Con il proseguire brutale del conflitto nella striscia di Gaza dopo il non di meno bestiale attacco sferrato dalle milizie islamiste palestinesi all’interno dei confini israeliani, sono ovviamente fioccate accuse e denunce di ogni genere sui due attori principali del conflitto. Alcune di queste accuse hanno già trovato il loro posto sui tavoli della giustizia internazionale in attesa di verifiche o smentite.
C’è però un vaso di Pandora che sta venendo scoperchiato un pò alla volta, ancora prima degli eventi che hanno portato all’escalation in corso, ed è quello che riguarda la credibilità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Recentemente Martin Griffiths, Capo degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, ad una domanda posta durante un’intervista ha dichiarato che l’ente da lui rappresentato non ritiene “Hamas” una organizzazione terroristica bensì un movimento politico con aspirazioni che andrebbero prese in considerazione dalla comunità internazionale.
Mettendo da parte l'interrogativo se tra le legittime aspirazioni di cui parla Griffiths sarebbero da includere anche lo sterminio degli ebrei e la riunificazione del mondo sotto un unico Califfato islamico, è inquietante notare come tale dichiarazione segua di pochi giorni il recente scandalo che ha coinvolto l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nell'assistenza dei rifugiati palestinesi. I loro uffici a Gaza, infatti, risultavano essere posizionati a pochi metri di distanza dai quartier generali di "Hamas". Inoltre, vi è documentazione riguardo la partecipazione di vari membri del loro personale al raid del 7 Ottobre.
Di fronte alle scarsamente credibili giustificazioni del Commissario dell'agenzia Philippe Lazzarini sulla loro ignoranza in merito, anche alla luce delle testimonianze raccolte dal New York Times stando alle quali precedenti denunce erano già filtrate anni fa grazie ad un operatore inglese che aveva poi dovuto lasciare l’agenzia per le minacce ricevute, diversi stati occidentali hanno deciso di sospendere i loro finanziamenti all’ente.
Le controversie accompagnano l’UNRWA fin dalla sua creazione nel 1949 per la sua natura “eccezionale” nel senso letterale del termine, essendo tutti gli altri profughi sparsi nel mondo sotto responsabilità diretta dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Parliamo quindi di due uffici posti nella stessa casa con medesime mansioni, ma che per ragioni inestricabili sembrano seguire regole e principi assai diversi così che la maggioranza dei circa sei milioni di palestinesi classificati come esuli da uno sportello non riceverebbero la stessa qualifica dall’altro.
L’UNRWA non è comunque l’unica ramificazione del Palazzo di Vetro a soffrire di infiltrazioni di soggetti dalla dubbia imparzialità. Già da qualche tempo il World Food Programme risulta aver assunto come sua portavoce nella striscia la giornalista Hind Khoudary, salita alla ribalta internazionale nel 2020 per aver denunciato alle autorità di “Hamas” alcuni attivisti per la pace colpevoli di aver avuto un dialogo a distanza con alcuni israeliani. Nel frattempo, la relatrice speciale Francesca Albanese (a cui Israele ha vietato l’ingresso nel proprio paese il 12 Febbraio dopo che sul social X la stessa aveva sostenuto che la strage del 7 Ottobre non fosse un crimine antisemita, bensì una reazione all’oppressione israeliana sui palestinesi) risulterebbe prendere fondi da lobby palestinesi e partecipare a conferenze insieme ad esponenti della guerriglia islamista violando le regole di condotta da lei sottoscritte.
Sono solo indizi di un problema strutturale, se pensiamo che nel 2022 il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite risulta aver approvato in reprimenda verso Israele un numero di risoluzioni maggiore di quelli contro Afghanistan, Cina, Russia (che quell’anno aveva invaso l’Ucraina) ed Iran sommate tra di loro. Nell’ultimo Novembre, proprio la Repubblica degli Ayatollah risulta essersi guadagnata il diritto di presiedere ad un Forum sui Diritti Umani a Bruxelles a dispetto delle ripetute e palesi violazioni contro i propri manifestanti che chiedevano l’abolizione delle norme di stampo teocratico.
Tali situazioni non possono che gettare discredito su una associazione sorta dopo il conflitto più distruttivo della storia umana per garantire stabilità e democrazia anche mediante lo strumento militare in mancanza di alternative praticabili. Eppure guardandoci indietro ad osservare i cadaveri sfigurati a colpi di machete in Rwanda, i profughi bosniaci fucilati dall’artiglieria serba nei pressi di Srebrenica e gli ucraini stretti nella morsa dello zarismo panslavo quanto di quel meraviglioso sogno può dirsi portato a compimento?