Spesso si discute sulla validità o meno dei voti numerici e sulla possibilità di farne a meno e periodicamente in tanti, specialmente al di fuori del mondo scolastico, accolgono con freddezza l'iniziativa, sottolineando come eliminare il voto possa essere un modo per abbassare l' asticella e peggiorare la qualità della scuola. Ma è davvero così? Sono necessari (e utili) i voti nella valutazione? Che ruolo hanno? Ne parliamo con Cristiano Corsini, professore ordinario di Pedagogia sperimentale presso l'università Roma Tre e autore del libro “La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto”.
Cristiano Corsini è professore ordinario di Pedagogia sperimentale presso l'università Roma Tre di Roma e autore del libro “La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto”. Il suo contributo giunge in aiuto nel momento in cui periodicamente ci ritroviamo dinanzi ad articoli che parlano di alcune scuole che decidono di valutare gli studenti senza utilizzare i voti durante l'anno e usare soltanto alla fine dell'anno come da normativa tenendoli quindi soltanto per la pagella finale.
La situazione della valutazione in Italia è racconto per cui mentre nella scuola primaria i voti numerici non ci sono non ci sono né per le verifiche in itinere né per la pagella finale nella scuola secondaria di secondo grado sì.
Dopo l'autonomia scolastica prevista con la legge 59/1997, il D.P.R 275/1999 e così via alle scuole è stato dato il potere di decidere come organizzarsi sia a livello didattico che organizzativo e una parte dell’autonomia didattica riguarda la valutazione. Ma, c’è un punto fermo ed è quello delle pagelle o schede e quindi delle valutazioni intermedie - del primo quadrimestre e del secondo - e della pagella finale in cui viene decretata la promozione o meno a seconda dei voti conseguiti. Quello che ci si domanda a questo proposito è come è possibile decretare la promozione attraverso una media di voti alla fine dell’anno ma non dire nulla durante il resto dell’anno?
Il Regio decreto del 1925 stabilisce che il voto deve essere motivato e va desunto da un congruo numero di interrogazioni, compiti corretti fatti a casa, fatti a scuola, ecc. Quindi il docente propone un voto poi il consiglio di classe decide di assegnarlo. La normativa finisce qui e il resto è dato alle scuole che possono decidere come fare.
In relazione a questo problema bisogna porsi due domande:
La prima motivazione è legata allo sviluppo dell’apprendimento. Una valutazione o riscontro descrittivo su una prestazione è associato a un miglioramento degli apprendimenti in misura più marcata rispetto a una valutazione sintetica e ordinata che può essere un sufficiente, un 6, una C, un 18 e così via. C'è quindi una convergenza tra un aspetto ideale e di buon senso per cui è intuibile a tutti che nel momento in cui il docente indica allo studente quali sono i suoi punti di forza e quali le sue lacune questo gli sta offrendo indicazioni e quindi maggiori opportunità. Inoltre, con le sperimentazioni che sono state effettuate dagli anni ‘60 in poi si è scoperto che effettivamente il voto descrittivo funziona meglio.
La seconda motivazione è di natura psicopedagogica: un riscontro descrittivo aiuta a focalizzarsi sulla prestazione che viene descritta con una valutazione che va oltre il semplice voto numerico che anzi ha l’effetto negativo di spostare il ragionamento dal sé e portare a definire la propria competenza o apprendimento in termini meramente o prevalentemente comparativi con qualcun altro. Questo aspetto porta a riflettere sul problema dell’ansia: utilizzare i voti numerici potrebbe essere tendenzialmente legato in alcune occasioni anche all’aumento dell'ansia all'interno di un contesto scolastico. Al di là di ciò, la motivazione fondamentale è che valutare senza voti è uno strumento per apprendere e per insegnare meglio.
