Space Economy e agenzie spaziali private: l'ultima caverna di Platone

Trascrizione del video: Cronache dal Villaggio Globale - Space Economy con Andrea Giuricin

I risultati raggiunti dal settore privato nel settore spaziale con il contributo di Space X di Elon Musk per la NASA, piuttosto che per l’inizio del c.d. turismo spaziale che vede protagonisti – oltre al citato Musk – Bezos con Blue Origin e la Virgin Galatic di Branson costituiscono sicuramente uno dei più punti più salienti di questo 2021.

Tuttavia sappiamo che questa nuova frontiera dei viaggi è duramente contestata da una moltitudine di soggetti che vanno dalle organizzazioni ambientaliste (con i loro falsi dati sulle emissioni di tali missioni), a chi più o meno famoso giudica l’apertura dello spazio ai privati come una minaccia, ovvero uno spreco di risorse a fronte di problemi di gran lunga più rilevanti.

Ma è davvero così?

La space economy è uno spreco di fondi o è un nuovo volano per il nostro progresso? Questa è la domanda al centro della puntata del 26 novembre scorso di Cronache dal Villaggio Globale con Famularo, Canestrani e Giuricin e alla quale qui voglio contribuire.

Space economy: l’ultima frontiera promuove il progresso

“Spazio. Ultima frontiera”

Per chi non abbia mai visto Star Trek queste erano le parole iniziali della sigla, una frase che è tutt’altro che casuale.

La storia umana possiamo vederla come un insieme di frontiere, di limiti che abbiamo cercato (e tuttora cerchiamo) di superare con una costante attività di innovazione negli strumenti e nel metodo che riguarda anche lo spazio: l’ultima frontiera ci ha spinto, ci spinge e ci spingerà a un cambiamento che è a vantaggio di tutti noi, anche in quegli aspetti che non si direbbe mai. Perché?

L’insieme delle attività e delle risorse impiegate nella creazione e fornitura di supporto agli esseri umani nell’esplorazione, comprensione, gestione e uso dello spazio è detta economia spaziale space economy) e si compone in tre settori d’attività: [1]

  • settore a monte: ricerca e sviluppo, produzione e lancio;
  • settore a valle: operazioni infrastrutturali e attività sul suolo terrestre (c.d. down-to-earth) che fanno affidamento sulle tecnologie spaziali per esistere e funzionare;
  • attività derivate: “originate” da un trasferimento tecnologico dal settore spaziale;

dei quali quest’ultimo consente in particolar modo di comprenderne l’importanza non solo quotidiana, ma anche futura del settore.

Andando infatti oltre al mero “formalismo” della previsione normativa di questo contributo dell’attività spaziale,[2] vi siete mai chiesti quanto dell’odierno stato di sviluppo sia dovuto al settore spaziale?

Considerare per esempio il solo settore delle telecomunicazioni (televisioni, cellulari, rete internet): esiste qualcuno che vuol negare l’importanza di un sistema di comunicazione rapido ed efficiente, ovvero la sua storicità come problema?

Pensate poi a quanto cerchiamo le indicazioni per arrivare in un luogo, ovvero vogliamo sapere la posizione dei nostri pacchi o ci troviamo di fronte a un semaforo intelligente (smart cities); siete consapevoli che tutto ciò ci è possibile grazie alla tecnologia GPS che a sua volta opera grazie all’insieme dei satelliti orbitanti intorno al nostro pianeta?

E che dire del contributo dato alla sanità?

Fattori come radiazioni, temperature estreme e assenza di gravità impattano sul nostro corpo e conoscerne gli effetti è fondamentale ai fini delle esplorazioni spaziali, specialmente se puntiamo a missioni come la colonizzazione di Marte dato che al momento la permanenza massima di un umano nello spazio è stata di un anno sulla Stazione spaziale Internazionale.

Quest’ultima invero è un esempio di contributo in tal ambito visto che la tecnologia con cui si riciclano le acque reflue degli astronauti è usata ad oggi in Marocco per rifornire gli studenti di acqua, condividendo poi il surplus con la popolazione locale; altri contributi invece sono i coagulometri tascabili, il cardiac imaging system, i sistemi di purificazione dell'aria nei reparti di terapia intensiva ospedaliera, il miglioramento delle protesi per i disabili, l’implementazione delle capacità di intervento mirato sulle cellule tumorali o nelle operazioni neurochirurgiche.

