In questo periodo dell’anno c’è una domanda spinosa che assilla maturati e maturandi, genitori apprensivi e non, oltre che studenti universitari che si trovano in quella fase del proprio corso di studi nella quale devono scegliere una specializzazione:
Cosa bisogna studiare per trovare lavoro?
Considerato che viviamo in un paese con una quota tanto elevata di soggetti che, non solo non studiano e non lavorano, ma un lavoro hanno anche smesso di cercarlo, si tratta di un interrogativo piuttosto logico da porsi. Proviamo a capovolgere la prospettiva delle discussioni tradizionali, per intenderci quelle che finiscono degenerano nella diatriba tra lauree utili e inutili, con una risposta solo apparentemente provocatoria:
Studiate quello che vi piace.
Certo, la prima e ovvia obiezione sarà che si fa fatica a lavorare per Google o per Apple con una laurea in Archeologia (il che non è del tutto vero).
Sarebbe stupido e miope ignorare il fatto che alcuni titoli di studio conferiscono a chi li consegue maggiori possibilità di trovare un lavoro in tempi brevi. È tuttavia fuorviante concentrarsi solo su questo profilo: non possiamo diventare tutti ingegneri o fisici nucleari.
Anzi, se di punto in bianco lo diventassimo, ci accorgeremmo che molti di noi si troverebbero a fare un lavoro che ha poco a che fare con le materie studiate.
Una parte non trascurabile del contributo che gli studi di tipo scientifico danno alla ricerca del lavoro deriva dal fatto che certificano la capacità di uno studente di impegnarsi per raggiungere un risultato in tempi prestabiliti, di avere un approccio logico e concreto alla risoluzione dei problemi, di possedere determinate competenze di carattere quantitativo e informatico.
Dunque il problema è più articolato.
Il mondo del lavoro contemporaneo non ha bisogno solo di fisici o di ingegneri, ma di persone dotate di volontà per impegnarsi, intelligenza allenata alla risoluzione dei problemi e di una alfabetizzazione di base di tipo informatico e quantitativo. Quel che accade è che tipicamente chi ha fatto studi scientifici ha una probabilità maggiore di possedere queste caratteristiche.
Allora non dovremmo discettare di lauree utili o inutili, ma di competenze e presupposti per svolgere determinati lavori. Un laureato a pieni voti in fisica che ha un atteggiamento particolarmente astratto, interesse nullo per il mondo dell’informatica e una personalità di tipo arrogante ha meno chances di entrare in Google o in Facebook di un laureato in storia, che programma da quanto andava alle medie, denota interesse estremo e curiosità per le attività svolte dai due giganti tech e si propone con atteggiamento aperto ad imparare.
L’esempio volutamente estremo sta ad indicare che nessun titolo di studio potrà garantirvi di per sé la certezza di trovare un lavoro. Anzi il punto di partenza per rispondere alla domanda iniziale è che il titolo di studio è una condizione (molto spesso) necessaria, ma non sufficiente per trovare un lavoro.
Dunque occorre ribaltare la prospettiva: farsi un’idea di quali sono i lavori disponibili in giro e delle competenze richieste per svolgerli, di quali attività ci riescono meglio o con meno fatica e provare a programmare il proprio percorso di studi in modo coerente.
Se disegnate molto bene e avete repulsione per la partita doppia non è particolarmente furbo forzarsi a studiare economia aziendale per trovare un lavoro da impiegato amministrativo che la tecnologia ha reso obsoleto diversi anni fa. Magari è difficile che diventiate pittori famosi (pochissimi ci riescono), o illustratori per testate di successo (pochi ci riescono) è però ben possibile che possiate lavorare per un’impresa che si occupa di soluzioni grafiche o di comunicazione e che vi riesca di guadagnarvi da vivere senza fare qualcosa che vi ripugna o non vi dà soddisfazione.
Ecco il senso della risposta “studiate quello che vi piace”
Messa così sembra che tutto sommato il titolo di studio non sia del tutto indispensabile il che è teoricamente vero. Lì fuori c’è sicuramente qualcuno intelligente, capace, motivato che si presenta penalizzato da un titolo di studio improbabile o dalla mancanza del titolo stesso. Nel processo di selezione (specie in Italia) è altamente probabile che questo valido candidato sia scartato in via preliminare proprio a causa del diploma o della laurea mancante o che sembra inadeguata.
Certo, a voler cercare si trova sempre l’eccezione che conferma la regola. Ad esempio, in ambito commerciale, una persona che parte giovane in un contesto dove non sono richiesti titoli e dimostra nel corso di diversi anni capacità eccezionali ad esempio arrivando a coordinare una rete molto vasta di venditori con risultati verificabili potrà sicuramente competere con qualunque laureato o titolare di master. Però stiamo dicendo che per compensare la mancanza di un titolo di studio occorre dimostrare un successo professionale rilevante. Insomma è il cane che si morde la coda e parliamo di eccezioni e non di regole.
