Perché mai dovrei riconsiderare il nucleare per la transizione energetica?

Rispondere alla domanda: “Perché mai dovrei riconsiderare il nucleare nel contesto della transizione energetica”? In questo articolo provo a dare la mia opinione a riguardo.

Foto di Pixabay

Oggi vorrei discutere con voi tre aspetti: 

  1. Di cosa si parla quando si discute di “nucleare”?
  2. Quali rischi porta effettivamente l’uso dell’energia nucleare?
  3. Quanto costa e quanto tempo ci vuole?
     

Di cosa si parla quando si discute di energia nucleare?

Il nucleare si divide in due gruppi: fissione e fusione. 

La fissione nucleare, utilizzata da decenni per produrre energia elettrica, consistere nel rompere atomi pesanti (tipicamente uranio o plutonio) per formare atomi più leggeri.

La fusione consiste invece nel fondere atomi leggeri (isotopi di idrogeno) per formare atomi un po' più pesanti (elio). Nonostante certe dichiarazioni recenti la fusione è ancora allo stadio di ricerca e sviluppo, e ci vorranno decenni prima che possa (potenzialmente) produrre elettricità in maniera economicamente sostenibile (spoiler: le ragioni le trovi nel video associato a questo articolo, se ti interessa).

Ma perché ci si concentra solo su atomi molto pesanti (fissione) o molto leggeri (fusione)? 

La ragione è che questi atomi sono più “instabili” (a più alta energia) rispetto agli atomi rispettivamente un pò più leggeri (fissione) o pesanti (fusione). Di conseguenza, sia la rottura di atomi molto pesanti che la fusione di atomi molto leggeri rilascia energia, che poi deve essere convertita in una forma da noi utilizzabile (per esempio elettricità).

Per avere un guadagno energetico netto, però, l’energia necessaria per causare la fissione/fusione deve essere minore dell’energia ottenuta alla fine del processo (ad oggi questo è vero per la fissione, ma non per la fusione).

 

Ma perché ci interessiamo di nucleare nel contesto della transizione? 

La ragione dell’interesse per il nucleare, nel contesto della transizione energetica, è che non emette nessun gas a effetto serra, è scalabile, ed in più genera energia in maniera constante e programmabile nel tempo.

Si ma le scorie? Pazienza, ci arriveremo. 

Nel contesto de cambiamento climatico, però, quel che conta sono i gas a effetto serra emessi durante l’estrazione e raffinazione dei minerali, la costruzione delle infrastrutture, ed il funzionamento della centrale. 

E, rispetto a questo parametro, il nucleare si posizione sullo stesso livello di solare e eolico: 

1 ordine di grandezza in meno dell’idrico (che rimane ancora basso), 1-2 ordini di grandezza meno della biomassa, e 2-3 ordini di grandezza meno dei combustibili fossili tradizionali.

Un altro parametro importante, però, è la sicurezza - con la consapevolezza che il rischio 0 non esiste, e che i rischi vanno sempre soppesati rispetto ai benefici. 

Dall’immagine sopra vedete che l’ordine di grandezza rimane lo stesso (rispetto a solare e eolico) anche sotto questo punto di vista. 

Ma come? E allora Černobyl’? E Fukushima?

La realtà è che il nucleare è un po' come gli aeroplani: puoi passare tutto il giorno mostrando grafici per dimostrare che viaggiare in aereo è più sicuro che andare in bicicletta, ma non convincerai mai chi è terrorizzato dagli aerei.

Cerchiamo, quindi, di guarda in faccia le ragioni di queste paure, per provare a normalizzarle (almeno) un pò.

Černobyl’

Partiamo da Černobyl’, che ad oggi è la sola vera tragedia nucleare (civile) nella storia.

Černobyl’ ha principalmente due cause, entrambe portate all’estremo da un sistema totalmente folle come quello dell’URSS: Mancanza di minimi sistemi di sicurezza e stupidità umana.

La serie di eventi che ha portato al disastro, infatti, sono assolutamente surreali.

Partiamo dal principio: design con un alto livello di rischio intrinseco. 