Una differenza che potrebbe essere fatta è quella tra:
Nelle valutazioni in itinere si potrebbe essere più descrittivi per guidare l’apprendimento per poi definire dei profili delle conoscenze o delle abilità che definiscono il “10”, il “9” e così via. L'importante è che la valutazione sia al servizio della didattica. Alcuni docenti sperimentano un tipo di valutazione in cui c'è un impianto descrittivo nella valutazione formativa e in itinere per poi riportare una valutazione ordinale - cioè espressa in numeri - nella valutazione periodica e finale. Quello che fanno questi docenti è usare i riscontri descrittivi come una strategia didattica, cioè per loro la valutazione è una strategia didattica a cui segue un bilancio per dare un orientamento allo studente. In questo caso c'è un incontro tra esigenze formative ed esigenze rendicontative perché poi l'insegnante dovrà portare una proposta di voto che poi negli scrutini verrà negoziata e discussa con gli altri docenti.
Soluzioni come queste devono però essere adottate dalla scuola nel suo complesso e non dai singoli docenti.
Di base, secondo quanto previsto dallo Statuto degli studenti e delle studentesse gli insegnanti devono sempre spiegare il perché di una loro valutazione e dunque in questo senso è come se le valutazioni descrittive fossero già imposte.
Dunque, se una scuola si auto impone collegialmente un numero stabilito di valutazioni - che non sono necessariamente voti numerici - questo riduce i margini di libertà che ha un singolo docente. Al di là delle scelte concrete sui riscontri più o meno numerici o più o meno descrittivi una necessità è che le scuole si dessero dei regolamenti ampi in cui ogni docente ha la possibilità di fare delle scelte che siano sostenibili.
Cambiare la valutazione significa anche cambiare la didattica e questo è un problema fondamentale che porta a domandarsi perché farlo. Il cambiamento nel metodo di valutazione infatti non è sempre e categoricamente necessario. Bisogna piuttosto considerare caso per caso e pensare e proporre di farlo nel caso in cui si riscontrano problemi nell’apprendimento pena il rendere troppo artificiosa la valutazione.
Dunque, è vero che tendenzialmente il voto numerico funziona molto meno e funziona male ma nel caso in cui ci fosse un docente che con i voto numerico e con un certo tipo di didattica riesce a ottenere ottimi risultati da tutta la classe allora il cambiamento non è necessario.
Molti sostengono o pensano che togliere voti potrebbe portare ad abbassare l’asticella dell’andamento didattico ma quello della valutazione descrittiva come metodo meno rigoroso e più flessibile è un luogo comune. La valutazione ha uno scopo fondamentale, cioè orientare la successiva didattica sia dal punto di vista dell’insegnante che dello studente. Fare una valutazione formativa in cui si finge che vada tutto bene farebbe male sia nell’apprendimento che nell'insegnamento per cui la valutazione descrittiva deve essere rigorosa. Si tratta infatti di una didattica dell'errore che quindi deve fare emergere errori e anzi deve spingere studentesse studenti ad assumersi la responsabilità di rischiare delle soluzioni più creative e difficili e questo è proprio un aspetto fondamentale alla base dell’idea di una proposta di valutazione descrittiva.
Un altro problema è quello della trasparenza: poiché la valutazione deve essere trasparente ci si chiede come fa uno studente alla fine dell’anno a sapere come tutti i giudizi descrittivi si traducono nel voto numerico?
