Eccoci qua! Primo appuntamento di OltreFrequenze. Due settimane che, in termini di uscite musicali, rispecchiano la cupezza imminente dell’autunno inoltrato.
Regole d’ingaggio? Nessuna discriminazione di genere. Solo di qualità.
La lunghezza delle recensioni è spontanea. Penso vi sia un confine invalicabile tra il parere e l’inquantificabile traduzione in parole dell'esperienza.Buon ascolto!
Lo so che non si dovrebbe fare però questo è il migliore album della selezione odierna. E se è vero il detto che una band va presa sul serio a partire dal terzo disco, allora qua si inizia a giocare. Ero già rimasto in qualche modo intrigato da A Murmur, Boundless to the East, secondo prodotto del trio experimental rock con sede a Montréal, Canada. Qui però siamo qualitativamente spanne sopra. La cosa che più mi ha fatto impazzire di From The Heights of Our Pastureland è la presa per il culo verso l’ascoltatore. I più distratti si soffermeranno sul post-rock, sui richiami evidenti a Mogwai, Godspeed You! Black Emperor ed Explosions In The Sky, sull’impostazione e sul timbro che a tratti ricordano in qualche modo Hostile Architecture degli Ashenspire. La vera figata è che però i ragazzi in questione sanno il fatto e il gusto loro e non disdegnano strizzare l’occhio a momenti di krautrock, shoegaze, elettro-acustica, a slanci di deriva classico-sinfonica. Un esperimento di rumorosa raffinatezza. Ho avuto come l’impressione che i ragazzi stessero cercando di scrivere una colonna sonora. Uno di quei film dove la sposa scappa dall’altare. A nozze!
Descrizione: Leonard Cohen è invitato al Roadhouse di Twin Peaks. Johnny Coley, poeta e icona queer dall’Alabama e con sede a Birmingham, firma una pièce in stile spoken-words di atmosfera. L’ormai settantaquattrenne Coley riporta effettivamente a Lynchane memorie richiamando tempi e solfeggi assimilabili al capolavoro di Badalamenti. Una decadente raccolta di vignette dal punto di vista di un passante. Assieme ad un collettivo di giovani musicisti (definiti The Sweet Whisper Band), la posta messa in palio è un progetto che allo stesso tempo riscalda e scaturisce brividi. Un disco da mezze stagioni insomma. Manco a farlo apposta.
Tecnico del suono, produttore e compositore. Rafael Anton Irisarri ha collaborato con capisaldi del genere del calibro di Grouper, Lawrence English e Fennesz. La copertina in qualche modo imposta le aspettative. Suoni bianchi, bucati, di desolata visione e di brezza marina. L’ambient, così come il drone o il post-minimalismo, sono generi esperienziali. Sorvolando i due featuring d’eccellenza presenti in questo FAÇADISMS (rispettivamente Julia Kent e KMRU) che in qualche modo “spezzano” la chiara direzione di quanto ascoltabile in questi quasi 50 minuti, il disco è ricco di strutturati field-recordings e turbinii sonori in cui immergersi e, volendo, da cui riuscire.
Parlavamo di James Chance? Se avesse dovuto rispondere alla domanda “Come immagini la tua musica pop ideale nel 2024?” sono sicuro un’occasione ai Warmduscher l’avrebbe data.
Appena ascoltato Too Cold To Hold ero certo invece che non sarebbe finito in questa selezione. Al terzo ascolto gli addendi in gioco danno i loro frutti e non me lo tolgo più dalle cuffie. Non sono sicuro sia la migliore versione dei Warmduscher (Tainted Lunch è davvero un discone). Certo è che il loro primo disco quasi totalmente autoprodotto (parzialmente prodotto da Jamie Neville; in passato avevano lavorato con Dan Carey e Joe Goddard tra i vari) scorre e, come sempre nel caso della six-piece londinese, diverte. L’apertura sulle parole schizzate di Irvine Welsh indica il percorso. Le influenze sono varie, i generi toccati ancora di più. Punk-funk, jazz, hip-hop, lounge rock, intense stratificazioni di percussioni afro, qualche spruzzo di funk-house. Tutto suona però, in qualche modo, inconfondibilmente Warmduscher. Ho trovato la narrativa del disco leggermente generalizzante in termini di critica (vedi Fashion Week) ma fa parte di un certo tipo di retorica abbastanza comune (anche storicamente) tra le band oltremanica. Tira fuori le scarpe più rovinate che hai, dacci comunque una lucidata per fare bella figura con i vicini spioni e fiondati in salotto a ballare questo rollercoaster.
Steve Lamacq li definisce “Mischievous agit-rock philosophers”. Satirici, dissacranti e stonati. I Thank, band di Leeds, racchiudono ad oggi il loro materiale più maturo in questo nuovo album. Su un tappeto ritmico a modo suo disco groove, richiami stilistici ad operazioni recenti quali Gilla Band, Model/Actriz e, perchè no, Sleaford Mods, si innalzano sonorità tra il post-punk, il punk schietto e l’industrial, arrivando ad un connubio del tutto singolare. Come se la prima demo dei DEVO non fosse finita nelle mani di Iggy e David Bowie ma di James Chance. Tra una “ballata” e l’altra, nonostante le tonalità sarcastiche, il disco richiama comunque all'attenzione su concetti come l’autosufficienza e la possibilità di formarsi veramente un’opinione. Un consiglio: alzate il volume!
