Nel secondo Dopoguerra la produzione cinematografica italiana conosce il suo momento di massimo splendore, arricchita dai film di Fellini, Zeffirelli, De Sica, Scola. Ma tra i registi “togati” si aggira una piccola pattuglia di corsari del cinema...
Per questo secondo articolo dedicato alla proprietà intellettuale nel mondo del Cinema esploreremo lande meno remote: invece che vagare dalla Transilvania a Hollywood, infatti, resteremo a Roma. La vicinanza geografica non deve, però, ingannare: siamo distanti anni luce da quel mondo. Nel Secondo Dopoguerra, infatti, Hollywood, anche a causa dell’aumento dei costi dei suoi kolossal, vedeva in Cinecittà e in Roma il pied-à-terre perfetto per realizzare i film in costume ambientati nell’antichità greca e romana di moda a quell’epoca (i cosiddetti peplum), contenendo al contempo i costi. Un effetto secondario di questa scelta fu che le maestranze italiane del settore ebbero la possibilità di confrontarsi con il meglio del meglio dei registi, degli attori e degli sceneggiatori made in USA. Questa fortunata “tresca” diede vita a quella che, sinora, è considerata l’Età dell’Oro della Settima Arte nostrana: un periodo in cui non solo in termini di qualità autoriale e tecnica, ma anche di risonanza all’estero -e quindi, di potenziale ritorno economico- il nostro cinema gareggiava con il mercato americano e quello europeo da pari a pari. Figli di questo idillio sono certamente mostri sacri del settore quali Fellini, Risi, Scola, Rossellini, De Sica e Visconti. Tra la metà degli Anni ‘60 e i primi anni dei Settanta, però, il sistema delle major entrò in crisi, complice la fine dei kolossal e dei western classici, che determinò il progressivo allontanarsi di Hollywood dal Tevere. Fu così che molti dei figli dell’epoca d’oro, negletti dal genitore più facoltoso, si dovettero arrangiare, diventando veri e propri filibustieri del copyright.
Intendiamoci: non saranno nè i primi, nè gli ultimi, né gli unici. In un settore così competitivo e bisognoso di prodotti sempre nuovi come quello del cinema, gli “omaggi”, i plagi e gli adattamenti “non autorizzati” -sia in Italia sia all’estero- sono sempre stati un modo per continuare a produrre film senza troppo attendere la sceneggiatura del secolo -come del resto abbiamo compreso già nel primo capitolo della nostra storia.
Detto ciò, la particolarità dei casi di cui parleremo sta nel fatto che tutti hanno sfruttato la legislazione sul diritto d’autore in Italia per realizzare film a basso budget, falsi seguiti di opere statunitensi più note.
Il primo “corsaro” degno di menzione è Lucio Fulci (1). Nel 1979 venne distribuito in Italia Dawn of the Dead di George A. Romero, merito del successo internazionale. Per l’occasione, il capolavoro del regista statunitense fu editato da Dario Argento e musicato dai Goblin con il nome Zombi (2). Anche l'incasso italiano fu ottimo e, naturalmente, ciò portò una casa produttrice italiana ad acquistare una sceneggiatura depositata con il nome Gli Ultimi Zombi. Dopo una prima selezione di registi, alla fine fu scelto come director il nostro “corsaro”. Durante le riprese, la produzione decise di cambiare il titolo del film in Zombi 2. Le intenzioni della produzione erano palesi: cavalcare l’onda del successo di Dawn of the Dead, creando un suo falso sequel. Il regista però, a dispetto delle intenzioni dei produttori, decise di realizzare un’opera completamente diversa dalla pellicola americana, da cui si distingue per trama, ambientazione, personaggi e origine dell’apocalisse zombie, da virus a maledizione soprannaturale. Nonostante ciò, il nome e la tagline del film “Quando i morti usciranno dalla tomba, i vivi saranno il loro sangue” - che riprende “Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla Terra” di Zombi - non dava adito a dubbi sull’intento ingannevole dell’operazione.
L’inganno ebbe successo: in Italia, infatti, il finto seguito incassò più del “precedente”, posticipando la produzione e distribuzione di The Day of the Dead (Il Giorno degli Zombi) fino al 1985 e diventando esso stesso un cult movie, con tanto di omaggio da parte di Quentin Tarantino.
