Washington, Pechino e Pyongyang, nelle loro rispettive differenze, sono ad oggi i responsabili del nuovo approccio di Tokyo verso l’attuale scenario globale.
In questo articolo vedremo come il Giappone si è riscoperto negli ultimi anni meno pacifista e più strategicamente impegnato, sia per sé stesso che per i propri alleati.
La chiusura del capitolo imperialista, stroncato dallo strapotere statunitense durante il secondo conflitto mondiale, ha rappresentato per il Giappone l’inizio di una politica estera antimilitarista e radicalmente distaccata dal resto degli affari internazionali.
La costituzione giapponese, nata nel 1947 e figlia di quella fallita missione espansionistica, incarnò fin da subito il nuovo spirito pacifista dell’arcipelago attraverso il suo articolo 9, che determinò un radicale mutamento della sfera militare, ridimensionata nel suo potenziale bellico attraverso il rimpiazzo del Dai-Nippon Teikoku Rikugun (esercito imperiale giapponese) con le quiete e inoffensive Jieitai (forze di autodifesa), ancora oggi in servizio.
Tale ridimensionamento – che rappresentò per Tokyo una presa di distanza netta dal proprio passato imperialista e per gli alleati una misura di sicurezza verso possibili atti revanscistici del nemico sconfitto – e il profondo pacifismo che ne emerse, forzarono il Giappone a vivere una condizione di estrema dipendenza verso gli Stati Uniti, che si estese dai primi anni della Guerra Fredda fino all’inizio del XXI secolo. Questa condizione, inizialmente più che benvoluta da Washington, venne successivamente percepita dall’alleato statunitense come un limite gravante all’interno della partnership con il governo nipponico.
La Beiatsu (termine specifico utilizzato dai giapponesi per fare riferimento alla “pressione statunitense”) su Tokyo non tardò ad arrivare. Negli anni a seguire l’alleato nipponico fu costantemente invitato a ricoprire un ruolo attivo – che prescindesse la sfera economica – verso gli affari globali. Uno degli episodi più celebri fu il tentativo dell’amministrazione di George H.W. Bush di coinvolgere il Giappone nella guerra del Golfo del 1991. Le aspre critiche americane che emersero a seguito del mancato sostegno bellico rappresentarono per Tokyo un primo scossone decisivo.
Oltre all’enorme pressione statunitense, anche la scomoda vicinanza territoriale con la Corea del Nord e la Cina risultò determinante per spingere il Giappone verso una nuova rivoluzione, sia nel campo della difesa che in ambito strategico.
La crescente minaccia atomica e convenzionale proveniente da Pyongyang, concretizzatasi negli ultimi anni in continui test missilistici sempre meno tollerati da Tokyo, e le nuove sfide strategiche imposte da Pechino, hanno costretto il Giappone a rientrare nella storia attraverso gli occhi della Realpolitik.
Il secondo decennio del XXI secolo ci rende dunque partecipi di una nuova “volontà di potenza” dell’arcipelago nipponico.
Questa, concretizzatasi sotto l’ex primo ministro Shinzo Abe attraverso vari tentativi – non riusciti – di modifica della Carta costituzionale giapponese, e l’entrata in vigore di una legge che garantisce alle Jieitai la possibilità di compiere missioni e ricoprire ruoli attivi all’estero, continua oggi a crescere e ad evolversi, soprattutto dopo gli sforzi della recente amministrazione di Fumio Kishida.
Anzitutto il nuovo Giappone riscopre una forte complementarità strategica con i propri alleati, sia all’esterno che all’interno dello scenario strategico dell’indo-pacifico. Da qui una rinnovata politica estera giapponese, diretta ad alimentare questa sinergia, con l’obiettivo di ricoprire un ruolo importante al suo interno.
Il recente discorso dell’11 aprile 2024, tenuto da Kishida durante una riunione congiunta del Congresso americano, oltre a rappresentare un’inversione storica nei rapporti bilaterali con Washington, rispecchia pienamente questo nuovo modus operandi. In particolar modo, le parole dell'ex primo ministro giapponese fanno emergere chiaramente la volontà della nazione di giocare strategicamente al fianco di Washington come principale alleato; un cambiamento radicale rispetto a qualche decennio fa.
Anche i rapporti con l’alleanza atlantica hanno subito nell’ultimo decennio un significativo miglioramento.
