Punto stampa a cura di: Claudio Olcese, Andrea Poscetti, Franz Forti (ISW)
In studio: Franz Forti, Mattia Alvino, Michele Boldrin
Ospite: Nane Cantatore
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Il parlamento ha istituito un gruppo di lavoro per indagare sugli episodi di avvelenamento che si sono ormai diffusi in circa 100 città, ma le autorità non hanno ancora presentato alcun rapporto sugli incidenti, mentre alcuni quotidiani e agenzie di stampa vicine alle IRGC cercano di addossare la responsabilità a gruppi di opposizione al regime come il MEK o a stati esteri ostili, o di liquidare addirittura il tutto come “scherzi da adolescenti”.
Lunedì l’Ayatollah Ali Khamenei si è espresso sulla questione usando per la prima volta il termine “avvelenamento”, condannando il fatto come “un crimine imperdonabile i cui autori dovrebbero essere severamente puniti".
Ci sono state diverse proteste dei genitori davanti alle scuole, ma il capo della giustizia ha minacciato “punizioni severe” per chi critica il governo o diffonde false voci e bugie.
Politica
Sul campo
Il piano prevede che i lavoratori forzati siano risarciti attraverso una fondazione pubblica finanziata da aziende del settore privato. Tuttavia, la proposta ha incontrato l'opposizione di alcune vittime e del principale partito di opposizione sudcoreano, che accusano il governo di “resa” poiché le aziende giapponesi non saranno tenute a contribuire.
Le relazioni tra i due paesi si sono fatte più tese dopo che la Corte suprema sudcoreana nel 2018 ha ordinato alle aziende giapponesi di pagare riparazioni agli ex lavoratori forzati, risoluzione respinta dal Giappone secondo cui la questione della compensazione era già stata risolta dal trattato del 1965.
La disputa ha portato a una controversia commerciale con restrizioni sulle esportazioni, e ha causato preoccupazione negli Stati Uniti, che cercano di presentare un fronte più unito con i loro alleati nella regione contro le potenziali minacce di Cina e Corea del Nord.
I Rohingya sono un gruppo etnico di religione islamica che risiede nella parte settentrionale del Myanmar, al confine con il Bangladesh. Non sono però riconosciuti come etnia ed è negata loro la cittadinanza. Sono stati vittima a più riprese di durissime repressioni e massacri compiuti dall’esercito, noto come Tatmadaw Kyi, che hanno costretto alla fuga verso il Bangladesh 400.000 persone nel 2012 e oltre 600.000 nel 2017.
Dopo il colpo di stato militare del 2021, le prospettive di un possibile ritorno al paese d’origine sono ancora più remote.
L’Agenzia ha lanciato un appello per raccogliere 137 milioni di dollari per fornire beni di prima necessità e potenziare l’approvvigionamento idrico e le strutture sanitarie.
Sarà necessario anche rafforzare il monitoraggio delle frontiere e facilitare la registrazione dei rifugiati, perché possano accedere all’assistenza.
Nelle ultime settimane il conflitto nell’area di LasAnod in Somalia, aggiuntosi alla siccità, ha messo in fuga centinaia di migliaia di persone. Gli scontri tra le milizie locali e le truppe del Somaliland sono ripresi negli ultimi giorni dopo una breve tregua, mentre proseguono gli sforzi di mediazione dei paesi confinanti, tra cui l’Etiopia.
Nel 1991 il Somaliland ha proclamato la propria indipendenza e da allora si gestisce autonomamente dal governo centrale di Mogadiscio, pur non essendo riconosciuto come Stato sovrano. Gli scontri attuali sono provocati dalla lotta per il controllo di alcune regioni che risultano territori contestati.