Non si finisce mai di studiare? | Lifelong learning

Considerato uno degli indicatori per la valutazione dei Paesi dell’Unione Europea, il “lifelong learning” è anche un approccio culturale per mantenere la popolazione aggiornata, più attiva all’interno delle democrazie e nel mondo del lavoro. Analizziamo il quadro europeo - con focus sull’Italia e la Svezia - basandoci sui dati Eurostat ed Istat. Spoiler: in Italia si finisce di studiare, in Svezia no!

Immagine di freepik

Cos'è il Lifelong Learning o "apprendimento permanente"

Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere ed acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro.

Con queste parole inizia il documento di raccomandazione della comunità europea sul “lifelong learning”, considerato il primo pilastro dei diritti sociali europei ed inserito negli obiettivi nelle “pari opportunità e l’accesso al mercato del lavoro”.

Con apprendimento permanente (“ lifelong learning” - LLL) si intendono “tutte le attività di apprendimento intraprese nel corso della vita con l’obiettivo di migliorare conoscenze, abilità e competenze, all’interno di prospettive personali, civiche, sociali o legate all’occupazione”  (1) e che vengono intraprese dopo la fine dell’istruzione iniziale. Tali attività sono classificate in formali (corsi che rilasciano titoli di studio o certificati), non formali (attività che non rilasciano titoli o certificati ma organizzate con orario e tutor) e informali (attività di apprendimento non organizzate) (2).

In pratica il lifelong learning spazia dai corsi professionali ai corsi senza certificazione fino all’aggiornamento autonomo (es. leggere un libro).

I fini dell’apprendimento permanente riguardano la realizzazione personale, lo sviluppo di uno stile di vita sano, l’occupabilità, la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale (fonte: key competences for lifelong learning) e l’UE si propone di raggiungere tali obiettivi fra i cittadini attraverso otto competenze chiave: alfabetizzazione, linguistica, STEM, digitale, personale e sociale, di cittadinanza, imprenditoriale, culturale ed espressiva. 

Ogni stato europeo è tenuto a mettere in atto attività finalizzate al raggiungimento di una percentuale di cittadini dotati di tali competenze. Tali target sono stati fissati dall’EU: entro il 2025 il 47% della popolazione adulta (25-64 anni) dovrebbe svolgere LLL durante il precedente anno solare, per il 2030 il target sale al 60% (3)

Questi obiettivi hanno un senso. Infatti, l’apprendimento permanente è importante a livello individuale (aumento dell’employability, del benessere fisico e mentale, del benessere sociale), economico (aumento della capacità di innovazione, della competitività, aumento della contribuzione fiscale ) e societario (aumento della salute della popolazione, riduzione della criminalità, aumento della sostenibilità, promozione sociale, aumento delle attività di cittadinanza) (4).

I dati sulla formazione degli adulti in Europa vengono raccolti dalla “Adult Education Survey - AES” e presentati da Eurostat. Per l’Italia è l’Istat (2) a fornirci un quadro della situazione.

Il Lifelong Learning in Europa

Il trend di partecipazione al LLL in Europa è leggermente in aumento nel decennio 2013-2023. Il dato annuale più recente è quello relativo al 2023 e pubblicato da Eurostat nel maggio 2024.

In media, in Europa il 47.2% delle donne ed il 46% degli uomini partecipano al LLL. I valori più alti sono raggiunti da Svezia, Olanda, Ungheria. I più bassi sono stati registrati in Polonia, Bulgaria, Grecia. L’Italia è al 21° posto, dopo il Belgio e prima della Lituania.

Un dato interessante è quello della formazione tra gli adulti che non lavorano; solo il 14% ha avuto una esperienza di apprendimento nel 2023; l’obiettivo dell’EU al 2025 è del 20%. Tale obiettivo è stato raggiunto da sei paesi (Svezia, Danimarca, Olanda, Lussemburgo, Finlandia, Estonia) mentre sono sotto al 10% nove paesi, Italia compresa (1).

