Terza Guerra Mondiale…Un conflitto già in atto?

Il concetto di guerra si è evoluto nel tempo, passando dai grandi conflitti tradizionali del passato a una realtà odierna molto più complessa. Oggi, le dinamiche belliche sono spesso definite da guerre asimmetriche, conflitti economici e scontri ideologici che coinvolgono attori globali in un intricato gioco di potere.

Vorrei esplorare l'idea che la Terza Guerra Mondiale sia già in corso, seppur in una forma non convenzionale, analizzando il ruolo cruciale di Cina, Stati Uniti, Russia ed Europa con il conflitto ucraino e la situazione in Medio Oriente in questo contesto.

Immagine creata su Midjourney da D. Parrano

La Trasformazione del Conflitto

Nel passato, le guerre mondiali erano caratterizzate da battaglie convenzionali e dichiarazioni formali. Oggi, la guerra ha assunto nuove forme, focalizzandosi su conflitti economici, cyberattacchi, manipolazione delle informazioni e guerre per procura. In questa evoluzione, si inserisce la dottrina PMESII (Politico, Militare, Economico, Socio-culturale, Infrastrutturale, Informativo), che individua sei domini fondamentali in cui si sviluppano i conflitti moderni. L'analisi di questi domini richiede competenze interdisciplinari, evidenziando come la complessità della guerra contemporanea vada ben oltre il tradizionale campo di battaglia. In questo scenario, la Cina emerge come un protagonista centrale. Storicamente abile nella guerra economica, la Cina utilizza una combinazione di strategie di soft power, investimenti infrastrutturali (come la Belt and Road Initiative) e pratiche commerciali per influenzare e controllare il panorama globale.

Proprio la Belt and Road Initiative (BRI), nota anche come "Nuova Via della Seta", era un ambizioso progetto infrastrutturale e commerciale lanciato dalla Cina nel 2013. L'obiettivo principale della BRI è quello di creare una vasta rete di rotte commerciali terrestri e marittime che colleghino la Cina all'Asia, all'Europa, all'Africa e oltre. Attraverso investimenti in infrastrutture come ferrovie, porti e strade, la Cina punta a consolidare la propria influenza economica e geopolitica, promuovendo al contempo il proprio modello di sviluppo. Tuttavia, questo progetto è stato criticato da molti paesi per i rischi legati all'indebitamento e alla dipendenza economica. Per un'analisi approfondita della Belt and Road Initiative vedi qui.

 

Di Dong Fang - fonte, Pubblico dominio, Collegamento

La Cina e il Conflitto Economico

La Cina, con il suo sistema autoritario, è riuscita a costruire un modello di sviluppo che combina il controllo statale con il capitalismo. Questa struttura le consente di reagire rapidamente alle sfide economiche e geopolitiche, sfruttando le vulnerabilità delle economie aperte. In questo contesto le dinamiche economiche tra Cina e Stati Uniti hanno assunto toni che possono essere definiti belligeranti.

Da parte cinese, l'imposizione di restrizioni all'export di terre rare, elementi critici per la produzione tecnologica statunitense, ha rappresentato un colpo strategico. La Cina controlla circa l'80% della produzione globale di queste risorse, rendendola un attore dominante in settori chiave come la tecnologia dei semiconduttori e le energie rinnovabili. Inoltre, i cyberattacchi attribuiti alla Cina hanno colpito infrastrutture sensibili negli Stati Uniti, incluse reti energetiche e sistemi governativi, aumentando la percezione di una minaccia strategica (Fonte).

D'altra parte, gli Stati Uniti hanno risposto con politiche protezionistiche e sanzioni economiche. L'amministrazione Trump prima, e quella Biden poi, hanno imposto restrizioni su aziende cinesi come Huawei, accusata di spionaggio, e limitazioni sull'accesso della Cina a tecnologie avanzate come i chip di ultima generazione (Fonte). L'Inflation Reduction Act e altre iniziative simili puntano a rilocalizzare le catene di approvvigionamento, riducendo la dipendenza dagli investimenti cinesi.