L’impianto nucleare in questione, infatti, non era provvisto della struttura di contenimento, presentava un coefficiente di vuoto positivo, ed aveva un difetto chiave a livello delle barre di controllo.

Eh? E che vuol dire? 

Vediamo questi punti uno per uno. 

La struttura di contenimento serve ad evitare che danni al reattore causino un rilascio di materiale radioattivo nell’ambiente circostante. Perché mai non era presente a Černobyl’? Principalmente per due ragioni:

  1. La centrale di Černobyl’ aveva uno scopo sia civile che militare, il che implica la necessità di estrarre il plutonio generato nel reattore ogni pochi giorni o settimane (invece di e.g.,18 mesi per applicazioni puramente civili). L’assenza della struttura di contenimento rendeva questa procedura molto più semplice.
  2. Minori costi (e poco interesse per possibili danni collaterali per la popolazione civile).

 

Il coefficiente di vuoto dipende dal design del reattore (RBMK in questo caso), ed un valore positivo implica che all’aumentare della temperatura nel nocciolo il tasso di reazioni di fissione aumenta. Questo è un fattore di rischio intrinseco che può portare ad un feedback loop positivo (più reazioni generano più calore, che accelerano ulteriormente le reazioni, che scaldano ulteriormente, etc.). Perché usare questo design, quindi? La ragione per cui questo design è stato scelto (in URSS) è la sua flessibilità in termini di combustibili possibili.

Infine, le barre di controllo (ovvero quelle che servono per diminuire il tasso di reazione / per spegnere il reattore) avevano una punta in grafite che, al contrario di abbassare il tasso di reazione (come la restante parte delle barre) lo aumenta. Questo vuol dire che, se le barre di controllo sono totalmente estratte (che era il caso a Černobyl’, a causa di una serie di errori del personale) il loro inserimento, nella fase iniziale, causa un aumento della reattività, fungendo da miccia per una catastrofe.

Per inciso, questo problema chiave (punte in grafite) era noto all’unione sovietica ma fu mantenuto segreto (anche gli operatori della centrale ne erano all’oscuro): Ah, che belli i sistemi dittatoriali, eh?

Tutto qui? Ma neanche per sogno. 

Altri due problemi chiave sono stati:

  1. Mancanze di competenze (il direttore dell’impianto ed il capo ingegnere, Viktor Brjuchanov e Nikolai Fomin, avevano poca o nessuna esperienza nel settore nucleare quando furono assunti).
  2. Disattivazione (manuale) di una serie di sistemi di sicurezza ed emergenza + errori tecnici combinati ad una mancanza di preparazione (rispetto al test di “sicurezza” che ha portato al disastro) degli operatori in servizio quella notte.

Come si compara tutto questo coi reattori occidentali?

In occidente, la struttura di confinamento è sempre stata obbligatoria, la maggioranza dei reattori hanno coefficienti di vuoto negativo, la “miccia” a grafite nelle barre di controllo non c’è, ed i sistemi di emergenza non possono essere disattivati.

Già questo (o anche solo la metà degli elementi sopra) basterebbe ad azzerare il rischio di un incidente come quello di Černobyl’, ma c’è anche dell’altro.

Infatti, in occidente il personale delle centrali viene scelto per via delle competenze, e non per la fedeltà al partito (URSS). Per quanto l’errore umano non sia sempre evitabile, la serie di (svariati) errori che ha portato al disastro di Černobyl’ è talmente assurda che farebbero ridere, se non fosse per il disastro che ha contribuito a causare. Ci sono pochi dubbi (leggasi nessuno) che una leadership anche solo un minimo più competente (ed un personale addestrato per l’operazione affidata) possano commettere una serie simile di errori.

E per rimarcare questo punto va ricordato che qui non parliamo di un singolo errore, ma di una serie di 5-6 errori, tutti molto gravi e avvenuti in meno di 24 ore.

Quindi, ha senso usare Černobyl’ come metro di paragone per discutere se il nucleare abbia spazio o meno nelle società moderne occidentali? 

In tutta onestà, e con tutta la diplomazia di cui sono capace: No, non ha senso. 

