambia idea e vuole essere riconosciuta come madre) vengono fatte valutazioni caso per caso in tribunale, avendo come criterio l’interesse superiore del minore.
Ci sono ancora pochi studi sulla condizione dei bambini nati da GPA e tendenzialmente riguardano bambini ancora piccoli, ma generalmente emerge che non stanno né meglio né peggio di altri bambini, che il loro benessere dipende dalla qualità dei rapporti familiari più che dalla struttura della famiglia e che per la maggior parte di loro è chiara la differenza tra la gestante e la propria madre. Inoltre, dalle testimonianze raccolte dal Post un anno fa sappiamo che alcune coppie italiane hanno scelto di mantenere un rapporto con la gestante, frequentandola e parlando apertamente con i propri figli del suo ruolo, per favorire il superamento delle barriere psicopedagogiche nello sviluppo e nella crescita dei bambini.
Ovviamente, alla legalizzazione della GPA retribuita in Italia sarebbe necessario affiancare un’infrastruttura assistenziale (anche qui, può essere opzionale e facoltativa, ma deve esserci questa possibilità welfaristica) che tuteli, segua e curi al meglio le donne che si prestano a questa importante e pesante scelta, che ha conseguenze significative sul proprio corpo e sulla propria vita. In ottica di libertà individuali, però, libere scelte e libere contrattazioni tra individui, pur mediate dalle istituzioni e dalla normativa vigente, sono sempre sacrosante finché c’è consenso tra i contraenti. Negoziamo e contrattiamo in ogni singola interazione umana, scambiando tempo, energia, servizi, beni, affetto e tutto ciò che abbiamo da offrire come individui e come esseri umani.
Il problema dei diritti delle donne, esattamente come per l’aborto, deve essere rimesso nelle loro mani, una volta conseguita la possibilità di esercitare la propria autodeterminazione. La battaglia per il superamento dei problemi sopra citati va condotta sul piano delle politiche economiche e sociali e non contro l’utero in affitto, che è al più una delle tante possibilità offerte dal mercato di guadagnare mettendosi al servizio degli altri volontariamente. Ma a questo scopo una GPA solo altruistica non basta. Anzi, essa sarebbe addirittura un’ipocrisia, perché la forza dell’utero in affitto sta nel fatto che entrambe le parti sono ricompensate in qualche modo.
Affinché una pratica del genere giovi sia ai richiedenti sia alle gestanti è necessario legalizzare e liberalizzare la GPA retribuita, la quale, nel caso il compenso pecuniario sia mediato istituzionalmente (GPA retribuita legalizzata), assicura una regolamentazione e una tutela top-down che il mercato nero non fornisce, e garantisce cifre dignitose alle gestanti (si parla di almeno 10.000 euro nei Paesi che la contemplano), evitando che si rivolgano comunque al mercato nero (come accade oggi per il cambio di sesso, gli aborti e la droga). Nel caso in cui, invece, la retribuzione sia negoziata liberamente tra i contraenti, la GPA retribuita legalizzata e liberalizzata è nella sua forma più completa, perché include la forma altruistica come suo caso particolare (banalmente, con la GPA retribuita è contemplato che la gestante negozi la gratuità del servizio, in caso lo voglia fare per volontariato o carità). In entrambi i casi, sulla base del principio lockeano della disponibilità del corpo e della vita, per cui bisogna essere liberi di decidere cosa fare col proprio corpo, non basta l'”utero solidale e altruistico”, ma è necessaria l’unica forma di GPA veramente legittima, quella retribuita, legale e libera (che include come caso particolare quella altruistica).