Max Heath, in arte Child Actor, sta ridisegnando l’immaginario underground hip-hop a suo piacimento attraverso collaborazioni con i migliori del genere (E L U C I D e Billy Woods, nonché Armand Hammer, e Navy Blue tra i vari). A questo giro tocca ad un preannunciato figliol prodigo di Brooklyn con sede a New Orleans. Partendo da una copertina a dir poco iconica (“rielaborazione” di una fotografia di Jean Paul Goude del 1975) Cavalier ondeggia su sonorità che spaziano dal boom bap jazz a vibrazioni e armonie più psichedeliche e distorte. Apparizioni di lusso, Quelle Chris ed E L U C I D, arricchiscono il secondo progetto degno di nota rilasciato nel 2024 da Cavalier. La forza di CINE, come per altre produzioni targate Child Actor, è che non esplode mai. Contempla la quotidianità con lyrics riflessivi e arpeggi opachi. Se questi sono i volti del futuro del genere non ci resta che stare ad osservare.
I The Bad Plussono un’entità strana. Quando li ascolto ho sempre l’impressione che si rischi di valicare in qualcosa di derivativo e che, in qualche modo, ne sfuggano sempre. E siamo qua dopo 16 album e più di vent’anni di musica ad ascoltare il loro delicatissimo e perpetuamente unico operato. A questo giro siamo dalle parti di un neo-jazz moderato ma pur sempre galvanizzante. Ben Monder e Chris Speed, inseritisi nel periodo più guitar-ish del collettivo (i due, rispettivamente ex collaboratori di Bowie e Kurt Rosenwinkel tra i tanti, avevano già partecipato all’omonimo album The Bad Plus uscito nel 2022), arrotondano la divulgazione armonica, in particolare verso il concludersi del disco. Cosa c’è da dire. Classe da vendere.
Bombolone folk/country ripieno di esperimento. Ci ho sentito Lucy Liyou, Aphex Twin, i Big Thief, Silence & Wisdom delle Deux Filles, un pò di Liars, Aksak Maboul, un leggero e grazioso autotune ma soprattutto e costantemente uno dei miei pezzi preferiti di sempre: Hana di Asa-Chang & Junray. Si insomma si parla di bricolage. Questo disco è un tappeto, a modo suo perennemente acustico, di intrecci stilistici che sì riporta alla contea che non conosco, al country di Karen Dalton e Joni Mitchell, ma che allo stesso tempo ne ripudia il collaudo. Forse è così che si innova. Sicuramente è così che si prende un genere e lo si innalza a qualcosa di più. E per piacere ascoltatevi Hana.
Una giungla noir. E se con i The Bad Plus si ha anche solo l’impressione di finire nel già sentito, qua proprio non si arriva neanche al manifestarsi del dubbio. Partendo dagli esilaranti titoli delle tracce (ad esempio Cuban Funeral Sandwich, The Relentless Veneration of Bees o Joyless Austere Post-war Biscuits) ci si immerge in un disco che accontenta un pò tutti. Dagli amanti dello stile di Peter Brötzmann o dei Fire! Orchestra, ai malati di post-rock, avant-garde rock e, ovviamente, di neo-jazz. Immaginatevi se avessero chiesto ad Humphrey Bogart di interpretare Tarzan in una rivisitazione in chiave noir. Beh probabilmente questo sarebbe stato il soundtrack.
A fine aprile usciva Coagulated Bliss. A settembre il side-project Collapsed Skull rilascia un doppio progetto (tra cui un mixtape rap). Sul concludersi di un'annata a dir poco produttiva per i Full of Hell, esce il loro materiale più interessante dell’anno. Andrew Nolan, musicista industrial canadese, apre le porte ad ulteriore freschezza per una band già di per sé avvezza allo sperimentare in un genere abbastanza stanco. È un disco potentissimo. Continuamente in bilico tra lo sconforto e l’esperienza sonica dei Sunn O))). Lo stesso Dylan Walker dei Full of Hell definisce l’album “an ominous warning about our own insignificance in the universe”. Qua dentro c’è di tutto. Elettronica, industrial, grindcore e puro noise. La sensazione che si ha nell’ascolto è che questo sia il coronamento di un periodo estremamente ispirato per la band di Ocean City e che ciò si sia tradotto effettivamente in un tassello unico nella loro discografia e nel genere tutto.
Chiudiamo con un tributo. Album collettivo in onore di Philip Jeck, venuto a mancare a fine 2022. Commiato lento, generoso e affettuoso da parte della sua etichetta discografica e da tutti gli artisti che lo hanno amato. Anche senza conoscere della scomparsa di Jeck, la musica suonerebbe elegiaca. L’artista, noto per il suo lavoro con i giradischi, evocava un combaciante senso di fine e continuità attraverso il rallentamento, il crepitio e l’imprevedibilità del vinile. Le atmosfere drone e gli archi amplificano questa sensazione di addio. Note salienti Fennesz, Gavin Bryars, David Sylvian, Hildur Guðnadóttir e Claire Singer. rpm è più di una raccolta o un tributo. Un’elegia, un ringraziamento e un testamento alla visione unica di Jeck. La puntina del giradischi ha raggiunto la fine del vinile, ma il crepitio e il suo ricordo rimangono.