Infine, la guerra commerciale tra le due potenze si manifesta con tariffe doganali reciproche e con una competizione aggressiva per il dominio tecnologico e l'influenza nei mercati emergenti. La recente creazione di alleanze come il Quad (Stati Uniti, Giappone, India e Australia) cerca di contenere l'espansione cinese nell'Indo-Pacifico, segnalando che il confronto non è più solo economico, ma strategicamente militare (Fonte). 

ll concetto di guerra asimmetrica partorito dai generali cinesi Liang Qiao e Xiangsui Wang, ufficiali di alto rango dell'Esercito Popolare di Liberazione cinese e analisti strategici, delineava già negli anni '70 una forma di conflitto che superava i tradizionali limiti della guerra convenzionale, includendo strumenti economici, tecnologici e informatici per ottenere vantaggi strategici senza necessariamente ricorrere alla forza militare diretta che veniva ritenuta, nell'ottica di un futuro mondo globalizzato, controproducente, se non inutile.

Queste teorie sono diventate particolarmente rilevanti nel contesto geopolitico moderno, caratterizzato dalla crescente interconnessione economica e tecnologica. La Cina ha messo in pratica molti di questi principi attraverso iniziative come la Belt and Road Initiative già citata, l'uso strategico delle terre rare e i cyberattacchi, dimostrando come la guerra non convenzionale sia divenuta uno strumento indispensabile per competere in un mondo globalizzato. Va però chiarito che il termine "asimmetrico" si riferisce specificamente a conflitti in cui le capacità e gli obiettivi tattici dei contendenti sono differenti, come avvenuto storicamente tra il US Army e i Vietcong. In questo contesto, si adatta meglio il concetto di "guerra ibrida", termine spesso riferito alla Russia, che include operazioni sociali, disinformazione e azioni coperte per destabilizzare i rivali. La capacità di combinare elementi economici, informatici e diplomatici consente alla Cina di perseguire obiettivi strategici con minori rischi di escalation militare diretta, rendendo la guerra non convenzionale uno strumento chiave nel panorama attuale.
 

Il Ruolo Dei Conflitti Tradizionali

Nonostante il predominio delle guerre economiche, i conflitti tradizionali continuano a svolgere un ruolo cruciale, specialmente in quei paesi dove non esiste un'economia strutturata o dove l'economia non rappresenta una forza coercitiva sufficiente. In queste nazioni, la guerra convenzionale rimane spesso l'unica alternativa per affermare potere o risolvere dispute territoriali e politiche. Tuttavia, limitare l'alternativa al solo dominio economico sarebbe riduttivo. La Russia, ad esempio, ha tentato di sottomettere l'Ucraina utilizzando una combinazione di strumenti politici, socio-culturali e infrastrutturali, insieme a una massiccia campagna di propaganda nel dominio informativo. Questi sforzi hanno preceduto e accompagnato l'uso della forza militare, dimostrando come un approccio multidominio possa essere integrato per perseguire obiettivi strategici in modo più efficace. La guerra tra Russia e Ucraina rappresenta quindi non solo un ritorno a forme di conflitto convenzionale, ma anche un esempio di come la guerra moderna richieda l'integrazione di diversi strumenti di coercizione e manipolazione.

Allo stesso modo, le tensioni tra Israele e Palestina riflettono l'incapacità di risolvere controversie attraverso strumenti economici o diplomatici, in parte a causa dell'assenza di economie strutturate. Questo contesto, inoltre, è terreno fertile per l'espansione delle strategie dell'islam radicale, che mira a sfruttare tali instabilità per rafforzare la propria presenza e influenza verso l'Occidente. Utilizzando metodi "non-militari" come il terrorismo, la propaganda e il sostegno a gruppi estremisti locali, queste forze cercano di destabilizzare ulteriormente la regione e creare un corridoio ideologico e operativo che minacci direttamente le democrazie occidentali. In questi contesti, l'uso della forza militare non è solo una valvola di sfogo per tensioni latenti, ma un mezzo centrale per ridefinire l'ordine locale o regionale, alimentando al contempo conflitti ideologici su scala globale.

