Terminato il G7 e fuori dalla cornice più o meno istituzionale del Festival dell’economia di Trento, Giorgia Meloni è tornata a vestire i panni della populista dura e pura in occasione della chiusura di campagna elettorale a Catania.
Quello che stride, ancor più delle parole che più avanti analizzeremo, è la costante di politici-rappresentanti delle istituzioni che con strabiliante nonchalance riescono ad passare dal grigiore, vagamente paludato, della razionalità quando si trovano a muoversi in contesti seri e internazionali, al tifo più volgare e demagogico quando affrontano le campagne elettorali. Un double standard che è, agli occhi di scrive, di per sé manifestazione di scarsa affidabilità.
Ma cosa ha detto la premier e che significato si può dare alle sue parole?
“La lotta all’evasione fiscale si fa davvero dove sta l’evasione: big company, banche, frodi sull’iva, non il piccolo commerciante al quale vai a chiedere il pizzo di stato perché devi fare caccia al gettito più che lotta all’evasione. L’evasione la devi combattere dove sta.”
Prima di tutto ha detto che l’evasione sta nelle grandi società, nei bilanci delle banche, nelle frodi sull’IVA.
Questa affermazione è fattualmente falsa, almeno se associata al fenomeno dell’evasione.
In secondo luogo, e forse dialetticamente più disastroso, ha paragonato l’accertamento fiscale al pizzo in una terra martoriata dall’estorsione, mettendo sullo stesso piano legalità e illegalità.
Nell’ultima Nota di Aggiornamento al DEF, rilasciata proprio dal governo Meloni, c’è allegata la “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale”. La Relazione analizza i risultati della lotta all’evasione fiscale nel periodo 2016-2019. Giorgia Meloni, nella versione Presidente del Consiglio, non avrebbe che da leggere i documenti elaborati dal proprio governo per sapere lo stato dell’arte dell’evasione.
In quel documento si trovano i risultati dell’indagine statistica (sulla metodologia di indagine ci ripromettiamo di fare prossimamente un approfondimento).
Ciò che emerge dall’analisi dei settori in termini di evasione fiscale, contributiva, e da lavoro irregolare è riassunto nei grafici seguenti.
Possiamo subito osservare due elementi. Il primo è che, lentamente, il taxl gap sta calando. C’è ancora un ampio margine di miglioramento, tanto è vero che uno degli obiettivi del PNRR è riportare questo fiscal gap a livelli europei recuperando circa 25 miliardi di mancato gettito. Il secondo è che la maggior parte dell’evasione si concentra nei settori dei servizi, del commercio e delle costruzioni con un rapporto che va dal 20 al 35% del totale del valore aggiunto settoriale. In altre parole in questi settori si fatturano i ¾ e i 3/5 dei servizi e dei beni venduti.
Un altro elemento interessante, che ci fornisce una prima risposta alle parole della premier, è la distribuzione territoriale dell’economia sommersa. Nel Mezzogiorno il 18,2% delle attività fiscalmente rilevanti sfugge al fisco; nel centro-nord, dove sono concentrate le principali big company, l’11%.
Il rapporto 2021 di Tax Justice Network, riporta che la perdita di gettito dovuta ad evasione delle multinazionali ammonta a 2 miliardi l’anno su un totale di 6,4. E’ evidente che l’evasione di tasse di una grande società sia più visibile, anche per effetti di compensazione/risoluzione con l’Agenzia della Riscossione che trovano sempre ampia esposizione mediatica, ma non trova spazio l’affermazione secondo la quale l’evasione è solo dove sono i grandi capitali.
In un altro rapporto, quello di CGIA di Mestre del 2019, riportato con grande enfasi dalla stampa nazionale, si afferma che l’evasione fiscale accertata durante le attività di controllo sulle grandi imprese risultava essere 16 volte superiore a quella rilevata sulle micro imprese e sulle ditte individuali. Il rapporto però diceva anche che erano state interessate dai controlli il 32% delle grandi imprese e e il 3% delle piccole.
I risultati degli accertamenti sono quelli illustrati qui sotto dallo stesso centro studi
Dunque anche la CGIA rileva che la parte più significativa, ed anche la più difficile da accertare, dell’evasione si annida nelle pillole e piccolissime imprese.
Per concludere una considerazione politica.
Finché in Italia vincerà la retorica del piccolo è bello, chiudendo un occhio o entrambi di fronte alle occasioni perse per via di un modello economico perdente, ci saranno poche speranze di una crescita del benessere di ampio respiro. Restare piccoli significa innovare poco, frenare la produttività ed, infine, trovare incentivi all’evasione.
Per chi avesse voglia di approfondire questi aspetti, qui un esaustivo occasional paper di Banca d’Italia
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