Dopo l’iniziativa della Francia - primo paese dell’Unione Europea ad aver inserito il diritto all’aborto nella propria costituzione - l’11 Aprile il Parlamento europeo ha votato a favore dell'inserimento dell’ interruzione di gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell'Ue.
In una risoluzione non vincolante approvata con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni, il Parlamento chiede che l'articolo 3 della Carta debba essere modificato per affermare che: "ognuno ha il diritto all'autonomia decisionale sul proprio corpo, all'accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari senza discriminazioni, compreso l'accesso all'aborto sicuro e legale".
Il voto del parlamento europeo è stato puramente simbolico, la risoluzione richiederebbe l'appoggio di tutti i 27 Stati membri per essere inclusa nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione. Il percorso per far sì che l'aborto venga riconosciuto come un diritto fondamentale è lungo e pieno di insidie, considerando che tale diritto viene fortemente limitato da alcuni paesi membri, tra cui la Polonia e Malta.
Inoltre, i deputati hanno sottolineato come l’aborto, in alcuni stati membri, sia negato da medici e in alcuni casi da intere istituzioni mediche sulla base di una clausola di “coscienza”. Il Parlamento Europeo ha espresso preoccupazioni sull’accesso all’assistenza all’aborto in Italia e all’elevato numero di medici che si dichiara obbiettore di coscienza, rendendo difficile l’assistenza all’aborto in molte regioni.(1 e 2)
Mentre il Parlamento Europeo discute dell'inserimento dell’ interruzione di gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell'Ue, la situazione in Italia è ben lontana da tale realtà. Il 16 Aprile, la Camera dei Deputati ha approvato un ampio pacchetto di emendamenti a un decreto relativo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Quello che ha suscitato maggiori polemiche riguarda la possibilità di consentire l'attività di volontari pro-vita nei consultori per le donne.
La sezione d dell'articolo 2 della legge 194, che regola l'interruzione di gravidanza, già prevede la possibilità, all'interno dei consultori e delle strutture socio-sanitarie, di contribuire a "superare le cause che potrebbero portare la donna a considerare l'interruzione della gravidanza".(3)
Il testo originale presentato il 16 Aprile come emendamento da Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia, prevedeva l’ingresso automatico di soggetti del terzo settore che avessero una qualificata esperienza nel campo del sostegno alla maternità. Successivamente riformulato durante l’esame del provvedimento nella commissione Bilancio della Camera, il testo finale prevede che le regioni non siano formalmente obbligate a collaborare con tali associazioni, ma che possano avvalersi del loro aiuto.(4)
Sebbene l’emendamento non menzioni esplicitamente le associazioni antiabortiste, è chiaro che esse siano il suo principale obiettivo. Menzionando soggetti del terzo settore con qualificata esperienza nel campo del sostegno alla maternità, rientrerebbero dunque le associazioni pro-vita. Quello che sostanzialmente cambia dalla sezione d dell’articolo 2, è la facilità di come le regioni potranno avvalersi di tali enti.(4)
Il 19 Aprile Veerle Nuyts, la portavoce della Commissione europea per gli Affari economici, si è esposta in merito alla questione italiana, affermando che i fondi per finanziare i soggetti del terzo settore non avrebbero alcun legame con il PNRR.(5)
I consultori sono delle strutture sanitarie, facendo capo alle aziende sanitarie locali, pensate per fornire informazione e sostegno medico diretto a tutti casi pertinenti alla salute riproduttiva, tra cui il supporto all’interruzione di gravidanza. I consultori sono il primo baluardo, e forse il più importante, con cui le donne nel nostro paese possono accedere all’aborto senza doversi interfacciare con medici di famiglia o ginecologi esterni al consultorio.(6) La percentuale di persone che esercitano l'obiezione di coscienza nel nostro paese è però estremamente elevata, superando addirittura l'80% in alcune regioni come l'Abruzzo, la Sicilia e la Puglia.(7)
Secondo i dati della Relazione del Ministro della Salute, l’Italia è tra i Paesi con i più bassi tassi di abortività al mondo: 5,4 interruzioni ogni mille donne tra i 15 e i 49 anni. In molti paesi europei, come Inghilterra, Galles e Francia, la pillola abortiva RU486 viene utilizzata nella maggior parte delle procedure di interruzione volontaria di gravidanza. Inghilterra e Galles hanno una percentuale dell’85% sul totale, Francia del 72%, valori più che doppi rispetto all’Italia. (8)
L’emendamento proposto dalla maggioranza non differisce molto dalla sezione d dell'articolo due della legge 194; è essenzialmente un simbolo senza alcun altro scopo se non quello di trasmettere un messaggio. Allora, perché se ne discute? Perché rappresenta l’ennesimo schiaffo a un diritto sempre più indebolito. Non c’è nessun reale pericolo che la legge venga attaccata, ma potrebbe proseguire un orientamento da parte della maggioranza che si conclude con la delegittimazione della libertà delle donne, allontanando sempre di più l’Italia dai valori liberali europei.