Nella valutazione formativa c'è trasparenza sui criteri, sui contenuti e sugli strumenti di valutazione e tra l'altro tendenzialmente la valutazione formativa è incentrata, dalla scuola primaria in su o forse anche dall'infanzia, seppur con le dovute differenze, su un'assunzione di responsabilità da parte degli studenti e delle studentesse che prendono i criteri di valutazione e li usano come criteri di apprendimento. Quindi tendenzialmente c'è una piena consapevolezza rispetto a questo per cui gli studenti hanno maggiore contezza del loro livelli di apprendimento. Generalmente quando si fa questo e si passa attraverso processi come autovalutazione e valutazione tra pari gli studenti acquisiscono consapevolezza rispetto al proprio percorso che riporta molto spesso a proporre delle valutazioni più strette rispetto a quella dell'insegnante. Dunque, con i metodi di valutazione alternativi come l’autovalutazione gli studenti tendono a valutare il proprio apprendimento in maniera molto più severa perché cominciano anche a pretendere un po' di più da sé. Quindi generalmente - ovvero nel 90-95% dei casi - non c’è un abbassamento di livello e non c'è questa assenza di trasparenza che porta lo studente a non sapere.
La valutazione con i voti ha tre funzioni:
Dunque, ci sono forme di valutazione che funzionano in un caso e non in altri, è questo è il caso del voto numerico che può certificare il livello dello studente ma senza comunicare i margini di miglioramento e le lacune.
Uno dei compiti del docente è valutare e per fare questo occorre avere consapevolezza delle tre funzioni e compiere una riflessione sulla funzione degli incentivi piuttosto che sul problema legato all’ansia che è di natura soggettiva.
Dunque, voto numerico sì ma maggiore sensibilizzazione e consapevolezza sulle funzioni dei voti e i relativi limiti.
Valutare è uno dei compiti del docente che anche utilizzando voti numerici deve motivare il risultato allo studente. Per alcuni docenti i voti oltre che strumento valutativo sono uno strumento con cui esercitare il proprio “potere” e questo accade soprattutto in contesti più problematici e differenti dalle idealizzate classi di licei in cui il voto a volte è l’unica cosa che il docente può utilizzare contro lo studente al posto delle note disciplinari.
Tendenzialmente il voto e tutta la valutazione in generale sono concepiti più come fine che come mezzo, cioè sono utilizzati come certificazione e strumento di compensazione, premio, punizione oltre che come regolazione della didattica. Ma, secondo studi di psicologia dell’apprendimento e psicologia dell’istruzione, utilizzare il voto come premio o punizione porta allo sviluppo negli studenti di una motivazione estrinseca verso l'apprendimento, ovvero in questo modo si spinge lo studente a studiare per raggiungere il mero voto numerico e non per l’acquisizione dell’apprendimento in sé. Inoltre, gli apprendimenti correlati a questo orientamento tendenzialmente sono poco significativi perché non portano a una reale conoscenza e/o apprensione di ciò che si è studiato.
Dunque, la tendenza a usare il voto come arma generalmente funziona con chi non ha bisogno che funzioni, nel senso che risulta funzionare con chi sa già come studiare e ci riesce ma nei confronti di chi non ha acquisito queste capacità a valutazione descrittiva e formativa che non ha come posta in palio un voto è molto più funzionale in quanto correlata positivamente con livelli alti di motivazione intrinseca. Questo però non elimina un ulteriore problema della scuola, ovvero la mancanza di tempo dei docenti che attraverso il semplice voto numerico possono risparmiare tempo e fatica.
Nelle certificazioni delle lingue europee (A1, A2, B1, B2, C1 e C2) l’elemento ordinamentale, ad esempio il C2 corrisponderebbe a 10: è un voto ma al contempo è estremamente descrittivo. Quella delle certificazioni delle lingue europee è una valutazione completa o molto meno incompleta di tante altre valutazioni proprio perché è molto importante la posta in palio - si tratta infatti di una certificazione spendibile in vari ambiti e non è un semplice voto - e ha un fondamento teorico molto curato. Ovviamente è impensabile mettere insieme questi due elementi, cioè ordinamentale e descrittivo, nella didattica di tutti i giorni perché comporterebbe la costruzione di un quadro di riferimento per ogni valutazione. Dietro le certificazioni linguistiche c’è un complesso quadro di riferimento ma anche dietro le materie scolastiche e le relative valutazioni c’è un framework. Il problema è che il voto aggrega tutte le informazioni in maniera non informativa.