A questi esempi (e non di certo conclusivi) sono le applicazioni derivanti dall’abbigliamento termico spaziale (in ambito medico, sportivo e lavorativo), dagli ammortizzatori anti-vibrazione dei razzi spaziali (edilizia civile) e dai filtri ottici, tutti casi che dunque dimostrano come la space economy abbia e dia tuttora un enorme contributo allo sviluppo della nostra società grazie alle centinaia di trasferimenti tecnologici (c.d. spin off) da lì giunti

e che per la sola NASA valgono lo sviluppo di quasi 2000 prodotti commerciali tra il 1976 e il 2018, numeri al cui interno (e non solo) vi sono anche tecnologie e prodotti con cui affrontare la sfida del contrasto e adattamento al cambiamento climatico.

Il contributo della space economy contro il cambiamento climatico

Il trasferimento tecnologico qui ha due essenziali finalità: comprensione ed implementazione.

Partendo dal primo, per affrontare il problema del riscaldamento globale dobbiamo attenerci alla razionalità e al metodo scientifico, non di certo al neopaganesimo distorto degli ecologisti integralisti che vedono nella natura una sorta di divinità dotata di sentimenti umani, quando essa non è altro che una realtà dispensatrice di vita e morte e di cui non siamo che una minuscola parte tutt’altro che da essa privilegiata a priori.

Pensateci bene: quando dovete risolvere un problema che cosa fate? Cercate di ottenere tutte le informazioni possibili al meglio delle vostre possibilità o puntualmente agite come se steste giocando alla roulette russa?

Noi abbiamo bisogno di informazioni, di dati con cui ulteriormente validare ciò che da un punto di vista logico ci sembra di per sé corretto: non si può migliorare ciò che non si comprende a pieno.[3]

I satelliti – oltre al citato GPS e alle previsioni meteo “giornaliere” – ci aiutano a ottenere maggiori informazioni sul nostro globo (monitoraggio uso del suolo e delle risorse forestali, idriche ecc, fenomeni emergenziali), dandoci così la possibilità di implementare le nostre capacità di analisi e prendere così decisioni migliori per uno sviluppo più sostenibile.

Giusto per darvi un’idea di ciò tralasciamo i molteplici casi di progetti e iniziative che coinvolgono Agenzie spaziali e istituzioni governative a livello globale e regionale (Africa, Himalaya, area del fiume Mekong) a ciò dedicati e consideriamo il caso di Samuel Block.

Come evidenziai nella mia tesi di laurea magistrale,[4] uno degli aspetti più critici nella transizione ecologica è l’integrazione delle c.d. variabili ESG (ammessa la loro corretta individuazione) con quelle economico-finanziarie ai fini di una corretta valutazione del rischio, un problema tutt’altro che irrilevante[5] e che interessa tutte le istituzioni del mondo finanziario-assicurativo, siano imprese come banche, agenzie di rating e assicurazioni, piuttosto che Autorità come BCE, EBA, ONU ecc

In tal senso Samuel Block è il vice-presidente di ESG Research (MSCI) – una delle principali agenzie di rating ESG – e in un’intervista di qualche tempo fa citò il caso di Córrego do Feijão di Vale SA (Brasile), dove a seguito del crollo di una diga in una miniera (gennaio 2019) si ricorse ad analisi geo-spaziali satellitari per integrare i dati forniti dalla società e quindi avere una più corretta valutazione del suo profilo di rischio.

E se questo ci aiuta a capire perché la space economy ci dà un valido supporto per meglio comprendere la nostra realtà globale, allora penso sia di immediata comprensione il perché ci aiuti anche sul fronte dell’implementazione.

Con una visione più chiara dei problemi è possibile avere un più corretto sforzo di innovazione, di cambiamento d’approccio ovvero di implementazione delle tecniche e tecnologie con cui fronteggiarli e non a caso, lo spazio ci pone di fronte a nuove sfide da superare e che hanno valenza anche qui sulla Terra, come può essere la tecnologia di filtraggio d’aria, piuttosto che la questione dei fertilizzanti a lento rilascio (rilevante per le missioni su Marte), ovvero il campo dei c.d. materiali compositi che sebbene sia l’ennesimo caso di “questione vecchia quanto la civiltà umana”, nel contesto spaziale diventa ancor più critico poiché necessitiamo di materiali che siano tanto resistenti quanto leggeri.

Ma a fronte di tutto ciò una domanda legittima che sorge è: ma qual è la dimensione “economica” della space economy?

Le dimensioni dell’economia spaziale

Questo calcolo solleva problemi di ordine metodologico non indifferenti.