Di conseguenza, a guardare oggi la scelta italiana di abolire l’energia nucleare nel referendum del ’87, in cui molto ha giocato la paura portata da Černobyl’, non si può non trovare tale scelta poco logica (oggi, ad essere onesti con noi stessi, credo che dovremmo chiamarla populista). 

Questo non vuol dire che non la si possa comprendere. Černobyl’ è stato un evento senza eguali nella storia, e non stupisce che le poche o cattive informazioni a riguardo (insieme al contesto da guerra fredda) abbiamo portato ad una scelta dettata dalla paura.

Nonostante ciò, l’aver associato Černobyl’ alla possibilità di simili disastri in occidente rimane ingiustificato e, perlomeno oggi, sarebbe bene riconoscerlo. E questo lo dico con tutto il rispetto per le centinaia/migliaia di morti causati dal disastro di Černobyl’ e dalle svariate centinaia di migliaia di persone la cui vita è stata segnata direttamente da questo evento (che sia per malattia, depressione, o trasferimenti forzati).

E allora Fukushima, nell’efficientissimo Giappone? Come lo si spiega? 
 

Fukushima

Per farla breve, la paura associate a Fukushima è stata sostanzialmente causata dalla (cattiva) retorica piuttosto che dai danni reali, i quali, soprattutto se comparati ai danni portati dal terremoto/tsunami, sono stati estremamente limitati.

Ad oggi, il disastro nucleare di Fukushima ha portato ad una ventina di feriti e ad 1 sola morte. E questo nel contesto di un disastro naturale che ha causato ca. 20,000 morti, 6,000 feriti, e 2,500 persone i cui corpi non sono mai stati ritrovati.

Un maggior numero di morti da radiazione si sarebbe probabilmente avuto se le zone toccata da radiazioni non fossero state evacuate o se l’evacuazione fosse stata meno rapida. Questo, però, non è necessariamente un punto positivo. Infatti, le evacuazioni (fatte in fretta e nel panico) hanno portato a centinaia di morti, ragionevolmente più di quelli che avrebbero causate le radiazioni.

Non voglio, però, lanciarmi in un attacco al (ex) governo nipponico (come a volte viene fatto in ambienti pro nucleare). 

Le evacuazioni sono state un disastro, ma è probabile che questa decisione sia stata dettata dal timore che il terrore delle persone rispetto al nucleare (causata da decenni di cattiva retorica, non dal governo giapponese) avrebbe portato ad evacuazioni spontanee ancor più disorganizzate.

In maniera similare, il rilascio di materiale radiativo nell’oceano (sia subito dopo il disastro, sia quello che avverrà nel 2023) non è affatto un problema: non hanno portato né porteranno a nessun aumento significativo della radioattività degli oceani. Infatti gli oceani contengono naturalmente molti (vari ordini di grandezza) più elementi radioattivi (come uranio 238, potassio 40, e carbonio 14) rispetto a quelli contenuti nelle acque di Fukushima (dopo le filtrazioni praticamente solo trizio).

Cosa vuol dire tutto questo? 

Vuol dire che l’incidente di Fukushima non giustifica in alcun modo la scelta di escludere un (Italia) o di distruggere il (Germania) proprio programma nucleare.

Numeri alla mano, negli ultimi 70 anni il nucleare (quello della seconda e terza generazione, senza bisogno di scomodare la quarta) ha già dimostrato di essere tra le fonti energetiche più sicure - molto di più delle fonti fossili, che forniscono ancora >60% dell’elettricità globale e >80% dell’energia nel suo complesso.

 

Va bene, magari in occidente Černobyl’ e Fukushima vanno un attimo ridimensionati. Ma che facciamo con le scorie?

Le scorie

Se possibile questa problematica è ancor più sovradimensionata del tema sicurezza.

Qui discuterò rapidamente i seguenti aspetti:

  1. Quantità di scorie;
  2. Sicurezza dei sistemi di stoccaggio;
  3. Siti di stoccaggio a lungo termine;
  4. Prospettive future.

Intanto, di quante scorie si parla?