By Diliff - Own work, CC BY-SA 3.0, Link

Il Ruolo dell'Europa e degli Stati Uniti

L'Europa, stretta tra la pressione della Russia a est, le ambizioni cinesi a livello globale e il conflitto ucraino in corso, si trova in una posizione delicata. Gli Stati membri devono bilanciare le proprie esigenze economiche con la necessità di garantire la sicurezza collettiva. Tuttavia, il conflitto in Ucraina ha esposto il debole atteggiamento europeo, spesso incapace di presentare una risposta unitaria e decisa alle minacce esterne. Inoltre, il Medio Oriente aggiunge ulteriore complessità, influenzando in modo diretto le dinamiche geopolitiche europee attraverso pressioni energetiche, instabilità politica e il sostegno a gruppi estremisti.

Le relazioni transatlantiche hanno subito un significativo "cambio di marcia" durante l'amministrazione Trump, caratterizzato da una politica di "America First" che ha ridefinito il ruolo degli Stati Uniti nei confronti dell'Europa. Le minacce di dazi su prodotti europei come acciaio, alluminio e automobili hanno messo sotto pressione i partner transatlantici, segnalando la volontà di ridurre il sostegno a istituzioni multilaterali come la NATO. Inoltre, Trump ha esplicitamente criticato la Germania per il suo surplus commerciale e la sua dipendenza energetica dalla Russia, sostenendo che questo squilibrio economico minava la concorrenza leale sul mercato globale. Questo atteggiamento non solo travalica il concetto di libera concorrenza, ma rappresenta anche una dinamica strategica per esercitare pressioni politiche ed economiche che avvantaggiano unilateralmente gli Stati Uniti, trasformando una dinamica economica in un'arma geopolitica.

In questo intricato panorama, Taiwan rappresenta un altro pericoloso punto di frizione. L'isola, considerata dalla Cina una provincia ribelle, è invece sostenuta dagli Stati Uniti come baluardo della democrazia e punto strategico nel Pacifico. Le tensioni si sono acuite con l'intensificarsi delle esercitazioni militari cinesi attorno a Taiwan e con la crescente vendita di armamenti statunitensi all'isola. Questa situazione non solo rischia di trasformarsi in un conflitto diretto, ma rivela anche l'importanza strategica ed economica di Taiwan, principale produttore mondiale di semiconduttori. Gli equilibri legati a Taiwan non sono solo una questione regionale, ma un nodo critico della competizione globale tra Washington e Pechino. Questi sviluppi mostrano come i pericoli di un'escalation si estendano ben oltre l'Asia, rendendo Taiwan un elemento importante delle dinamiche di una Terza Guerra Mondiale non dichiarata.

By Kremlin.ru, CC BY 4.0, Link

E La Russia?

La Russia è un player con un'economia disastrata che ha visto nel Donbass e nell'Ucraina un'opportunità per restaurare parte dell'impero perduto, confidando forse in una reazione tollerante e lenta da parte dell'Occidente. Tuttavia, questa strategia si è basata su un errore di calcolo madornale, tipico dei regimi dittatoriali dove le dinamiche di Stato sono espressione diretta e verticale di una singola persona e cioè la sottovalutazione della volontà dell'Ucraina di aderire ai valori europei e di difendere la propria sovranità. L'invasione iniziale del Donbass nel 2014, seguita dall'annessione della Crimea, è stata accolta dall'Occidente con sanzioni economiche che, sebbene significative, non hanno impedito alla Russia di proseguire con le sue azioni aggressive. Questo atteggiamento debole e frammentato dell'Occidente ha di fatto incoraggiato Mosca a perseguire una politica ancora più aggressiva, rafforzando la convinzione che l'Europa non fosse disposta a reagire con fermezza. Inoltre, Mosca ha stretto alleanze sotterranee con potenze come la Cina e l'Iran, che le forniscono supporto politico ed economico, contribuendo a ridurre l'efficacia delle sanzioni occidentali. La Cina, in particolare, ha rafforzato i legami commerciali con la Russia attraverso accordi sull'energia e scambi bilaterali che aggirano i mercati occidentali. L'Iran, dal canto suo, ha fornito droni e armamenti, espandendo il conflitto sul piano militare e creando un pericoloso asse Mosca-Teheran-Pechino. Inoltre, l'emergere dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) come blocco economico e politico alternativo rafforza ulteriormente l'idea di un ordine multipolare, minando il predominio occidentale. Questi sviluppi non solo confermano l'esistenza di un conflitto su scala globale, ma dimostrano anche come le azioni della Russia abbiano innescato una nuova era di alleanze geopolitiche che minano apertamente l'ordine internazionale guidato dall'Occidente. La reazione moderata dell'Europa ha ulteriormente incoraggiato Mosca, dimostrando una debolezza che ha complicato ulteriormente la situazione geopolitica e rafforzato il carattere globale del conflitto.

