DDL Sicurezza: Parte 2 - Le misure contro gli attivisti ambientali e gli studenti

Nella prima parte si è posta l’attenzione sulle misure contro la Cannabis sativa Linnaeus. In questa sede invece si procederà ad estrapolare dal disegno di legge tutte quelle modifiche motivate - anche parzialmente - dai frequenti disordini causati di recente sia dai movimenti ambientalisti sia dai conflitti tra studenti e forze dell’ordine.

L’uso del proprio corpo per bloccare la circolazione stradale

Si comincia con la modifica della disciplina di cui al decreto legislativo 66/1948, relativo alle Norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie

La condotta di usare il proprio corpo per ostruire una strada è sempre stata sanzionata dal nostro ordinamento: è, infatti, assolutamente pacifico che questo atto turbi la sicurezza urbana, in quanto aumenta in maniera sensibile la probabilità di incidenti stradali. La controversia tuttavia ruota sulla modalità della punizione: per evitare di complicare eccessivamente il discorso, si procede all’individuazione di tre periodi, quali il pre-2000, quello tra il 2000 e il 2018 e infine quello attuale (post-2018).

Prima del 2000 molte condotte, diverse tra loro e dissimili nella pericolosità, venivano ricondotte nell’art. 1 del d.lgs. 66/1948; dunque, anche l’uso del proprio corpo per bloccare la circolazione stradale era considerato un reato, punito con la reclusione da 1 a 6 anni: Chiunque [...] ostruisce ed ingombra, allo stesso fine, la strada stessa è punito con la reclusione da uno a sei anni. In seguito, nel 2000, è stato introdotto l’art. 1-bis, che ha depenalizzato alcune condotte - tra cui l'uso del proprio corpo - non integranti più reato (o illecito penale), ma illecito amministrativo: con questa espressione si intende che il fatto è sempre illegale e, quindi, meritevole di sanzione; tuttavia, quest’ultima mai potrà condurre ad una restrizione della libertà personale. Perciò:Chiunque [...] ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata, è punito, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire due milioni a lire otto milioni (circa tra 1600 e 6400 euro).

Si arriva infine alla disciplina vigente del 2018: il riformatore aveva l’obiettivo di rendere nuovamente reato tutte le condotte ostacolatrici della libera circolazione (re-inserite quindi nell’art. 1), ad eccezione dell’uso del proprio corpo, che rimane l’unica condotta individuata nell’illecito amministrativo dell’art. 1-bis: Chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.000 a euro 4.000.

Se si osserva con attenzione la norma, si può notare che si fa riferimento alla sola strada ordinaria, con l’evidente omissione della strada ferrata (cioè con rotaie metalliche): la conseguenza di ciò è che, quindi, un soggetto che intralcia col corpo una strada ordinaria non commette reato; se, invece, lo stesso eseguisse la medesima azione su delle rotaie verrebbe punito con la reclusione da 1 a 6 anni (ex art. 1). La nuova riforma interverrebbe equiparando correttamente i due contesti, ad oggi irragionevolmente differenziati nel trattamento, affiancando (nell’art. 1-bis) alla strada ordinaria la strada ferrata.

Il punto critico della riforma sta, tuttavia, nel trasformare l’art. 1-bis in un reato, punito con la reclusione fino a un mese (o la multa fino a 300 euro); con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, invece, se il fatto è commesso da più persone riunite. La qualifica di reato ha il chiaro intento di disincentivare la condotta, con la minaccia che la stessa porterebbe a “sporcare la fedina penale” (tecnicamente si tratta di un’annotazione nel certificato del casellario giudiziale): dunque anche la multa (che si converte in reclusione se non pagata) risulta essere più minacciosa rispetto all’attuale sanzione amministrativa, sebbene quest’ultima sia economicamente ben più elevata (da 1000 a 4000 euro).

Come valutare questo aspetto della riforma? La criticità risiede nel fatto che una soluzione del genere va in direzione opposta rispetto al diktat generale degli ultimi anni (in particolare della Riforma Cartabia), cioè di evitare di riempire le carceri, comunemente sovraffollate; in più, una reclusione così breve mai potrà portare alla realizzazione di un percorso di rieducazione del condannato, portando ad un inutile flusso aggiuntivo all’interno degli istituti penitenziari.

A questo problema porterebbero sollievo le cosiddette pene sostitutive della pena detentiva breve, completamente rivoluzionate dalla Riforma Cartabia (semilibertà, detenzione domiciliare, lavoro di pubblica utilità e pena pecuniaria): la loro applicazione non è, tuttavia, automatica, perché è necessario il benestare o l’iniziativa del giudice, che potrebbe essere scoraggiato nel caso di reiterazione del reato (ipotesi molto realistica per i membri dei movimenti attivisti). In più, ad evidenza dell’inutilità di qualificare tale condotta come reato, si porta all’attenzione dei lettori il fatto che il Parlamento ha periodicamente promulgato leggi di amnistia e indulto (sin dal 1968) nei confronti dei condannati di questi illeciti: mascherate come “perdòno” da parte del Parlamento, l’amnistia e l’indulto sono state sempre usate come leggi svuota-carceri per evitare sovraffollamenti.

