La Corte Costituzionale contro Salvini e tassisti: date le licenze agli NCC

Misure urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea”.

Questo è il titolo dell’art.10-bis del Decreto legge 135/2018 (ora L 12/2019). Perché dovrebbe interessarci?

Foto: Samuel Isaacs / Unsplash

Perché è la norma[1] che da oltre 5 anni impedisce di rilasciare nuove autorizzazioni per l'espletamento del servizio di noleggio con conducente (alias servizio NCC), fintanto che non sia divenuto pienamente operativo il registro informativo pubblico nazionale delle imprese titolari di licenze taxi e servizio NCC.

O per meglio dire, questa è la norma che fino a pochi giorni fa lo impediva quando la Corte Costituzionale – sentenza 137/2024 – ha posto fine all’ennesimo scempio legislativo a protezione della lobby dei taxisti, una misura che la stessa Corte ha qualificato come portatrice di un grave pregiudizio all'interesse della cittadinanza e dell'intera collettività. Ma andiamo con ordine.

No registro, no licenze: un blocco virtualmente senza fine
Alla data odierna, tale registro non è tutt’ora operativo. Sebbene infatti sia atteso dal 2019, tanto il testo della norma quanto la realtà dei fatti hanno dimostrato come questa adozione sia stata limitata e bloccata a più riprese dal Ministero dei Trasporti, tant’è che lo stesso ultimo decreto ministeriale 203/2024 a firma Salvini di qualche settimana fa, prevede che tale operativià è immediata, bensì dopo 180 giorni dalla pubblicazione del decreto stesso.

Un’incertezza senza una chiara fine che la stessa Corte ha riconosciuto nelle considerazioni della sentenza,[2] tanto da precisare che il citato decreto non incide in alcun modo sugli effetti di quest’ultima.

Ma quali sono le violazioni costituzionali rilevate dalla Suprema Corte? Essenzialmente tre.

Violazione n. 1: mancanza di ragionevolezza e proporzionalità
Dal principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione derivano due ulteriori principi:

  • ragionevolezza: le disposizioni normative devono essere adeguate/congruenti rispetto al fine del legislatore.[3]
  • proporzionalità: la Corte ha ravvisato come la stessa norma si contraddica oggi al suo interno, poiché la natura temporanea del blocco – figlio della necessità di mappare le imprese esistenti – è in realtà divenuto palesemente a tempo indeterminato, mancando a pieno l’obiettivo perseguito, con la conclusione di aver creato una barriera protezionistica tale per cui:
    • si è venuta a formare una posizione di privilegio degli operatori esistenti;
    • ha causato un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e della collettività in modo del tutto sproprozionato.

Violazione n.2: la libertà di iniziativa economica
Questa libertà fondamentale sancita dall’art. 41 della Costituzione è stata letteralmente calpestata, un fatto sul quale la Corte è chiarissima; infatti la crezione di una tale barriera all’entrata ha violato:

  • la libertà di iniziativa economica ex comma 1, con un Ministero sordo alle critiche dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che dal 1995 segnala ripetutamente l’inadeguatezza dell’offerta di licenze a fronte della domanda di servizi di mobilità;
  • la prescrizione del comma 2: non vi è nessun motivo di utilità sociale alla base della norma, bensì un’esigenza protezionistica di pochi ai danni del benessere sociale e agli interessi della collettività

Una limitazione questa che – precisa la Corte – ha colpito non solo competitività e innovazione tecnologica del settore, l’economia e l’immagine internazionale del nostro Paese, ma anche il fondamentale diritto di movimento delle persone, specialmente di anziani e fragili.

Violazione n.3: libertà di stabilimento garantita dall’Unione Europea
Vi è infine la violazione del comma 1 dell’art. 117 della Costituzione, il quale vincolando la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni ai limiti imposti non solo dalla Costituzione, ma anche delle norme europee e internazionali, evidenzia il conflitto con la libertà di stabilimento prevista dall’art. 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Questa – come ha infatti precisato la Corte di Giustizia dell’UE – coinvolge anche chi eroga il servizio di taxi e NCC, tant’è che:

  • le limitazioni di tale libertà devono essere giustificate e proprozionate, cosa che non vi è qui perché non stiamo proteggendo alcun interesse generale;
  • la stessa Corte ha riconosciuto il rulo cruciale degli NCC per l’obiettivo di una mobilità efficiente ed inclusiva grazie al loro impiego dell’innovazione tecnologica.

Conclusioni
È accaduto ancora una volta ciò che non doveva accadere: la Corte Costituzionale ha dovuto prendere una decisione di buon senso in vece di una politica schiava degli interessi illegittimi di parte.

Il vantaggio competitivo deve essere figlio dell’impegno delle persone, non dei vincoli dettati dallo Stato in pieno abuso del suo potere imperativo.

Un abuso – figlio di inammissibili esigenze elettorali – che è costato alla nostra libertà di movimento, alla nostra libertà di impresa, al nostro portafoglio personale, alla nostra economia e alla nostra immagine internazionale tra evasione fiscale, truffe e inadeguatezza dei servizi, con le giornaliere foto delle code fuori da stazioni e aeroporti.

Un vantaggio ingiusto di pochi che è costato a tutti noi.

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