In ogni caso, nonostante le apparenze, la Russia potrebbe trovarsi sulla via di una disfatta che potrebbe concretizzarsi in tre scenari principali:

  1. Crollo Economico Interno. L'effetto cumulativo delle sanzioni occidentali, insieme alla spesa militare crescente e alla dipendenza economica dalla Cina, potrebbe portare a un collasso economico interno. La popolazione, già colpita da inflazione e disoccupazione, potrebbe intensificare le proteste contro il regime;
  2. Fratture Politiche e Regionali. L'insoddisfazione delle élite russe, combinata con le spinte centrifughe di regioni come il Caucaso o la Siberia, potrebbe frammentare ulteriormente il potere centrale, portando a una crisi istituzionale e alla perdita di controllo su vaste aree del paese;
  3. Isolamento Geopolitico Irreversibile. Se l'Occidente riuscisse a rafforzare le proprie alleanze e a ridurre ulteriormente la dipendenza energetica dalla Russia, il paese potrebbe ritrovarsi in un isolamento internazionale completo, ridotto a uno Stato satellite della Cina senza capacità di influenzare l'ordine mondiale.

Questi scenari, sebbene ipotetici, sottolineano come la politica aggressiva di Mosca potrebbe finire per compromettere la stabilità del regime stesso, mettendo a rischio la sua sopravvivenza a lungo termine. Tuttavia, un collasso della Federazione Russa potrebbe rappresentare una minaccia altrettanto grave per l'ordine globale. L'Occidente, pur opponendosi alle politiche aggressive del Cremlino, non ha un interesse diretto nella totale disfatta della Russia, poiché ciò potrebbe portare a una destabilizzazione ancora più pericolosa di un’area geografica vitale per l’Europa, con ondate migratorie, criminalità organizzata ed esportazione di armamenti non convenzionali. Le repubbliche e i territori satellite della Federazione potrebbero frammentarsi in una serie di conflitti locali, creando un vuoto di potere sfruttabile da attori non statali e gruppi estremisti. Questo scenario aggraverebbe ulteriormente l'instabilità regionale e globale, rendendo evidente l'importanza di un approccio equilibrato nel gestire il declino della Russia, che non può prescindere da "interferenze" esterne.
 

Il Medio Oriente: Epicentro di Instabilità

Il Medio Oriente rimane un epicentro di instabilità, con paesi come l'Iran e la Siria che giocano un ruolo chiave nel ridefinire l'ordine regionale. Gli interessi contrapposti di potenze globali e regionali rendono questa regione una zona di conflitto perpetuo, in cui la competizione per risorse, influenza e potere si intreccia con tensioni religiose e culturali. In questo contesto, un attore controverso è la Turchia, che ha utilizzato l'arma degli immigrati come leva politica verso l'Europa, minacciando di aprire le proprie frontiere per consentire un flusso migratorio massiccio. Questa strategia ha messo sotto pressione le istituzioni europee, già fragili di fronte alla gestione delle crisi migratorie. Inoltre, le dinamiche controverse legate al lungo processo di adesione della Turchia all'Unione Europea hanno ulteriormente complicato i rapporti, con Ankara che sfrutta il proprio ruolo strategico tra Oriente e Occidente per guadagnare posizioni negoziali, ma senza allinearsi completamente ai valori e alle politiche europee.

In parallelo, il ruolo dei Paesi arabi come l'Iraq, l'Egitto, Israele e la questione palestinese aggiunge ulteriori complessità. L'Iraq, segnato dalla fragile stabilità post-invasione americana, continua a essere terreno fertile per il riemergere di forze estremiste come l'ISIS. Sebbene ridotto rispetto al suo apice, l'ISIS ha dimostrato capacità di adattamento, spostando la propria influenza verso la Siria nordorientale, approfittando del vuoto di potere e delle dinamiche instabili nella regione. La recente intensificazione delle attività in Siria sottolinea il suo ruolo come forza destabilizzante, in grado di sfruttare le debolezze dei governi locali e la mancanza di un intervento coordinato da parte delle potenze globali. Questo gruppo mantiene ancora la capacità di destabilizzare sia la regione che l'Occidente attraverso attentati, reclutamento online e reti internazionali, alimentando un clima di insicurezza che si ripercuote anche su scala globale.