Secondo le stime dell’OCSE (2019) i ricavi commerciali globali annui si aggirano tra i 280 e i 350 mld di dollari suddivisi in:

  • servizi satellitari commerciali: 126-130 mld;
  • apparecchiature di consumo (elettronica per dispositivi, microchip, antenne ecc): 125-130 mld;
  • produzione di sistemi spaziali: 20 mld;

cifre a cui andrebbe però poi aggiunto il valore dei sopracitati trasferimenti tecnologici che riguardano una moltitudine di settori spazianti dall’agricoltura alle infrastrutture, dai trasporti all’ambiente,[6] punto sul quale vi è la maggior diatriba metodologica.

È infatti fino dalle origini dei programmi spaziali (anni ’60)[7] che gli economisti cercano di misurare i c.d. spin-off del settore spaziale con i più diversi approcci, col risultato che si è giunti ad elaborare modelli di ordine microeconomico sulle singole tecnologie, piuttosto che macro che variano non solo a livello di oggetto di ricerca (definizione di spin-off, effetti diretti e indiretti),[8] ma anche sull’orizzonte temporale degli effetti stessi.

Tenendo dunque conto di tale complessità, le stesse stime sulla dimensione economica futura sono differenti e ad oggi sono diversi gli studi che ci vengono forniti da banche e società d’investimento; in particolar modo, se prendiamo ad esempio le stime fornite da Morgan Stanley:

vediamo come si stimi di raggiungere un valore superiore al trilione entro il 2040, una cifra che al di là dell’ordinaria valutazione sulla potenziale espansione di un settore, ci porta in tal sede a comprendere l’importanza del ruolo qui giocato dalle agenzie spaziali private e dai miliardari che è di per sé riassumibile in una sola parola: concorrenza.

Il contributo delle agenzie spaziali private: la concorrenza stimola l’innovazione

Che piaccia o no, specialmente qui in Italia, la concorrenza non è quel mostro che alcuni vorrebbero farci credere, limitati come sono – vuoi per paura, mancanza di coscienza o malafede che sia – nel considerare i soli effetti manifesti di un dato fenomeno (quello che Bastiat chiamava “ciò che si vede e ciò che non si vede”).

La concorrenza è parte di tutti noi, è una nostra naturale caratteristica umana fonte di dinamismo che genera innovazione e ricchezza; ognuno di noi compete prima con sé stesso per decidere la gerarchia dei suoi bisogni e successivamente con gli altri per acquisire le risorse necessarie al soddisfacimento, ricordandoci che queste sono scarse e che non tutto può trovare appagamento.

La concorrenza tra imprese non è dunque che una manifestazione di questa nostra caratteristica: quando vendiamo un bene e/o un servizio per ottenere in cambio le risorse a noi necessarie non ci si confronta con l’ambiente circostante?

Questo confronto sociale si fonda sulla nostra capacità di saper soddisfare al meglio le altrui esigenze – mutevoli quanto la nostra stessa realtà in cui l’equilibrio è un mero momento temporaneo – con il fine ultimo di migliorare la propria produttività, tagliare i costi, disaccoppiare crescita e uso di risorse, aumentando così la torta a disposizione di tutti, fermo però restando che con queste parole non si vuole in alcun modo legittimare il mito della crescita perenne e costante.

Ciò – invero – non ha solo un solido fondamento teorico, ma anche un riscontro empirico secolare di cui la space economy è l’ennesima riprova.

Le agenzie spaziali private hanno infatti posto fine al decennale monopolio statale, dando così il via a un’enorme espansione del settore che – come abbiamo ben compreso – si traduce in enormi benefici per tutti noi.

È grazie a realtà come SpaceX che ad oggi possiamo andare in orbita con un costo al kilo che è dieci volte inferiore rispetto al passato, una dinamica di contrazione del costo che nel tempo si rafforzerà proprio grazie ad attività come il c.d. turismo spaziale. Perché?

Perché questo è un settore di frontiera: il processo di apprendimento è learning by doing, i rischi e i costi sono alti, le economie di scala non ancora vicine, i problemi all’ordine del giorno.

Avere quindi dei miliardi che sono disposti a pagare volontariamente enormi cifre per farsi un giretto consente di ottenere risorse da destinare alla ricerca che è de facto correttamente indirizzata a risolvere i problemi più critici per ottenere un servizio sempre più efficiente ed efficace, con un conseguente sviluppo tecnologico importante per tutti noi!

Pensate infatti al solo ambito dei trasporti aerei.

Come ci ricorda Giuricin nella diretta, una delle maggiori criticità – sia a livello economico che ambientale – è il costo del carburante; l’uso di materiali compositi sviluppati nel contesto del settore spaziale (e/o militare), come altresì il finanziamento di studi per la produzione di nuove forme di carburante non va forse a nostro vantaggio?[9]

Oppure che dire del caso della missione Inspiration 4 della SpaceX dello scorso settembre? Oltre a essere la prima missione interamente civile, essa è un esempio di impegno privato a fini sanitari visto che aveva l’obiettivo (raggiunto) di raccogliere fondi (200 mln di dollari) per le cure dei bambini dell’ospedale di Memphis.

