La ricerca storica è un argomento complesso. Proviamo a vedere come lavora uno storico, quali sono le metodologie che usa ei problemi che deve affrontare. Proviamo a parlarne partendo dall'analisi di due classici della riflessione sulla natura della storia: Apologia della Storia o mestiere di storico di Marc Bloch e Sei lezioni sulla storia di Edward H. Carr.
Il lavoro di uno storico è molto complesso. Cosa sia la ricerca storica e quali siano i suoi metodi sono domande ancora oggi oggetto di dibattito nella comunità accademica. Montagne di inchiostro sono state versate su questo argomento e sui principi e le procedure che un “buono storico” dovrebbe seguire. Due dei più importanti scritti riflessivi in questo ambito sono: Apologia della Storia o Mestiere di storico di Marc Bloch e Sei lezioni sulla storia , di Edward H. Carr. Il primo fu pubblicato postumo nel 1949 in Francia, mentre il secondo uscì nel 1961 nel Regno Unito. Sono considerati grandi classici della letteratura riflessiva sulla natura della storia. Entrambi gli scritti enfatizzano la necessità dell'assenza di giudizi morali per produrre una valida ricerca storica.
Bloch parla di due tipi di imparzialità: quella dello studioso e quella del giudice. Entrambi cercano di comprendere al meglio cosa sia successo, studiando le fonti o interrogando i testimoni. Eppure, scrive Bloch, “ a un certo punto, le loro strade divergono. Quando uno studioso ha osservato e spiegato, ha concluso il suo compito. Al giudice tocca ancora di dare la sua sentenza.” Questo però non annulla l'imparzialità del giudice, semplicemente la rende diversa da quello dello storico. Che senso ha per un ricercatore giudicare un fatto storico? Perché mai il lettore deve essere interessato nelle posizioni personali, magari politiche dello storico che sta leggendo? Bloch fa l'esempio della rivoluzione francese: “Robesperristi, antirobespierristi, noi vi chiediamo grazia: per pietà, diteci, semplicemente, chi fu Robespierre”. Per Bloch la parola centrale è “comprendere”, non giudicare, ma cercare di capire i motivi che spinto hanno certi eventi storici.
Carr esprime una simile visione, condannando i giudizi morali. Giudicare persone come Hitler o Stalin non ha senso per uno storico, dato che molte persone che soffersero sotto i loro regimi sono ancora in vita. Va tenuto a mente che Carr scriveva questo nel '61. Lui, quindi, argomenta per una sospensione del giudizio, in modo da evitare di danneggiare in alcun modo le vittime ancora in vita. La questione però è lontana dall'essere risolta, è possibile infatti essere obiettivi analizzando dei fatti pur esprimendo un giudizio? Uno storico non deve necessariamente essere un freddo calcolatore che riporta dati senza esprimersi sulle tragedie che sta analizzando. È possibile riportare un'analisi obiettiva del regime nazista anche esprimendo disprezzo per le atrocità da esso commesse. Gli storici sono esseri umani e, come tutti noi, hanno pregiudizi e giudizi personali. Ogni libro e ricerca storica presenterà sempre un livello di giudizio personale dell'autore, rimuovendolo del tutto è impossibile, proprio per la nostra natura umana. Ogni individuo ha un'ideologia, nata dalle sue esperienze personali di vita e da ciò che ha deciso di studiare e approfondire.
Essendo questo un aspetto essenziale di ognuno di noi, perché deve essere esorcizzato dagli storici? Carr scrive anche che lo storico è figlio del suo tempo, rappresenta un punto di vista radicato nella cultura del periodo storico in cui ha vissuto. Con questo, però, riconosce dei pregiudizi intrinseci, anche contraddicendosi rispetto al suo punto di vista sopra riportato. Per esempio, Eric Hobsbawn fu un importante storico marxista dello scorso secolo, la sua chiara ideologia però, non lo precluse dallo scrivere analisi storiche rilevanti. Quindi, uno storico deve giudicare o no? È impossibile dare una risposta definitiva, ciò che può essere detto è che la ricerca storica è complessa, ed è fatta da esseri umani, e come tali hanno dei pregiudizi. Questi giudizi è inevitabile che, almeno in minima parte, finiscono nei lavori che producono.
Gli storici possono essere divisi in due grandi categorie: antichisti e medievisti da una parte, e storici dell'età moderna e contemporanea dall'altra. Per entrambi esiste una divisione nelle fonti a loro disposizioni fra primarie e secondarie. Fonti primarie sono documenti, lettere, scritti, resti archeologici, etc… sono provenienti dall'epoca che si sta analizzando, creati in quel periodo. Un esempio può essere la Magna Charta , scritta nel tredicesimo secolo, o gli Accordi di Pace di Versailles del 1919. Una fonte secondaria, invece, è una ricerca scritta da uno storico, che usa fonti primarie e secondarie per argomentare una tesi. Gli storici dell'età moderna e contemporanea hanno un problema di fronte all'enorme quantità di fonti primarie disponibili. In questo periodo, infatti, abbiamo a disposizione una grande quantità di documentazione.
