A 13 anni dalla fine della Giamahiria la Libia non esiste più ed è, di anno in anno, sempre più lontana dal tornare uno stato unitario. Nel disinteresse italiano e occidentale dal caos libico sono emersi vincitori Erdogan e Putin, che si sono spartiti l'influenza sulle antiche regioni della Tripolitania e della Cirenaica. I russi, sempre più padroni dell'est libico, stanno trattando con Haftar la costruzione di una nuova base navale nel Mediterraneo.
Inventata a Roma nel 1934 per unire in una colonia sola le tre storiche regioni conquistate e riconquistate della Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, la Libia è sopravvissuta a una guerra mondiale, alla decolonizzazione e a 42 anni di dittatura gheddafiana. Abbattuto il tiranno, dal 2011 sono tornate a prevalere le divisioni regionali, tribali ed etniche.
Per dare al Paese una nuova costituzione fu eletto nel 2012 il Consiglio Nazionale Generale(GNC) che, controllato da partiti islamisti, fallì nel suo obiettivo e votò nel dicembre 2013 l’applicazione di una forma della Sharia. Fu allora che Khalifa Haftar (generale gheddafiano catturato nel 1987 in Ciad, vissuto fino al 2011 in Virginia da oppositore del regime) uscì allo scoperto esigendo la dissoluzione del GNC sotto la minaccia di un colpo di stato. Il 16 maggio 2014, al lancio della sua Operazione Dignità contro milizie islamiste e islam politico, ebbe inizio la seconda guerra civile libica.
Da allora coesistono due governi che non si riconoscono reciprocamente: sotto la protezione di Haftar si riunisce a Tobruch la Camera dei rappresentanti, che esprime il Governo di Stabilità Nazionale, con autorità sull’oriente libico e gran parte della Libia centrale e meridionale; a Tripoli l'attuale Governo di Unità Nazionale(GNU) guidato da Dbeibeh è succeduto nel 2021 al Governo di Accordo Nazionale (GNA) presieduto da Fayez al-Sarraj. Dal 2016 il governo di Tripoli è riconosciuto dall'ONU e sostenuto oltre che dalla Fratellanza musulmana da USA e UE, con l'importante eccezione della Francia, che ha sempre appoggiato militarmente e politicamente Haftar. Al sostegno di Egitto, Emirati, Arabia Saudita e Francia per il signore della guerra cirenaico si è aggiunto a fine 2016 quello fondamentale della Russia, che dopo il successo dell'intervento nella guerra civile siriana ha visto nella seconda guerra civile libica l'opportunità di guadagnare facilmente influenza anche sulla sponda sud del Mediterraneo.
Aiutato molto più timidamente dai propri alleati, il governo legittimo di Tripoli si è trovato a lungo in una posizione di debolezza sul campo, fino a quando nel dicembre 2019, ormai assediato dalle milizie di Haftar nei sobborghi della capitale, il decisivo intervento di Erdogan lo ha salvato e ha consolidato il suo controllo sulla Tripolitania. A causa della disastrosa politica libica dei governi Conte, culminata con il rifiuto opposto alla richiesta di aiuto di Sarraj attaccato, l’Italia e l’UE hanno ormai perso buona parte dell’influenza sulla situazione libica e della speranza di riunificare e stabilizzare un paese tanto importante per la sicurezza comune. Russia e Turchia, ben soddisfatte di aver ottenuto tanto con uno sforzo minimo, non hanno ormai alcun interesse a favorire complicati processi e state-building in un paese tragicamente frammentato lungo molteplici faglie preesistenti e senza un reale monopolio della forza.
Da anni la nostra opinione pubblica e la nostra classe politica hanno smesso di capire la Libia, trattata per decenni in Italia quasi come notizia di interni e dal 2011 rapidamente trasformatasi in terreno di scontri di straordinaria complessità. Si è discusso moltissimo del problema migratorio che la crisi libica ha generato, ma raramente con l'intenzione di comprenderne le cause in profondità. Pochi hanno spiegato come gli sbarchi sulle nostre coste ormai possono anche essere controllati e modulati a piacimento da Mosca o da Ankara come armi di guerra ibrida di preoccupante efficacia sulla nostra società. O quanto la pacificazione, stabilità, sviluppo del paese magrebino e le sue risorse energetiche, fossili e rinnovabili, siano importanti per la nostra prosperità e competitività. Incapaci di capire, non siamo mai riusciti a spiegare quanto la sicurezza, la stabilità della quarta sponda fosse importante anche per i nostri alleati europei e atlantici.
Tramite la crescente influenza su Khalifa Haftar, ormai ottantenne, provato e della successione incerta, il Cremlino può disporre oggi di buona parte dell'immenso territorio libico, dei due terzi della costa mediterranea e della evanescente frontiera meridionale, ideale porta sul Sahel.
Fu tra il 2015 e il 2016 che Putin, impegnato in Siria a sostenere l'unico alleato rimasto nel Mediterraneo, individuò nel disordine libico una preziosa opportunità per ampliare la presenza russa nella regione. Al 2015 risale il primo viaggio a Mosca di Haftar, che tornò con promesse di supporto diplomatico, consiglieri militari e aerei carichi di dinari libici stampati dai russi, essenziali in Cirenaica dopo lo strappo con Tripoli. Seguirono altri viaggi e altri incontri fino alla scenografica visita dell’11 gennaio 2017 a bordo della portaerei Kuznetsov, di ritorno dal suo ultimo intervento nella guerra di Siria. Accolto con i massimi onori, ha potuto conversare in videoconferenza con il ministro della Difesa Shoigu e assistere a esercitazioni a fuoco, suggellando ufficialmente un'alleanza militare che si sarebbe presto concretizzata in consistenti forniture di armi e di mercenari della compagnia RSB per lo sminamento del porto di Bengasi appena conquistata.