L'Egitto, dal canto suo, gioca un ruolo ambiguo, oscillando tra la necessità di garantire stabilità interna e il desiderio di affermarsi come potenza regionale. Le sue politiche, spesso focalizzate sulla repressione interna e sull'equilibrio tra i propri interessi e le pressioni internazionali, evidenziano le difficoltà nel bilanciare queste priorità in un contesto regionale sempre più teso.

Israele, invece, rimane una chiave fondamentale per l'equilibrio del Medio Oriente, ma le sue tensioni irrisolte con i vicini e i recenti conflitti con Hamas mantengono alta l'instabilità. La questione palestinese, lungi dall'essere risolta, rappresenta una ferita aperta che alimenta risentimenti e divisioni a livello regionale. L'assenza di progressi significativi nei negoziati di pace e le periodiche escalation di violenza rafforzano le polarizzazioni ideologiche e politiche, complicando ulteriormente gli equilibri internazionali. Inoltre, i tentativi di mediazione da parte delle potenze globali, spesso percepiti come imparziali o inefficaci, non hanno fatto altro che esacerbare le divisioni, rendendo questa questione un epicentro di tensioni che coinvolgono interessi sia regionali che globali in cui si inseriscono dinamiche di forza di tipo politico che, soprattuttto in uno stato di guerra aperta, creano inevitabili interferenze internazionali di conflitto esacerbando e alzando il livello di pericolosità con l'Iran.

Infine, il ritiro degli Stati Uniti dall'Afghanistan ha avuto ripercussioni significative in tutta l'area mediorientale e oltre. La presa di potere dei talebani ha non solo ridato slancio al fondamentalismo islamico, ma ha anche creato un vuoto di sicurezza che Paesi come la Cina e la Russia stanno cercando di colmare. Tuttavia ho ragione di credere che una parte della responsabilità di questo abbandono potrebbe essere attribuita anche all'Unione Europea, che non ha offerto un sostegno sufficiente agli Stati Uniti per mantenere una presenza stabile nella regione.
Questo disimpegno occidentale ha ulteriormente rafforzato la percezione di un declino della nostra influenza, aprendo nuove opportunità per attori non statali e potenze emergenti.


Una Guerra Mondiale Moderna

L'attuale panorama globale presenta tutti i presupposti per definire una Terza Guerra Mondiale moderna. Non si combatte esclusivamente con le armi, ma attraverso dinamiche economiche, scontri ideologici e conflitti per procura. La globalizzazione ha reso I sistemi-nazione (attraverso le dinamiche PMESII) interconnessi, rendendo una guerra convenzionale tra grandi potenze non solo improbabile, ma oltre che potenzialmente catastrofica addirittura antieconomica e sconveniente sotto tutti i punti di vista strategici.

Tuttavia, la competizione per il dominio globale continua a intensificarsi, con attori come Cina, Stati Uniti, Medio Oriente (inteso più come teatro che attore) ed Europa che giocano ruoli attivi e strategici. Una guerra non convenzionale tra superpotenze offre vantaggi significativi rispetto a un conflitto globale tradizionale in stile Seconda Guerra Mondiale. Innanzitutto, le economie interconnesse rendono una guerra convenzionale troppo rischiosa dal punto di vista economico, con conseguenze potenzialmente disastrose per tutti gli attori coinvolti. Inoltre, una guerra moderna basata su strumenti asimmetrici e non convenzionali consente di ottenere vantaggi strategici attraverso la manipolazione delle risorse, della tecnologia e dell'informazione, minimizzando i costi diretti di un conflitto armato. Infine, questa strategia evita la distruzione fisica su larga scala e mantiene un livello di ambiguità sufficiente per non forzare un'escalation totale, preservando al contempo il controllo interno e il consenso internazionale.