Dieci anni dopo, nel 1989, esce nelle sale italiane Terminator 2, ovvero Spettri a Venezia, come probabilmente riportato sulla sceneggiatura regolarmente depositata (3), sequel non ufficiale Terminator diretto dal nostro secondo “corsaro”, Bruno Mattei (4).
Nonostante il titolo, trae ispirazione soprattutto da un altro film di James Cameron, Aliens, ambientandolo però nei sotterranei di Venezia.
L’operazione stavolta non ottenne il successo sperato, complice anche un pubblico ormai più smaliziato rispetto agli anni ‘70; nonostante ciò, anche in questo caso il regista e la produzione non incorsero in cause per violazione di copyright, sebbene la pellicola fu distribuita negli Stati Uniti solo nel 2018.
Il nostro terzo e ultimo “film corsaro” si ispira in realtà proprio al primo: l’idea di girare Alien 2 - Sulla Terra(5) venne infatti al regista Ciro Ippolito notando per le strade di Roma un poster di Zombi 2.
Il regista campano decise dunque di realizzare l’unofficial sequel di Alien (1979), con protagonisti però un gruppo di speleologi intrappolati in un complesso di grotte sotterranee insieme ad una creatura aliena. Il regista si avvalse anche di un collaboratore d’eccezione agli effetti speciali, cioè Mario Bava (6); il collaboratore non poteva essere più adatto, poiché diversi critici hanno riscontrato evidenti somiglianze tra Terrore nello spazio (1965)del regista romanoe la pellicola di Scott, suggerendo quindi il film degli anni ‘60 come una delle fonti di ispirazione per il capolavoro del regista britannico (7).
La 20th Century Fox non perse tempo, facendo causa alla produzione per violazione di copyright; ma il collegio difensivo del film riuscì a dimostrare l’esistenza di un racconto ottocentesco intitolato Alien, cosa che minò la pretesa originalità del titolo di Scott portando alla rapida conclusione del processo con una vittoria per l’opera di Ippolito.
Dato che le buone idee, come abbiamo visto, hanno una lunga vita, Alien 2-Sulla Terra divenne a sua volta fonte di ispirazione per il successivo The Descent (2012) di Neil Marshall; ironia delle ironie, il corsaro era stato a sua volta depredato.
Alla luce di quanto già detto nel primo articolo, com’è possibile che il “povero” Albin Grau abbia perso la sua battaglia legale contro la vedova Stoker pur non usando Dracula come titolo del suo film, mentre i nostri tre “corsari” sono riusciti in larga parte a farla franca?
Tra i molti fattori che hanno giocato un ruolo nelle vicende narrate, il più importante è sicuramente il fatto che il titolo di una pellicola cinematografica non era considerato all’epoca equivalente al marchio commerciale (8) -cosa che avverrà in seguito- e quindi non era protetto allo stesso modo, specie se tale titolo era abbastanza generico da non essere associato per forza all’opera protetta -come abbiamo visto nel caso di Alien 2. Era dunque molto più importante evitare similitudini di trama e ambientazione per sfuggire alla scure dei legali hollywoodiani, accortezza rispettata in tutti i casi citati.
C’è quindi l’elemento economico: il mercato italiano, a differenza di quello tedesco, non era così fruttuoso per le major da giustificare una lunga e costosa controversia legale internazionale, soprattutto contro produzioni a basso budget, destinate quasi sicuramente al fallimento in caso di battaglia legale -come accadde alla Prana Films.
In ultimo, il titolo stesso non restava identico in tutti i Paesi in cui veniva distribuito, proprio per evitare ancora di più problemi con gli studios a stelle e strisce: ecco quindi che Zombi 2 negli Stati Uniti fu distribuito come Zombie Flesh Eaters, Terminator 2 diventò Shocking Dark, mentre Alien 2: sulla Terra fu ribattezzato Alien Terror.
Ma, così come la Tortuga seicentesca dei Fratelli della Costa, anche quella filmica nostrana conobbe la sua fine; determinata tra l’altro, come vedremo nel prossimo articolo, dalla strana alleanza tra il marito di Cher e un noto Topo dalle Grandi Orecchie...
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