Considerato il fatto che molte volte l’apprendimento è legato all’attività lavorativa, risulta interessante analizzare i dati anche in una prospettiva diversa: quant’è il tasso di partecipazione ad attività di apprendimento informali, ovvero quelle che non rilasciano certificazioni e che - potremmo dire - si svolgono solo per il piacere della conoscenza o per arricchire la vita personale?

Per rispondere a tale domanda ci viene in aiuto l’analisi dei dati disponibili sul sito dell'UE (5). Sul podio troviamo: Cipro (92.9%), Serbia e Francia. La media EU27 è del 64.2%, valore superato dall’Italia con un 67.4%. Questi dati però devono essere valutati considerando che sono frutto di una valutazione con questionario e senza un controllo in quanto attività non istituzionalizzata. Inoltre l’attività è molto variabile: dal partecipare ad una visita al museo, fino alla lettura di un libro o la lettura su device elettronici.
Tuttavia, considerato il dato dall’altro punto di vista e con tali premesse, fa riflettere il fatto che in media in Europa quasi quattro cittadini su dieci (35,8%) negli ultimi 12 mesi dichiarino di non aver svolto nessun tipo di attività di apprendimento.

La situazione in Italia

Risalgono ad aprile 2024 gli ultimi dati Istat (2) sulla formazione degli adulti per l’anno 2022.

L’Italia è carente per la partecipazione ad attività di formazione - formale e non formale - e ricopre la 21° posizione in Europa a 27 stati, con una percentuale, nei 12 mesi di riferimento, del 35,7% (-11% rispetto alla media europea). Il target da raggiungere entro il 2025 è del 47%.

Ad una analisi più approfondita, si evince che è minore la partecipazione in caso di più bassa istruzione dei genitori o del cittadino stesso; se in Europa tale dato è del 25%, in Italia si attesta al 18%. In pratica 1 solo cittadino su 6 (fascia 25-64 anni) con basso livello di istruzione partecipa ad una attività di formazione.

A latere è significativo citare anche il dato della fascia 18-24 anni, nella quale il 31% non partecipa ad alcun percorso di istruzione o formazione (20,2% la media europea) a dimostrazione che il problema interessa anche la fascia immediatamente più giovane.

Non bene neanche la partecipazione alle attività formative da parte dei disoccupati (20,5%) rispetto agli occupati (44,1%) (Ndr. riferita alla fascia 18-74 anni). Pertanto, come riporta Istat, “coloro che avrebbero più bisogno di acquisire, sviluppare, aggiornare le competenze, per tenere il passo con i cambiamenti del mercato del lavoro e ridurre così il rischio di fuoriuscita, sono quindi proprio coloro che si formano di meno” (2).

Il Benchmark Europeo: la Svezia

Dieci milioni di abitanti (6), tasso di occupazione del 75% (tra 15-64 anni), un tasso di NEET del 5,8% (in Italia siamo al 19%), il 50% dei giovani fra i 25 ed i 34 anni laureati (in Italia il 30%). Partiamo da questa fotografia per analizzare la Svezia, che risulta il paese più virtuoso quando si parla di apprendimento permanente. Proviamo a capire quali potrebbero essere le motivazioni di tale “virtuosismo”, con una premessa: la Svezia ha una tradizione acclarata e di lungo corso nell’educazione (7), soprattutto in quella non-formale negli adulti.
Nel 2007 il Ministero dell’Educazione e della ricerca svedese ha pubblicato un documento che definiva la “strategia per la lifelong learning” sottolineando il diritto per ognuno a ricevere una buona educazione, basandosi sulla qualità, sull’accessibilità e sul coordinamento. 

Policy should be directed to both supporting adult learning, and promoting the development of structures for greater coordination between different players supporting learning. Responsibility for adult education in a broad sense thus becomes the responsibility of the individual, the state and the employer (8) 

Secondo gli autori, l’educazione degli adulti dovrebbe essere supportata per rispondere ai bisogni dell'individuo e della società. Il razionale della strategia mette al centro i cittadini ed il supporto della loro formazione in base alle loro opportunità, motivazioni e potenziali (9) ed indipendentemenre da background o risorse finanziarie. 

Prima considerazione: gli svedesi sono virtuosi e molto propensi all’apprendimento informale; solo il 26% dichiara di non aver partecipato ad una forma di educazione nell’ultimo anno (3).