Guardando alle scorie a radioattività alta ed intermedia (quelle potenzialmente più pericolose) l’industria nucleare civile, in 70 anni di storia, ne ha generato circa 29,000 e 2.8 milioni di metri cubi, rispettivamente.

Tante? Poche? 

Per dare un po' di contesto, l’insieme di queste scorie potrebbe essere stoccato in meno di 4 navi cargo moderne (circa 800 m3 ciascuna). Ad oggi migliaia di queste navi solcano gli oceani di tutto il mondo ogni giorno.

Quindi si parla tutto sommato di pochi rifiuti (principalmente grazie all’elevatissima densità energetica dell’uranio) e, cosa non meno importante, tutti solidi: 

Si, i liquidi verdi che avete in testa, semplicemente, non esistono e non sono mai esistiti (e per approfondire questo aspetto si dovrebbe parlare più di giornalismo che di scienza/tecnologia, e sono quindi ben contento di lasciarlo ad altri).

Ok, le scorie saranno pure poche ma ci sono. Quindi, come le conserviamo? E dove?

I rifiuti a radioattività alta ed intermedia vengono stoccati in appositi contenitori in tre strati (materiale ceramico, acciaio, e cemento), progettati per resistere a terremoti, infiltrazioni d’acqua, attacchi missilistici, aerei, etc.

Trovate un esempio qui: https://youtu.be/jBp1FNceTTA

E per i siti di stoccaggio a lungo termine? Qui c’è effettivamente un problema, ma non è quello a cui stai pensando. 

Di siti geologici adatti per stoccaggio a lungo termine (1 milione di anni) ce ne sono. Per esempio, circa metà della Germania sembra sia potenzialmente adatta a questo scopo (https://www.cleanenergywire.org/news/germany-takes-first-small-step-towards-finding-nuclear-waste-resting-place).

Inoltre, stocchiamo già quantità molto più elevate di prodotti chimici altrettanto tossici senza farci troppi problemi (e che sono molto più difficili da rilevare, perché devi sapere esattamente cosa stai cercando, mentre possiamo misurare molto accuratamente anche livelli di radiazione estremamente bassi con contatori Geiger che potete acquistate per 30€ su Amazon).

Il problema (per lo stoccaggio, ma più in generale per il nucleare tutto) è l’accettazione sociale, nonostante i numeri (in termini di emissioni, sicurezza, e scorie) non lascino particolare spazio a dubbi. 

Da dove viene quindi questa paura, ed in generale il rifiuto del nucleare?
 

Da dove viene la paura del nucleare?

Qui potrei puntare il dito contro la cattiva informazione giornalistica, la retorica (ed il rischio) nucleare dell’epoca della guerra fredda, e a film/libri fantascientifici (poco realistici) su fallout nucleari – e tutti questi hanno sicuramente contribuito alla paura collettiva. 

Ma credo che una ragione fondamentale per cui queste retoriche hanno avuto tanto successo è una caratteristica dell’energia nucleare stessa: è complicata.

Cosa voglio dire con questo? Guardiamo un attimo alle altre principali fonti energetiche per capire meglio dove voglio andare a parare. 

Le rinnovabili sono basate su fonti di energia su cui tutti abbiamo avuto esperienze dirette (tutti siamo stati fuori al sole o quando faceva vento, e tutti abbiamo visto laghi, fiumi, o almeno torrenti), e abbiamo un’idea di come funzionano. Si, magari i più non sanno esattamente come un fotone di una certa lunghezza d’onda possa essere assorbito, portare ad una separazione di carica, e alla conseguente produzione di una corrente elettrica – ma tutti capiamo che la luce solare porta con sé dell’energia, e nella nostra vita abbiamo tutti visto, toccato, o magari anche comprato dei pannelli solari.

Dall’altra parte tutti sappiamo che i combustibili fossili sono un problema, e che portano alla morte premature di molte persone (seconda figura di questo articolo) ed al cambiamento climatico. Ma, tutto sommato, ci fanno meno paura. Sono, in un certo senso, un demone amichevole.