Di fronte a un racconto quantità di fonti da analizzare, uno storico può finire con l'analizzare solo un numero limitato di queste ultime. Così facendo, il rischio di parzialità è enorme. Cioè di lasciare aspetti di un fatto storico, producendo una ricerca parziale, che non spiega esaustivamente il fenomeno storico analizzato. Un esempio negativo di questo sono i neoborbonici, il loro errore ricade nel cherry-picking delle fonti, scegliendo solo quelle congeniali alla loro tesi, e finendo col produrre una storia incompleta e priva di reale valore. Il problema si presenta in maniera opposta agli storici dell'antichità e del medioevo. Qui le fonti primarie sono quasi sempre molto poche, e spesso sono presenti interi periodi che ne sono quasi privati. Il rischio è sempre quello di essere parziali, finendo con il trarre conclusioni generali su poche fonti circoscritte, e che di generale hanno ben poco. La soluzione a questi annosi problemi è il passare molte ore a far ricerca, negli archivi e nelle biblioteche, per produrre ricerche che il più completo possibili. Perché, alla fine, il lavoro di un ricercatore di storia è quello di “topo di biblioteca”, cercare di passare in rassegna quante più fonti possibili, primarie e secondarie, affinché vengano prodotte ricerche valide.
C'è un problema di percezione degli storici e del loro lavoro da parte di persone esterne all'ambito accademico. Questo principalmente perché raramente una ricerca storica esce dal ristretto cerchio dei ricercatori per essere letti dal grande pubblico. Quest'ultimo si interfaccia più spesso con libri di divulgazione prodotti da storici. È importante identificare la differenza tra un libro divulgativo e una ricerca storica. Quest'ultimo è frutto di un lungo lavoro di archivio; è pubblicato su giornali accademici; presenta una estesa bibliografia e note per ogni fonte utilizzata e citata nel testo (questo per evitare il plagiarismo); e sono revisionate da pari, cioè da altri storici competenti in quell'ambito di ricerca. Un libro divulgativo invece, non ha nulla di tutto questo, è spesso una narrazione prodotta da un solo autore, non presenta citazioni e raramente ha una bibliografia. Non è frutto di un lavoro di archivio, ma un compendio di altre ricerche e di opinioni dell'autore.
La maggior parte delle persone estranee all'ambito accademico non leggerà mai una ricerca storica, ma resterà sui libri di divulgazione. Questo rappresenta un problema, così facendo, viene creata una percezione distorta del lavoro dello storico. La storia viene mostrata come una semplice narrazione di avvenimenti passati, un insieme di eventi dai quali è possibile estrapolare una morale di fondo da applicare al nostro periodo o addirittura per cercare di capire il futuro. La ricerca storica, però, è altro: è l'analisi critica di fonti primarie e secondarie, frutto di innumerevoli ore di ricerca.
Il più grande problema della storia è l'uso politico che spesso ne viene fatto. Molte persone usano avvenimenti passati per trarne una morale, creando una narrazione utile per i loro fini politici. Un esempio è la narrazione creata da Putin e dai filorussi sulla seconda guerra mondiale: giustificando la Germania nazista, in un parallelismo con la Russia odierna e la sua invasione dell'Ucraina, viene creato un argomento a favore dei Russi, che legittimamente possonore il loro attacco con basi storiche. Il problema è che si rischia di far diventare la storia uno strumento politico, manipolabile e adattabile a qualsiasi narrazione e per qualsiasi fine. Viene così a perdere l'elemento critico, tanto importante per la ricerca storica, a favore di interpretazioni parziali, che fanno diventare la storia un semplice contenitore dal quale estrarre lezioni morali utili soltanto ai propri fini.
La storia è una disciplina complessa, sulla sua metodologia che molti storici hanno scritto, primi fra tutti Bloch e Carr. Loro evidenziano la necessità dell'assenza di giudizi personali nella ricerca storica. Questa è però cosa impossibile, ogni storico ha pregiudizi che sono impossibili da eliminare del tutto dal proprio lavoro. Un problema che i ricercatori devono affrontare è la parzialità dell'analisi delle fonti: gli storici devono stare attenti, seppur in modi diversi, al non presentare un'immagine parziale, analizzando scrupolosamente fonti sia primarie che secondarie. C'è un problema di percezione degli storici, la maggior parte delle persone non legge ricerca storica, ma solo libri di divulgazione. Questo li porta a farsi un'idea sbagliata di cosa sia il lavoro dello storico. La politicizzazione della storia rischia di far passare quest'ultima come uno strumento dal quale prendere narrazioni utili ai propri fini politici. Il mestiere dello storico è complesso, e gli usi impropri della storia sono sempre dietro l'angolo. È per questa di primaria importanza cercare di capire cosa sia la ricerca storica: in cosa consiste e come funzioni.
Studente della triennale in Storia Moderna e Contemporanea all'università di Pisa, 2003. Appassionato di filosofia e scienze sociali