Seconda considerazione: al fine di perseguire gli obiettivi di cui sopra la Svezia propone una serie di modalità di apprendimento formali e non-formali.

In particolare, è attivo il programma “Komvux” ovvero “educazione degli adulti” che è un sistema di educazione offerto dai comuni per chi non ha completato il percorso di studi o vuole implementare la propria preparazione (“Municipal adult education (Komvux)”).

Particolarmente interessanti sono anche le Folk High School o “folkhogskola”. Sono delle “scuole superiori popolari” con l’obiettivo di migliorare le risorse umane di ogni individuo attraverso un’educazione civica generale e con studi orientati per problemi e tematiche. Vi possono accedere tutti dai 18 anni (“Aim and ideology of the Folk High School - folkhogskola.nu”). Le Folk High School fanno parte, insieme alle associazioni di studio (studieforbund), della “folkbildning” ovvero della “educazione adults liberale” e, specifichiamo, rientrano nella “educazione non-formale” (“3.3 Adult education and training funding”). Sono quindi separate dal sistema educativo tradizionale e sono gestite per i due terzi da organizzazioni non governative, anche se ricevono dei finanziamenti statali (“An introduction to the Folk High School - folkhogskola.nu”).

E questo ci porta a valutare il terzo aspetto “virtuoso” della Svezia: il finanziamento del longlife learning per gli adulti.

La gestione del supporto finanziario è gestito dal Consiglio svedese per le finanze degli studenti, che si occupa di assegnare il supporto finanziario in forma di borse di studio o prestiti. Per la formazione degli adulti sono previsti dei sussidi in forma di borsa di studio o prestito. Da sottolineare che sopra i 25 anni e per studi al livello di scuola obbligatoria o formazione professionale gli studenti possono ottenere una borsa di studio più elevata.
Anche gli studenti delle Folk High School hanno diritto ad un sostegno che eventualmente può essere integrato dal comune (10).

Deriva quindi un quadro di supporto dallo stato non solo in termini politici/programmatici ma anche economici. Tuttavia, è difficile quantificare i veri finanziamenti della lifelong learning; non risultano pubblicati dossier specifici ed è difficile calcolare i valori indiretti perchè i vari paesi utilizzano finanziamenti diversi e modalità diverse per sostenere il LLL. E questo vale parzialmente anche per la Svezia.

Istruzione

Svezia

Italia

Spesa pubblica [% PIL]

6,5%

4%

Spesa pro-capite [€] (OCSE)

1200-1500

500-700

FSE [miliardi €]

4

43

Spesa per la formazione post-secondaria non-terziaria (% PIL, anno 2020)

(fonte: UNESCO

0.07

n.r.

Possiamo, però, fare un confronto con l’Italia mediante un’analisi indiretta, meno accurata ma indicativa: la Svezia presenta una spesa pubblica, pro-capite e dell’FSE per l’istruzione maggiore rispetto all’Italia (vedi tabella). Mancano i dati italiani sulla spesa per la formazione post-secondaria non terziaria (che è una categoria molto ampia e quindi non accurata), pertanto non è possibile fare un confronto fra i due paesi per tale capitolo di spesa, ma - a logica - non può che essere inferiore. Quindi non solo in Svezia è presente un’organizzazione strutturata ma anche investimenti in educazione molto più alti. È auspicabile, quindi, la futura disponibilità di maggiori dati al riguardo per capire il reale finanziamento economico da correlare con i risultati. 

Conclusioni

In Svezia non si finisce mai di studiare. In Italia sì. E questo è un male considerando che l’apprendimento permanente è importante perché ha una serie di ricadute positive in termini personali, societari ed economici. Sicuramente la predisposizione dei singoli cittadini è importante - come dimostrato dal dato relativo ai non occupati italiani - ma una considerazione ulteriore è possibile: il dato economico sulla spesa in educazione per l’Italia è basso rispetto al benchmark svedese ed è un dato oggettivo da non ignorare.
Evidentemente, non abbiamo un apprendimento permanente rispetto ai paesi che si organizzano meglio e performano meglio in Europa. Per l’ennesimo aspetto. Ed ancora una volta.

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