Cosa voglio dire con questo? Voglio dire che tutti abbiamo avuto un’esperienza diretta coi combustibili fossili (che sia la carbonella per una grigliata, la benzina per la macchina, o un fornello a gas), rendendoli tutto sommato familiari e, quindi, meno spaventosi. 

E il nucleare invece?

Poche persone hanno le basi scientifiche per capire esattamente come funzione, e ancora meno quelli che hanno avuto un’esperienza diretta (per esempio una visita ad una centrale o ad un sito di stoccaggio). Questa mancanza di esperienze e conoscenze collettive da ampio spazio a cattiva informazione e a teorie strampalate, e rende al contempo più difficile combatterle (e qui si ritorna all’analogia con gli aeroplani: hai voglia a mostrare numeri a chi ha paura…).

Quindi perché questo lungo articolo, focalizzato sui dati del nucleare?

Perché comunque dai dati si deve partire per poter capire, e perché credo di rivolgermi ad una (piccola) bolla che dà importanza ai dati, a priori che sia d’accordo con me o meno.

Si ok, tutto bello, ma non mi hai ancora detto che facciamo con le (poche) scorie che abbiamo per i prossimi mille mila anni.

E c’hai ragione. Riprendiamo allora il nostro viaggio chiedendoci: dobbiamo stoccare all’infinito le scorie nucleari?

È vero che le scorie contengono elementi radioattivi con tempi di vita di milioni di anni, ma si deve considerare che:

  1. Gli elementi più pericolosi hanno tempi di vita molto più ridotti (da qualche mese ad un paio di secoli).
  2. Molti degli elementi a tempi di vita più lunghi (milioni di anni) possono essere consumati in reattori di quarta generazione (permettendo di “riciclare” questi elementi).
  3. Il tema di oggi è il cambiamento climatico, tema con un orizzonte temporale di decenni (molti o pochi si vedrà). Passare dal dover risolvere un problema emissioni ad un problema scorie, se non altro, ci farebbe guadagnare qualche secolo/millennio di tempo per trovare altre soluzioni (il che non è niente male, a mio modestissimo avviso). 

 

Costi e tempi del nucleare

Passando ai costi del nucleare, questi vanno ridotti.

Ad oggi sono troppo alti in EU/USA, e questo anche a causa di sovra regolazione, alti tassi di interesse (dovuti anche alla bassa accettazione sociale) e perdita di know-how a causa di mancanza di investimenti (si, anche per i francesi, che hanno stupidamente passato gli ultimi due decenni a cercare di sostituire il nucleare con le rinnovabili, invece di aggiungere altra capacità elettrica, anche rinnovabile, in aggiunta al loro nucleare – spingendo al contempo per una maggiore elettrificazione). 

I costi di nuovi impianti però, anche fatto salvo quanto detto sopra, ad oggi sono più alti dei corrispettivi fossili e delle rinnovabili (se si considera la sola produzione, ma per le sfide delle rinnovabili vi rimando all’articolo associato: youtu.be/8SCztXfT98s), ma si dovrebbe anche iniziare a riconoscere il valore di una fonte di elettricità programmabile e a ~0 emissioni (non è che ne abbiam tante così eh ...)

All’aumentare della penetrazione delle rinnovabili intermittenti (solare e eolico) l’importanza di produzione elettrica a ~0 emissioni e programmabile potrebbe crescere, aumentando il valore degli impianti nucleari sia per la stabilità della rete elettrica che a livello economico. C’è però ancora tanto lavoro da fare per combinare al meglio rinnovabili e nucleare, rendendo quest’ultimo capace di maggiore flessibilità, per esempio combinandolo con stoccaggio termico o produzione di idrogeno. Riguardo gli impianti esistenti, i costi per la ristrutturazione, al fine di aumentarne i tempi di vita, sono estremamente competitivi: quindi sarebbe già bene estendere la vita di tutti gli impianti per cui questo è possibile, invece di spegnerne anticipatamente (vedi Germania e Belgio).