Occupazione arbitraria di immobili

In secondo luogo, è presente una rielaborazione della disciplina dell’occupazione, all’interno del Codice Penale. Si tratterebbe di un intervento doveroso che rimedierebbe ad un vuoto legislativo della disciplina vigente.
Per comprendere la necessità di quello che sarebbe l’art. 634-bis, si deve far presente che ad oggi gli articoli che tutelano il possesso di un bene immobile sono il 633 e il 634: il primo rubricato Invasione di terreni o edifici, il secondo Turbativa violenta del possesso di cose immobili. Dunque, il reato del 634 riguarda un soggetto che si limita a turbare il possesso di un immobile altrui senza occuparlo; quello del 633, invece, prevede un’invasione che tuttavia presuppone l’esistenza di un precedente diritto del reo all’ingresso nell’immobile - come gli studenti che occupano una scuola. Come comportarsi dinanzi all’occupazione violenta o fraudolenta di un immobile già abitato tale da non permettere al legittimo possessore di rientrarvi?

Si tratta di un caso ben più grave (e ultimamente anche molto frequente), in quanto presuppone una violazione di domicilio accompagnata dall’uso della violenza o dell’inganno. In assenza di una previsione specifica, i giudici hanno sempre forzato l’art. 633, attirando le critiche di parte della dottrina: con la riforma non sarebbe più necessario, perché si applicherebbe l'art. 634-bis nel pieno rispetto del principio di legalità.

Scontri contro i pubblici ufficiali

In questo paragrafo l’analisi degli articoli 19 e 20 del disegno di legge, i quali mirano a riformare il Codice Penale: il primo riguarda gli articoli 336 e 337, rispettivamente violenza e resistenza ad un pubblico ufficiale; il secondo modificherebbe la ratio alla base dell’art. 583-quater. Per quanto attiene all’art. 19, a cambiare sarebbe unicamente l’aggiunta - ad entrambi i reati - di una circostanza aggravante legata all’ipotesi in cui il pubblico ufficiale sia un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza mentre compie un atto di ufficio. Per semplificare il discorso, l’effetto di tale emendamento non sarebbe quindi un’estensione della punibilità quanto il vincolo al giudice a non ridurre la pena al ricorrere di due requisiti: il destinatario della violenza - o resistenza - appartiene alla polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza; il pubblico ufficiale in questione sta svolgendo in quel momento la propria funzione. 

L’art. 20 avrebbe invece un’incidenza maggiore. L’art. 583-quater attualmente in vigore punisce maggiormente il reato di lesioni, quando compiuto nei confronti di determinate autorità: al comma 1 - in occasione di manifestazioni sportive - le lesioni gravi e gravissime ai danni di un pubblico ufficiale; al comma 2 le lesioni lievi, gravi e gravissime verso il professionista sanitario - nell’esercizio del proprio servizio. Ad una lettura attenta, l’articolo prevede due situazioni non allineate, sia come contesto sia come gravità delle lesioni. Con la riforma il disallineamento avrebbe fine, perché il primo comma subirebbe una totale sostituzione: l’ambito soggettivo del pubblico ufficiale verrebbe ristretto ai soli soggetti di cui all’art. 19 (un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza); il riferimento alle manifestazioni sportive cadrebbe in favore dell’adempimento delle funzioni (molto più simile al requisito del comma 2); infine, l’inclusione delle lesioni lievi.

Questo articolo della riforma ha suscitato molto clamore, stante l’evidente correlazione tra la sua proposizione e l’aumento dei conflitti tra manifestanti (spesso studenti) e forze dell’ordine. La riforma a livello giuridico è infatti indubbiamente innovativa, dato che attualmente le lesioni lievi in questione verrebbero punite ai sensi dell’art. 582, mentre le gravi e le gravissime all’art. 583, entrambi gli articoli meno severi del 583-quater. Tuttavia, se da una parte può essere condiviso l’effettivo aumento di pena per le condotte più efferate, dall’altra è altrettanto comprensibile la perplessità di alcuni esponenti politici per l’inclusione delle lesioni lievi, estensione da questi ritenuta eccessiva.

A questo punto sono necessarie alcune precisazioni: in primo luogo, si spiega che, nella loro vastità, le lesioni lievi non ricoprono ogni forma minima di violenza, richiedendo queste la causazione di una malattia nel corpo o nella mente: con questa espressione i giuristi intendono un’alterazione anatomica o funzionale dell’organismo; semplificando, per quanto riguarda la violenza fisica, che è la più comune negli scontri tra studenti e forze di pubblica sicurezza, se compare un livido sarà lesione, altrimenti sarà una semplice percossa (art. 581).

Questo limite minimo permette dunque di scongiurare che ogni singolo atto violento venga punito eccessivamente. In secondo luogo, nel caso di scontro tra manifestanti e forze dell’ordine, si può affermare come assodata la naturale disparità di mezzi - sia a livello di equipaggiamento protettivo che come offensività: con questo presupposto è chiaro che non sia da considerare così semplice la causazione di tale malattia. Perciò, anche nell'ipotesi in cui la durezza dell'intervento normativo non sia condivisa, la riforma non deve essere considerata repressiva di ogni forma di disobbedienza, dato che la manifestazione minima di violenza non subirebbe di fatto un aumento di sanzione.

Imbrattamento di beni adibiti a funzioni pubbliche

Infine, in risposta agli atti di imbrattamento di beni adibiti a funzioni pubbliche, è stata introdotta un’aggravante all’interno dell’art. 639 del Codice Penale. In questo caso è evidente l’utilizzo populistico del diritto penale: il deturpamento e l’imbrattamento sono già considerati come reati dalla disciplina vigente. Non c’è alcuna motivazione per aggravare ulteriormente certe condotte, rendendo quindi la modifica come ridondante e, molto probabilmente, inefficace. Già Beccaria, infatti, sosteneva l’inutilità di un mero innalzamento di pena: ciò che veramente intimorisce il consociato è l’effettività della pena, che a tal proposito deve essere comminata in tempi ragionevolmente brevi.

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