Nel maggio 2018 furono inviati per la prima volta mercenari della Wagner per partecipare all'offensiva su Derna, ultima roccaforte delle milizie islamiste sulle coste dell'est. La compagnia privata di Evgenij Prigozhin, attiva in Ucraina dal 2014 e in Siria da fine 2015, sperimentò in Libia uno dei primi interventi sul continente africano, dove troverà grande successo offrendo senza vincoli servizi di consulenza, addestramento, scorta, logistica, combattimento, campagne mediatiche per influenzare le opinioni pubbliche. Sempre rimanendo a stretto contatto con le istituzioni russe, di cui è diventata il braccio operativo e la maschera per celare traffici illeciti, guerre ibride, il controllo di basi e risorse naturali.
Il massiccio impiego della Wagner in Libia è iniziato un anno più tardi, quando le milizie di Haftar (da lui proclamate Esercito Nazionale di Liberazione Libico, in sigla inglese LNA) sono avanzate fino alle porte di Tripoli, con 2000 mercenari di Prigozhin impegnati con particolare efficacia nei combattimenti. A seguito dell'intervento turco, tra il 2020 e 2021 la compagnia è stata impiegata per costruire una lunga linea difensiva con trincee e fortificazioni che divide in due il paese andando da Sirte alla grande base aerea di Al-Jufra, la più importante tra quelle che la Russia controlla in Libia. Questa conclamata divisione in Tripolitania e Cirenaica è rimasta indisputata e sembra oggi mettere d’accordo tutte le principali potenze coinvolte nel paese nordafricano, a partire da Turchia, Russia ed Egitto, che ha stabilito nel golfo della Sirte la linea rossa che le forze del GNU non devono superare.
Una scissione caldeggiata già nel 2016 dell’ex AD di ENI Paolo Scaroni, che giudicava il ritorno a uno stato unitario un sogno impossibile e auspicava l’unica stabilizzazione realistica. Ma la riunificazione effettiva della Libia resta ancora in cima all’agenda italiana, mentre il debole appoggio degli alleati e gli interessi troppo importanti che rimangono su tutto il territorio ci impongono il dialogo e la distensione con entrambe le parti. Sempre consapevoli che i giacimenti libici (vicini, ricchi di petrolio economico da estrarre e da processare data la straordinaria qualità) che l’ENI ha acquisito in decenni di politica raffinatissima possono essere sequestrati in qualsiasi momento su ordine di Haftar o di Putin, altra minaccia poco indagata in grado di condizionare le scelte italiane di politica estera su tutti i quadranti. Haftar ha già più volte usato il petrolio come arma politica bloccando i giacimenti della mezzaluna petrolifera, così come Erdogan e Saied stanno già facendo in Turchia e Tunisia con i migranti, al momento solo per ottenere denaro.
Nel corso degli ultimi mesi la compagnia Wagner è stata sostituita nelle sue attività africane dai nuovi Africa Corps (o Legione Africana), creati a seguito di colloqui iniziati a fine 2023 con gli alleati cirenaici e posti sotto un controllo più stretto del ministero della Difesa. Opereranno soprattutto nel Sahel e in alcuni paesi dell'Africa subsahariana, ma avranno quartier generale in Libia, paese della collocazione strategica sul Mediterraneo, perfetto cardine logistico per le ambizioni africane della Russia di Putin.
Lo scorso 31 maggio il viceministro della Difesa russo Yunus-bek Yevkurov è atterrato a Bengasi per la quinta visita ufficiale in solo un anno. I dialoghi sulla possibilità di ampliare le basi libiche per sostenere le attività degli Africa Corps e di creare a Tobruch una nuova base navale russa nel Mediterraneo si fanno sempre più frequenti e scoperti.
Il 16 aprile un convoglio militare russo salpato dalla base navale di Tartus in Siria è attraccato a Tobruch per sbarcare almeno 6000 tonnellate di armamento pesante, poi scortato verso le basi nell’entroterra libico. Si tratta solo dell’ultima delle spedizioni con cui la Russia in pochi mesi ha trasferito in Africa tramite la Cirenaica migliaia di militari, centinaia di forze speciali spetsnaz e sistemi d’arma di ogni genere, senza alcun intervento o denuncia da parte dell’operazione europea IRINI, istituita per far rispettare l’embargo sulle armi dirette in Libia.
Per Putin l’obiettivo strategico di ottenere una seconda base navale nel Mediterraneo è ormai a un passo e difficilmente se lo lascerà sfuggire. Aggiungendosi alla base siriana di Tartus, utilizzata dal 1971 dalla flotta sovietica e poi russa, la nuova base libica sarebbe di ancora maggiore importanza logistica e militare qualora arrivasse a ospitare anche qualche sottomarino convenzionale o nucleare. Il fronte sud dell’Alleanza e la nostra già insufficiente e affannata Marina Militare sarebbero messi sotto pressione e dovrebbero distrarre preziose risorse nel quadro del disimpegno navale statunitense. Intanto nel caldissimo Mar Rosso, in pieno Mediterraneo allargato, le trattative per la nuova base sudanese sono in stato ancora più avanzato.
Nella nostra distrazione e incapacità di comprendere quanto sta avvenendo in Libia oltre che nell’ex Africa francese, il Cremlino pare invece avere idee chiarissime, riuscendo con risorse minime a porre Italia, Unione Europea e Occidente davanti a sfide di cui sottovalutiamo ancora la portata.