In conclusione, la Terza Guerra Mondiale potrebbe non essere stata formalmente dichiarata, ma è difficile ignorare le dinamiche di conflitto che permeano il panorama globale. Stiamo assistendo a una forma di guerra che non si limita al campo di battaglia tradizionale, ma si manifesta attraverso l'economia, la tecnologia e la geopolitica, ridefinendo il concetto stesso di conflitto. Come sottolineato nel libro "Guerra senza limiti" dei generali Liang Qiao e Xiangsui Wang, l'uso di strumenti asimmetrici consente di perseguire obiettivi strategici senza il ricorso diretto alla forza militare. Questa strategia non solo minimizza i costi di un confronto armato, ma mantiene un'ambiguità che evita escalation totali.

La competizione tra Cina e Stati Uniti nel dominio tecnologico, il ruolo destabilizzante della Russia e l'importanza strategica del Medio Oriente e di Taiwan dimostrano che il conflitto globale si combatte su più fronti. Le economie interconnesse e l'impatto della globalizzazione rendono una guerra convenzionale troppo rischiosa e antieconomica per le superpotenze, spingendole a scegliere percorsi non convenzionali per affermare la loro egemonia.

In questo scenario, gli attori globali si muovono in un equilibrio precario, sfruttando leve economiche, tecnologiche e ideologiche (PMESII) per ridisegnare l'ordine mondiale. Come affermato da Henry Kissinger, "Il potere consiste non solo nella forza, ma anche nella capacità di influenzare la percezione della realtà". Questa citazione incarna la natura della guerra moderna, dove la manipolazione dell'informazione e la gestione strategica delle risorse definiscono i nuovi campi di battaglia. Tuttavia, ci sono ancora contesti in cui lo scenario resta convenzionale.

In aree come l'Ucraina o il Medio Oriente, le tensioni geopolitiche si traducono ancora in conflitti militari diretti. La guerra tra Russia e Ucraina, per esempio, rappresenta uno scontro militare tradizionale, ma al di là che sia sostenuto da una complessa rete di interessi economici e politici, da parte Russa il perseguimento del suo obbiettivo può passare solo attraverso l'uso della forza in quanto è l’unico dominio in cui riteneva di poter esercitare una netta superiorità. Allo stesso modo, i conflitti tra Israele e Palestina mantengono una dimensione convenzionale (ma di tipo asimmetrico a causa dell’evidente superiorità militare di Israele) per via delle dispute territoriali e dell'assenza di un'economia strutturata che potrebbe servire come strumento alternativo di coercizione. Questi conflitti dimostrano come le dinamiche asimmetriche e non convenzionali siano integrate con strategie convenzionali quando le circostanze locali lo richiedono.

È quindi evidente che il concetto di guerra mondiale si è trasformato, adattandosi a un'epoca dominata dall’interconnessione e dalla complessità geopolitica. Gli strumenti tradizionali di conflitto non sono però scomparsi, anzi, in alcuni contesti, rimangono centrali. In scenari come il conflitto in Ucraina o le tensioni tra Israele e Palestina, la povertà economica e l'assenza di istituzioni internazionali forti fanno sì che la forza militare diretta resti il principale strumento praticabile per perseguire obiettivi strategici. La guerra in Ucraina, ad esempio, non è soltanto un conflitto regionale, ma un simbolo di resistenza contro un'aggressione che utilizza metodi convenzionali per ridefinire i confini e l'influenza geopolitica. Altrettanto significative sono le tensioni in Medio Oriente, dove le dispute territoriali e ideologiche continuano a scatenare scontri armati tradizionali, evidenziando come la forza militare sia spesso il mezzo di coercizione adottato in contesti privi soprattutto di alternative economiche.

Questa dualità riflette una realtà più ampia: la Terza Guerra Mondiale è già in atto, caratterizzata da conflitti armati diretti che rispondono a logiche locali dipendenti a loro volta in larga parte da contrasti globali non convenzionali che utilizzano leve politiche, economiche, socio-culturali, infrastrutturali e informative. È questa combinazione a definire il conflitto globale odierno, in cui l'uso di tutti i mezzi disponibili, principalmente da strumenti asimmetrici/non convenzionali e ormai in misura minore convenzionali, crea un panorama dinamico e pericoloso sul quale viene stesa ipocritamente una coperta arcobaleno per far finta di essere in "pace".

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