 

(Inciso: il tasso di interesse per la figura sopra è considerato essere uguale per tutte le tecnologie, ed in particolare del 7%)

Rispetto ai tempi del nucleare, con la giusta volontà politica ed investimenti adeguati le tempistiche sono assolutamente congrue coi tempi (e.g., decarbonizzazione completa della rete elettrica per il 2040) della transizione energetica (il grafico qui sotto fa riferimento al caso svedese, per evitare di riportare sempre quello francese). 

 

Proliferazione nucleare

Prima di andare verso la conclusione (sei quasi alla fine, coraggio!), un paio di rapide considerazioni sulla proliferazione nucleare. Non credo questo sia un tema da prendere alla leggera, ma nonostante ciò va considerato che: 

  1. Si può mettere in piedi un arsenale nucleare senza passare dal nucleare civile (vedi il caso della Corea del Nord).
  2. Le nazioni che costruiscono (o che vogliono costruire) una loro industria nucleare hanno bisogno dell’aiuto della comunità internazionale (e quindi devono aprirsi a stretti controlli da parte dell’agenzia internazionale per l’energia nucleare).
  3.  Parlare di proliferazione ha poco senso per le nazioni occidentali, che o hanno già armi atomiche, oppure non hanno il minimo interesse a farne di nuove (e che, se proprio volessero, potrebbero probabilmente farlo anche senza un’industria nucleare civile).

Quest’ultimo punto ci dice una cosa: quando si parla di nucleare in stati occidentali (come in questo articolo e come fanno tipicamente gli oppositori del nucleare in EU/USA) la proliferazione nucleare non è veramente un tema che ha particolarmente senso trattare. Detto ciò, questo tema non va neanche preso alla leggera per stati come l’Iran che gioca e ha giocato per anni sull’ambiguità del suo programma nucleare (per quanto ormai sia diventato abbastanza evidente che punti ad accedere ad armamenti nucleari). 
 

Nucleare: probamente la tecnologia più polarizzante che ci sia

Per concludere il punto chiave del nucleare, come anticipato, è l’accettazione sociale. 

C’è ancora molto da fare per far capire alla maggior parte delle persone che il nucleare è sia pulito che sicuro. In questi ultimi anni molte persone hanno speso e stanno spendendo tantissimo tempo ed energia in questa battaglia, e li ammiro molto per questo. Ciò nonostante, non posso non notare che oggi (anche per la natura intrinsecamente polarizzante del nucleare) vi è sempre più spesso uno scontro tra “fan” del nucleare e “fan” delle rinnovabili.

Personalmente trovo che, da entrambe le parti, si dovrebbe fare uno sforzo perché questi due mondi comunichino di più e meglio.

Da una parte, i “fan” delle rinnovabili (e la società tutta) dovrebbe cercare di aprirsi un po' di più e non chiudersi (spesso per pure ragioni ideologiche) a qualsiasi opzione che contempli il nucleare.

Dall’altra parte, i “fan” del nucleare dovrebbe evitare di trattare (by default) da idioti le persone non convinte dal nucleare, comprese quelle che credono che il nucleare non sia né pulito né sicuro. Si, i numeri dicono il contrario, ma la paura non si combatte solo coi numeri – e credo che una buona fetta delle persone sia semplicemente in difficoltà nel mettere in dubbio una paura radicata da decenni. E, magari, un dibattito un po' più sereno e civile potrebbe aiutare a sradicarla.

Sono convinto che rinnovabili (solare e eolico in particolare) e nucleare possono lavorare bene insieme e, piuttosto che litigare, dovremo focalizzarci su come massimizzare i benefici di entrambi minimizzandone al contempo gli svantaggi. Esempi in questa direzione possono essere lo stoccaggio termico (o la produzione di idrogeno) da nucleare per mitigare il problema dell’intermittenza delle rinnovabili o maggiore capacità solare per rispondere a siccità estive, che possono potenzialmente causare una minore produzione da nucleare (per minor disponibilità d’acqua).

Cercare di de-polarizzare il dibattito sul nucleare mi sembra, quindi, una priorità. 

Nel futuro avremo bisogno di più rinnovabili e più nucleare per rendere questa transizione il più possibile rapida ed economicamente conveniente, avendo un occhio di riguardo anche per la sicurezza energetica.

 

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