Premessa necessaria prima che, ancora una volta, chi scrive venga scambiato per un elettore-attivista-fan o altro del Terzo Polo e di uno dei due partiti: non provo nessuna simpatia per Renzi e Calenda, se non quella umana (talvolta) e li ritengo entrambi inadatti a rappresentare le istanze di un elettorato di centro o liberaldemocratico.
Seconda premessa: cercare un colpevole per il funerale del partito unico è un esercizio più da gossip politico che da analisi seria e rigorosa, sebbene nella politica italiana il gossip e i retroscena siano sempre più spesso sostanza e non forma.
Per comprendere come si sia giunti alla morte del feto nascituro occorre partire dal concepimento, ovvero dall'unione di Azione e Italia Viva prima delle elezioni politiche del settembre scorso. Si trattò di un matrimonio per interessi e non di un innamoramento. Azione, che allora era in ascesa nei sondaggi, aveva il problema della raccolta firme; Italia Viva, in stallo al 2% nei sondaggi ma senza la necessità di raccogliere firme, aveva il problema delle soglie di sbarramento. Una settimana prima, Calenda festeggiò la liaison con Letta esibendosi in un lascivo bacio pubblico. La reazione della base elettorale all'accordo, con quel PD di cui aveva detto in ogni occasione pubblica che non sarebbe mai stato un alleato, fu furente. Esponenti di Azione si dichiararono sconcertati.
Dopo un paio di giorni, Calenda scoprì ciò che da tempo era chiaro a tutti e che Letta non aveva mai nascosto: ovvero che, per creare un fronte contro le destre, il PD avrebbe fatto liste comuni con Fratoianni e Bonelli. Sorpresa, ma solo per il politico/saggista che ripiegò in 48 ore sul nemico giurato Renzi. Quello stesso Renzi dipinto in ogni occasione come eticamente incompatibile con i suoi valori.
Furono ore convulse. Sotto il profilo dei contenuti, l'alleanza era la più naturale possibile, con i programmi dei due partiti quasi perfettamente sovrapponibili (salvo che per le politiche fiscali, più razionali quelle di IV, più demagogiche quelle di AZ). Sullo sfondo ad ostacolare l'alleanza c'erano le personalità umorali dei due leader, la nota incompatibilità caratteriale e un anno abbondante di attacchi di Calenda a Renzi per il modo spregiudicato ed "eticamente" censurabile di far soldi con conferenze per regimi oppressivi.
Tuttavia, se è vero che pecunia non olet, comitia numquam, e l'accordo si fece. Accordo che sarebbe durato poco, se i risultati elettorali fossero stati deludenti, e avrebbe invece condotto prima a una federazione e poi a una fusione, se fossero andati bene.
L'accordo elettorale partiva da queste basi: Calenda leader, con il nome nel simbolo perché accreditato di migliori sondaggi, in cambio di equa distribuzione dei candidati nelle liste.
Mentre si lavorava nella commissione paritetica per individuare un percorso che avrebbe portato alla fusione dei due partiti, Calenda faceva alacremente scouting di disastrosi candidati alle amministrative (leggi Moratti), sconcertando ancora una volta una base troppo romanticamente legata all'idea di un partito liberaldemocratico per non vedere che di liberaldemocratico da quelle parti c'era ben poco.
Nel frattempo, baci e abbracci tra i due nemici giurati, promesse di amore eterno, complimenti reciproci finanche sulla nomina di Renzi a direttore editoriale de Il Riformista. Era appena il 7 aprile. Poi l'armageddon a cui abbiamo assistito divertiti.
Il perché si sia arrivati a una rottura tanto fragorosa quanto apparentemente incomprensibile lo lasciamo alle analisi che tutti i giornali stanno facendo in queste ore e al video semiserio nei toni, ma rigorosissimo nei contenuti, che abbiamo fatto qualche sera fa con Michele Boldrin e Sandro Brusco.
Quello che preme sottolineare è che ancora una volta il bisogno di avere nel panorama politico italiano un partito (uno solo, credibile e sufficientemente forte) che rompa gli schemi del populismo demagogico si scontra con la realtà di avere una classe politica che a quegli schemi non riesce e forse non vuole sottrarsi.
I segnali della desolazione culturale della politica italiana c'erano tutti, fin troppo evidenti.
Renzi è quello dello scontro violento con la Commissione Europea per il 3% di deficit fisso e permanente; è quello che raccontava di avere 120 miliardi di investimenti chiusi nei cassetti del MEF, dei quali cassetti aveva solo lui la chiave; è quello dell'abominio fiscale chiamato "80 euro" che gli era valso un successo senza precedenti alle europee e gli aveva fatto credere che tutto avrebbe potuto fare in quanto neo padre della patria; è quello che "o la riforma costituzionale o sparisco dalla politica", che perse la riforma costituzionale e mai sparì dalla politica.
Calenda è quello degli accordi a parole con nessuno e nei fatti con tutti; è quello che il partito liberale non va bene ma si faccia il partito popolare, repubblicano, sturziano, lamalfiano, azionista, socialdemocratico, social liberale e, perché no, anche liberale; è quello che in pandemia voleva risolvere i problemi economici italiani chiedendo alla Germania i danni della seconda guerra mondiale; è quello della ferocissima, e inutile, battaglia contro gli aiuti a FCA Italia spa, rea di avere una capogruppo in Olanda (era in UK, ma viva l'approssimazione); è quello del mea culpa per 30 anni di "cazzate liberiste"; è quello che ritiene la ricchezza sopra 1 milione tassabile al 95%; è quello della libertà che non libera e del partito forgiato sull'etica e sulla retorica della Roma imperiale.
Entrambi sono quelli che si ritengono troppo scaltri, troppo furbi o solo troppo egotici per immaginare di non essere leader di una qualunque formazione politica. Fare politica significa fondamentalmente perseguire e gestire un potere. Rinunciarvi non è contemplato nella loro visione.
Mentre scriviamo e mentre quei romantici elettori si tamponano le ferite e si asciugano le lacrime, Enrico Costa (Azione) e Luigi Marattin (IV) pubblicano una lettera aperta in cui chiedono che il percorso verso il Partito Unico non si interrompa. Avendo avuto la possibilità di conoscere molte delle persone che fanno politica all'interno di AZ e IV, posso dire che sono migliori dei due capi e che all'urgenza di un partito serio che porti nella politica un barlume di raziocinio credono davvero.
Vedremo come finirà.
Quello che sappiamo è che il Partito Unico non era vero amore; è stato solo sesso.