Verso un green pass europeo condiviso

Né un passaporto né una condizione preliminare per esercitare i diritti di libera circolazione. Alla ricerca di un certificato verde digitale che garantisca libertà di movimento senza discriminazioni

Il diritto dei cittadini dell'UE di circolare e di soggiornare liberamente all'interno dell'Unione europea è una delle conquiste più preziose dell'Unione e un volano importante della sua economia.

E' questa la frase iniziale dellaproposta di regolamento, presentata dalla Commissione europea il 21 marzo scorso, sull'istituzione del cosiddetto certificato verde digitale.

La ratio è agevolare la libera circolazione, fornendo ai cittadini certificati interoperabili, reciprocamente accettati tra gli Stati membri che, nel momento in cui ci saranno maggiori dati scientifici sulla vaccinazione anticovid, consentiranno ai Paesi di revocare le restrizioni in maniera coordinata.

Secondo la Commissione, l'assenza di un'azione unitaria europea porterebbe i singoli Stati all'adozione di sistemi diversi, con la conseguenza di causare possibili problemi ai cittadini nel far accettare i propri documenti in altri Stati membri.

Ma la libera circolazione all'interno dello spazio Schengen è un diritto fondamentale che va assicurato. Lo affermano diverse disposizioni quali la Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen,l’articolo 22 del Regolamento (UE) 2016/399, l'artico 21 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché l'articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Per questo, la Commissione europea ha lavorato con gli Stati membri nell'ambito della Rete di assistenza sanitaria online - una rete volontaria che collega le autorità nazionali responsabili dell'assistenza sanitaria online - e con il Comitato per la sicurezza sanitaria, alla preparazione dell'interoperabilità dei certificati di vaccinazione. Ed il 27 gennaio scorso, la rete eHealth ha adottato gli orientamenti sulla prova della vaccinazione a fini medici, aggiornati il 12 marzo, che definiscono gli standard di codici preferiti e dovrebbero costituire la base delle previste specifiche tecniche.

Lo stesso 12 marzo è stata anche concordata la bozza del trust framework ("quadro di fiducia") sull'interoperabilità dei certificati sanitari ed il 17 febbraio il Comitato per la sicurezza sanitaria ha concordato un elenco comune di test antigenici rapidi per il Covid-19 riconosciuti dagli Stati membri, oltre a una serie comune standardizzata di dati da inserire nei certificati riguardanti i risultati dei test per la Covid-19.

Per facilitarne l’adozione della proposta sul certificato verde digitale entro l'estate, durante il dibattito in plenaria del 24 marzo scorso, i deputati del Parlamento europeo hanno deciso di applicare la procedura d’urgenza (in base all'articolo 163 del Regolamento interno), che consente un esame più celere delle proposte della Commissione europea. Inoltre, come preannunciato dal commissario al Mercato interno dell'Ue, a capo della task force per i vaccini, Thierry Breton, il certificato dovrebbe essere disponibile già a partire dal 15 giugno.

Tuttavia, il possesso di un "certificato verde digitale", come sostiene la Commissione europea, non deve diventare una conditio sine qua non per l'esercizio della libera circolazione. Va evitata, dunque, qualsiasi forma di discriminazione. Chi non è vaccinato - per motivi medici o perché non rientra nel gruppo di destinatari per i quali esso è raccomandato, come i bambini, o perché non ha ancora avuto la possibilità di essere vaccinato o non desidera essere vaccinato -  dovrà poter continuare ad esercitare il diritto alla libera circolazione, assoggettandosi a restrizioni come un test obbligatorio e un periodo di quarantena/autoisolamento. In particolare, aggiunge la Commissione, il regolamento sul green pass non deve essere interpretato come un obbligo o un diritto ad essere vaccinati.

Saranno tre le condizioni valutate:

  • un "certificato di vaccinazione", comprovante che al titolare è stato somministrato un siero anti Covid-19 nello Stato da cui proviene;
  • un “certificato di test” indicante il risultato e la data di un test NAAT o di un test antigenico rapido;
  • un "certificato di guarigione" comprovante la guarigionr dal Covid a seguito a un test NAAT positivo o un test antigenico rapido positivo.

Tuttavia, il possesso di uno di questi certificati non costituisce, secondo la Commissione, una condizione preliminare per esercitare i diritti di libera circolazione e non può essere una condizione pregiudiziale per viaggiare.

Il Consiglio d'Europa ha evidenziato anche che "gli Stati devono informare i cittadini che la vaccinazione non è obbligatoria" e "i certificati di vaccinazione devono essere utilizzati solo per monitorare l'efficacia, i potenziali effetti collaterali e negativi dei vaccini", in quanto "utilizzarli come passaporti sarebbe contrario alla scienza, in assenza di dati sulla loro efficacia nel ridurre la contagiosità e sulla durata dell'immunità acquisita".

Quanto alla privacy, il "certificato verde" non richiederà la creazione di una banca dati a livello dell'Ue, ma dovrà consentire la verifica decentrata dei certificati interoperabili firmati digitalmente. Inoltre, poiché i dati personali comprendono dati medici sensibili, si dovrà garantire un livello di protezione dei dati molto elevato, preservando il principio della minimizzazione dei dati.

Il green pass, rilasciato a tutti i cittadini dell'Ue e valido in tutti gli Stati membri, potrà applicarsi anche all'Islanda, al Liechtenstein, alla Norvegia ed alla Svizzera.

La misura temporanea sarà sospesa quando l'Oms dichiarerà la fine dell'emergenza sanitaria internazionale, ma potrebbe essere ripresa in caso di un'altra pandemia.

Sul sito IPEX, la piattaforma per lo scambio interparlamentare dell'UE, è possibile seguire l'iter di approvazione della proposta da parte degli altri Parlamenti nazionali. Ad oggi solo l'Austria ha concluso l'esame senza rilevare elementi di criticità, mentre per la Lituania è ancora in corso la verifica.

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