Sebbene il Giappone e la NATO si siano impegnati a dialogare e cooperare dai primi anni Novanta, è dall’aprile del 2013 che il partenariato bilaterale ha incominciato a riscontrare un progressivo consolidamento. Il crescente senso di appartenenza verso gli alleati occidentali ha spinto Tokyo a partecipare sempre più attivamente alle riunioni organizzate dal blocco atlantico negli ultimi due anni. In particolar modo di grande importanza è stata la recente partecipazione, in veste di membro dell’IP4, al summit NATO del 2024 (nel quale si sono discusse tematiche inerenti la nascita di nuovi progetti nei settori destinati al supporto dell’Ucraina e l’avvicinamento tra la Corea del Nord e la Russia), in quanto ha denotato da parte del Giappone una profonda attenzione verso le attuali dinamiche della zona euro-asiatica e la volontà di trarre tutti i vantaggi possibili dall’essere parte attiva e determinante del blocco occidentale.
Il crescente avvicinamento ai propri alleati ha inoltre reso possibile importanti azioni quali, la partecipazione attiva – durante il periodo di consolidamento dei rapporti tra Mosca e Pyongyang – ai pattugliamenti marittimi con il Canada, il Regno Unito e gli altri tre membri dell’IP4, organizzati per garantire il rispetto delle sanzioni inflitte alla Corea del Nord, e l’accoglienza nel porto di Yokosuka del Carrier Strike Group italiano – guidato dalla portaerei Cavour – sbarcato in “terra” nipponica – come riportato da Kyodo News– per tenere delle esercitazioni congiunte con la Japan Self Defense Maritime Force (MSDF).
La cerchia dei rapporti consolidati dal Giappone non ferma la propria estensione a Washington e ai membri NATO, ma raggiunge anche – a partire dal 2022 – la Corea del Sud.
Per chi non è nuovo a questi temi, non è un mistero l’ambiguità di fondo che per anni ha pervaso, e continua a pervadere, i rapporti tra Seoul e Tokyo. Il peso del passato infatti non solo ha costretto i giapponesi a vivere per decenni in una condizione di pacifismo pragmaticamente insostenibile, ma ha rappresentato regolarmente un forte ostacolo nelle relazioni con la Repubblica di Corea. In particolar modo il 2018 è stato l’anno più buio di un rapporto intrinsecamente problematico e costantemente travagliato.
Il passaggio alla presidenza sudcoreana di Yoon Suk-Yeol – di stampo conservatore – , in carica dal marzo del 2022, si è rivelato determinante per avviare un percorso di riappacificazione tra le due parti. Nel discorso del 1° marzo 2023, durante il 104° anniversario del movimento per l'indipendenza coreana contro il Giappone coloniale, il primo ministro Yoon ha compiuto un passo decisivo, riconoscendo in Tokyo non più un aggressore coloniale e militarista, quanto piuttosto un alleato con cui condividere gli stessi valori e collaborare su questioni inerenti la sicurezza, l’economia e le attuali sfide globali.
Le rispettive nazioni sotto le amministrazioni Yoon e Kishida hanno stabilito come priorità assoluta la sicurezza della regione. Ciò rende di fatto altrettanto prioritaria la necessità di lasciarsi il passato alle spalle e far leva sui punti in comune, a vantaggio di una maggior efficacia nel tener testa ai propri avversari e di un miglior coordinamento al fianco degli USA. Il contenimento della Cina – con la conseguente preservazione della stabilità e della pace nello stretto di Taiwan – e la minaccia nordcoreana rappresentano ad oggi due dossier inaggirabili per Tokyo, Washington e Seoul. In particolar modo il recente avvicinamento della Corea del Nord alla Russia ha dato modo alle due nazioni – attraverso i rispettivi leader e ministri degli esteri – di consolidare la loro vicinanza.
A seguito delle preoccupazioni espresse verso il rafforzamento dei legami militari tra Pyongyang e Mosca, i due leader – ai margini del summit NATO tenutosi a Washington – hanno ribadito la necessità di rafforzare la cooperazione trilaterale con gli Stati Uniti. Soprattutto Kishida ha rimarcato come la ferma e reciproca fiducia e la condivisione delle prospettive strategiche siano la base su cui entrambe le parti concentreranno lo scambio di opinioni e la coordinazione bilaterale.
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