Il problema è che tendenzialmente nella didattica di tutti i giorni prevale il voto numerico perché è apparentemente più facile. La facilità del voto però è solo apparente perché ogni voto, anche e soprattutto quello numerico va anche motivato e quindi il lavoro di valutazione non si esaurisce all’assegnazione di un numero per la prestazione. Quindi se l’obiezione alla valutazione descrittiva è l’idea secondo cui mettere un voto è più immediato e facile perché richiede meno tempo in realtà questo non è vero perché anche dietro un voto numerico c’è e ci deve essere un ragionamento che poi va restituito allo studente perché una delle funzioni più importanti del voto è proprio questa.
Il vero problema della valutazione è un problema didattico: proporre un metodo di valutazione alternativo significa mettere in discussione la routine didattica. Valutare è un modo di insegnare e cambiare la valutazione significa dover cambiare anche un po’ il proprio metodo di insegnamento.
Un ulteriore problema legato alla valutazione che riporta in primo piano la differenza tra classi di scuola secondarie di primo e secondo grado da quelle di scuola primaria è quello della mancanza di tempo:
Quindi, è evidente come nelle scuole primarie si dedichi più tempo e soprattutto non solo in un determinato periodo dell’anno alla riflessione sulla valutazione e forse questo potrebbe essere il motivo per cui si è deciso che nella scuola primaria si può fare a meno del voto numerico e puntare su quello descrittivo.
Costruire una rubrica o griglia di valutazione è un'operazione abbastanza complessa perché comporta la formulazione di obiettivi osservabili di apprendimento e per fare questo è necessaria una certa competenza metodologico-didattica che risulta tendenzialmente adeguatamente diffusa nella scuola primaria per poi cominciare a decrescere e raggiungere il limite negativo all'università in cui risulta essere molto rara perché esiste un modello di selezione della classe docente molto diverso.
Nella scuola primaria c’è stato l’abbandono del voto numerico nella valutazione periodica e finale, cioè nella scheda o pagella. Abbandonare il voto numerico nella scheda finale significa in un certo senso essere costretti a costruire dei riscontri in itinere per poi avvicinarsi al giudizio finale. Ma l’elemento decisivo non è stato questo perché i livelli che vengono assegnati nella scuola primaria sono voti. L’elemento più interessante che è stato sottovalutato ed è veramente un portato positivo è stata la scelta di vincolare i livelli di valutazione non alle materie in sé ma chiedere a insegnanti delle date materie di stabilire degli obiettivi e per ciascuno di questi obiettivi collocare l’alunno. Ad esempio si può avere un livello avanzato nella comprensione e nella lettura e allo stesso tempo avere un livello base o intermedio nella produzione scritta. Quindi i docenti della scuola primaria non sono obbligati a compiere l'operazione artificiosa di valutare complessivamente con un numero in una data materia in cui i livelli delle varie competenze sono diversi.
Tutto questo manca nella scuola secondaria in cui ad aggravare la situazione c’è la crescita dell’individualismo didattico e si perde il dialogo tra i vari docenti delle varie discipline.
Utilizzare metodologie di insegnamento alternative come lavori di gruppo o metodi più creativi in cui viene lasciata più autonomia agli studenti ha rivelato una forte funzionalità dal punto di vista didattico. Dal punto di vista valutativo in questi casi si possono fare varie scelte come integrare la valutazione di gruppo con un colloquio individuale, scelta più raccomandabile perché l'apprendimento è qualcosa di individuale anche quando avviene il gruppo semplicemente perchè “rimane” al singolo.
Alcuni metodi di valutazione alternative sono l’autovalutazione o peer review e i feedback. L’autovalutazione è un metodo che funziona nel momento in cui lo scopo della valutazione non è prettamente la certificazione ma richiama la terza funzione, cioè quella pedagogica in quanto essere valutati da un proprio compagno e/o collega aiuta a migliorare il proprio prodotto perchè il compagno/collega in questione oltre a valutare in sé deve anche valutare la valutazione, cioè deve argomentare la sua valutazione e a farlo usando dei criteri esattamente come revisori delle riviste.