Come rispondere allora alla domanda iniziale? Se il percorso corretto non è “cerco un lavoro qualsiasi” e mi domando “quale titolo di studio” mi serve per trovarlo prima, come procedere dunque? Tre suggerimenti abbastanza facili:
Farsi un’idea di quali lavori sono richiesti e da chi e con quali caratteristiche è tanto facile quanto fare una ricerca su internet. Se non sapete come fare è il momento che proviate da soli ad imparare perché nessuno lo farà al vostro posto. Una valida ricerca iniziale è un punto di partenza imprescindibile dal quale dipende il vostro futuro: chiedete anche a sconosciuti via Linkedin (il peggio che possa succedere è non ottenere risposta) o persone di cui trovate i recapiti su internet (io ricevo non meno di una decina di queste richieste ogni mese).
Guardando alle prospettive future è plausibile attendersi che in futuro avremo sempre meno bisogno di lavoratori “generalisti” specie nell’intermediazione finanziaria e più in generale nei servizi, così come nei mass media e nelle reti commerciali poiché tutte le attività automatizzabili vengono ormai organizzate per essere svolte senza l’intervento dell’uomo. Ci sarà però sempre bisogno di qualcuno che interagisca con le persone (anche in videocall o via chat) per affrontare gli imprevisti e sovraintendere al corretto funzionamento dei processi. Tornerà dunque molto utile possedere delle specializzazioni e la capacità di conseguirne di nuove e aggiornarsi.
Quanto alla valutazione delle proprie capacità e attitudini si tratta di un esercizio al quale i nostri giovani sono poco abituati e per la quale i nostri sistemi scolastici sono molto poco attrezzati. A questo proposito non c’è purtroppo altra via che procedere per tentativi e, come al solito, con un po’ di buona volontà e una connessione ad internet le possibilità sono virtualmente infinite. Non si tratta solo di test attitudinali e di quiz a tempo per misurare le proprie competenze e capacità. Si tratta di sperimentare sul campo cogliendo le opportunità offerte da meccanismi quali l’alternanza scuola lavoro, i tirocini, gli stage ecc.
Siete più inclini a lavorare con il pubblico, a interagire con altre persone a veicolare o comunicare concetti? O preferite svolgere attività di ricerca in solitaria, o in collaborazione con un piccolo gruppo dedito a cercare la soluzione più indicata per un problema specifico? Immaginate un percorso di crescita professionale, di cambiamento o preferite la stabilità? Riuscire a “conoscere se stessi” sotto questi profili, seguendo l’antica lezione socratica semplifica di molto la ricerca del lavoro e la selezione del percorso di studi.
Il terzo suggerimento prevede una sorta di sintesi tra “conosci il mondo del lavoro” e “conosci te stesso” è abbastanza ovvio che le attività che ci danno soddisfazione o piacere siano anche quelle nelle quali riusciamo ad ottenere buoni risultati con minore fatica perché non sfruttare questo vantaggio nella definizione del percorso di studi e di ricerca del lavoro?
Per riassumere: risposte semplicistiche del tipo studiate ingegneria o qualcosa di scientifico e troverete facilmente lavoro sono piuttosto fuorvianti (e in fin dei conti non del tutto vere) poco utili per chi si trova a dover scegliere un corso di studi nella speranza di trovare lavoro in tempi ragionevoli e non perderlo troppo in fretta.
Una risposta meno semplice, più onesta e probabilmente più utile può essere: non smettete mai di cercare la vostra strada tenendo conto sia dei vincoli del mercato del lavoro che delle vostre attitudini e preferenze. Non è un percorso facile, specie per chi all’inizio è indeciso, tuttavia è l’unico modo di ottenere dei risultati apprezzabili e un equilibrio tra la dimensione lavorativa e il resto della nostra vita, considerando che come si suol dire “ci tocca lavorare per vivere, ma non vivere per lavorare”
Procedere per tentativi implica mettere in conto una serie inevitabili di errori e prepararsi a considerali come utili esperienze di crescita piuttosto che fallimenti di cui vergognarsi. Anche questo atteggiamento è poco diffuso nella nostra cultura atteso il carattere marcatamente negativo che attribuiamo alla parola Fallimento (con il codice della crisi in teoria non più, ma il lessico è lento a modificarsi) usata sia per indicare la procedura concorsuale per liquidare i beni di un’impresa che per qualificare l’insuccesso particolarmente rilevante di una iniziativa o attività qualsiasi.
Per concludere, non chiedetevi cosa studiare per trovare lavoro, chiedetevi come conciliare quel che sapete (o vi piace) fare meglio con le mansioni richieste dal mercato e individuate il corso di studio più coerente con questo obiettivo.
Non è una soluzione facile e veloce e potrebbero volerci diversi anni prima di apprezzare i risultati, ma nel medio termine paga molto di più che scegliere in modo avventato un corso di studi che non ci è congeniale solo perché speriamo che ci possa far lavorare più in fretta.