In tal senso, vorrei quindi richiamare a conclusione le parole dette da Canestrari a inizio video sulla trita e ritrita proposta di alzare le tasse ai ricchi nel nome del riscaldamento globale:

Ad oggi chi ha dimostrato di saper produrre la tecnologia necessaria a risolvere tale problema sono stati solamente l’industria militare e spaziale […] Il fatto che esistano persone disposte a pagare enormi cifre per un viaggio di soli 10 minuti a 100 km di altezza o anche meno è positivo, perché ci consente di trovare i soldi con cui finanziare le tecnologie che servono a risolvere i nostri problemi.

Se esiste dunque un modo per far pagare ai superricchi il problema del riscaldamento globale, questo è proprio quello di dar loro tale giochino in quanto driver per la creazione di tecnologie con cui ottimizzare le risorse, generare più energia e quindi avere un maggiore e migliore sviluppo per tutti noi”.

 

Che sia però chiaro: qui nessuno promuove comportamenti ideologizzati.

Tutti siamo consapevoli che vi sono difficoltà e che lo sviluppo ha dei costi, come altresì la natura di homo agens dell’uomo; tuttavia, questa è l’ultima frontiera dell’esplorazione che al momento ci rimane da affrontare, l’ultima nostra caverna di Platone se lo mi si può concedere.

E date le opportunità chiedetevi questo: saremo razionali e la coglieremo, o cederemo a chi nel nome del peggior odio ideologico diffonde bugie e menzogne in forza di un’abnorme manifestazione di corruzione metodologica composta di cherry picking, ideologia del modello superfisso e del “gioco a somma zero”, nonché del più becero negazionismo della natura umana e dei meccanismi alla base del nostro sviluppo e progresso?

 

[1] Fonte: OCSE (2020), Measuring the economic impact of the space sector: Key indicators and options to improve data
[2] L’atto del 1958 con cui si istituì la NASA (National Aeronautics and Space Act) sancisce infatti al Sec. 102 che le attività nello spazio dovrebbero essere dedicate a scopi pacifici a beneficio di tutta l'umanità.
[3] Non si può ritenere di far scienza, ovvero di agire in modo razionale se come metodo di ricerca si è puramente empirici o deduttivi; le criticità che li caratterizzano ne richiede un uso combinato.
[4] Poloni, M (2020), Integrazione ESG: luci ed ombre nell'anno 0 - Concetti fondamentali, i benefici per le imprese e le criticità nel rating: una proposta d'approccio, Ca’ Foscari
[5] Gli investimenti necessari alla transizione ecologica da qui al 2050 sono stimati intorno ai 60 trilioni di dollari secondo Figueres, l’architetto degli Accordi di Parigi del 2015.
[6] Non a caso nel citato documento OCSE viene richiamato il caso della tecnologia GPS che negli soli Stati Uniti avrebbe avuto un impatto – a decorrere dalla sua introduzione nel 1980 – di 1,4 trilioni di dollari, piuttosto che il supporto (capacità di calcolo ecc) dato per fronteggiare il Covi-19.
[7] Cohendet, Patrick (1999), Evaluating the industrial indirect effects of technology programmes: the case of the European Space agency (ESA) programmes
[8]Spin-off è infatti intendibile in due modi. Il primo è quello in senso stretto relativo alla tecnologia (sviluppo in un dato settore e poi la applico anche al suo di fuori), mentre il secondo porta a intenderla come concetto di esternalità e attiene a tutti i modi in cui tutto ciò che è stato appreso dallo svolgimento di un’attività in un dato ambito è stato poi usato in un altro contesto.
[9] Pensate al solo caso della vetroceramica: lo sapete che il c.d. Gorilla Glass che è usato per creare lo schermo dei nostri cellulari è basato su quest’ultima?

FONTI

Cohendet, Patrick (1999), Evaluating the industrial indirect effects of technology programmes: the case of the European Space agency (ESA) programmes

NASA (1958), National Aeronautics and Space Act

OCSE (2019), The Space Economy in Figures: How Space Contributes to the Global Economy, OECD Publishing, Paris, doi.org/10.1787/c5996201-en.

OCSE (2020), Measuring the economic impact of the space sector: Key indicators and options to improve data

Poloni, M (2020), Integrazione ESG: luci ed ombre nell'anno 0 - Concetti fondamentali, i benefici per le imprese e le criticità nel rating: una proposta d'approccio, Ca’ Foscari

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