La peer review funziona dalla scuola dell'infanzia in su perché usando i criteri di valutazione ci si impadronisce di questi e saper valutare in base ai criteri di una disciplina specifica significa diventare padroni degli elementi disciplinari della data disciplina specifica alla quale facciamo riferimento e quindi è per questo che funziona. Il punto in questo caso non è il numero ma interrogarsi su come migliorare in base alla valutazione.
Similmente i feedback funzionano molto più dei voti perché un 8 comunica solo di essere più di 7 e meno di 9. In particolare però, è stato notato anche che a parità di portate informativa, è stato notato che il feedback tra pari è molto più efficace un feedback dato dall'insegnante, cioè c'è un'accettazione diversa.
L a media aritmetica è un arbitrio comprensibile ma non ha senso . I voti numerici - che vanno da 1 a 10 o 1 a 31 nel caso delle università - sono scale ordinali e non di intervalli o di rapporti. Nel momento in cui il docente valuta ha di fronte un'attività, un prodotto o un'esperienza e la domanda che bisogna porsi è: quanti dei livelli o gradini che ho a disposizione intravedo in questa attività? In teoria ce ne sono 10 o 31 ma in pratica in ogni compito si possono intravedere diversi livelli e quindi non si parte quasi mai da 1. Inoltre, una volta assegnato un voto la difficoltà sta nel dimostrare che un 10, o qualsiasi altro voto, sia uguale a un altro preso in un'altra materia o assegnato ad un altro studente. Ragionando così però la terza funzione, quella pedagogica, scompare. Cioè la scala dei voti, che può essere costruita in modo arbitrario, è pensata esclusivamente in funzione certificativa del voto con la difficoltà di dimostrare che per ogni prova il range va da un intervallo a un altro perché è la natura della prestazione che richiede una valutazione fatta in un dato modo e non in un altro, motivo per cui la valutazione con la scala ordinaria risulta quindi troppo limitata.
Mentre il ricercatore nel suo lavoro non parte con l'obiettivo di assegnare un punto alla fine ma porta avanti una ricerca su un dato fenomeno e costruisce una scala di misura adatta e capace di rendere conto del fenomeno, il docente agisce al contrario: l' obiettivo di assegnare un punto e il docente fa in modo di prendere il fenomeno e farlo rientrare nella scala ordinaria che ha a disposizione in cui sono presenti 10 intervalli. Si tratta di un'operazione artificiosa che rende difficile descrivere perché non parte da analizzare il fenomeno e valutarlo ma cerca di prenderlo e farlo rientrare nella valutazione.
Dunque, la funzione burocratica di controllo conta, ma sta divorando tutta la valutazione e anche parte della didattica. Non può essere al centro in ogni giorno di scuola ma è esattamente quello che succede seppur non sia davvero previsto perchè anzi, la valutazione spinge alla valutazione descrittiva. C'è dunque una situazione contraddittoria per cui la normativa - che tra le altre cose prevede anche l'autovalutazione e la valutazione tra pari - risulta essere più avanti della quotidianità, di quello che viene fatto nella pratica ogni giorno.
Il vero senso che soggiace al testo di Cristiano Corsini è che bisogna partire dal perché della valutazione. Una volta che si è riuscito a rispondere a questa domanda si è poi capaci di rispondere anche a un'altra domanda fondamentale, ovvero perché si insegna. Se si vuole insegnare intendendo con questo il voler trasformare la realtà delle studentisse e degli studenti non si può continuare a erogare i numeri che non funzionano. Solo una volta che si è stabilito il perché , il come e cosa verranno affrontati in maniera più serena, consapevole e funzionale.