Gli anni trascorsi da Margaret Thatcher a Downing Street come Primo Ministro britannico, dal 1979 al 1990, hanno rappresentato un momento così decisivo che si può parlare di una fase ‘thatcheriana’ nella storia della politica estera britannica. La necessità di contenere l'"impero del male" (cioè, l'Unione Sovietica), la lotta per l'identità post-coloniale della Gran Bretagna, l'acceso dibattito sull'integrazione europea e l'allineamento – molte volte problematico – con gli Stati Uniti sono solo alcuni dei temi e dei principi che hanno plasmato l'approccio internazionale della Gran Bretagna sotto la Thatcher. Questo saggio vuole dunque esaminare proprio questi aspetti e come abbiano reso la politica estera thatcheriana così riconoscibile e unica rispetto a quanti la precedettero.
Uno degli aspetti principali della politica estera della Thatcher fu l'atlantismo e il suo forte impegno nei confronti dell'alleanza anglo-americana. Lo stretto rapporto tra la Thatcher e il Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, fu fondamentale per definire non solo le relazioni internazionali della Gran Bretagna, ma anche lo scenario generale della Guerra Fredda. Il comune sentimento ideologico preparò il terreno per la loro relazione politica. La Thatcher ammirava la filosofia di Reagan: "Soprattutto, sapevo che stavo parlando con qualcuno che istintivamente sentiva e pensava come me; non solo sulle politiche, ma su una filosofia di governo” (1). D'altra parte, Reagan condivideva un'opinione simile, affermando nelle sue memorie che "gli piacque immediatamente - era calda, femminile, gentile e intelligente - e fu evidente fin dalle nostre prime parole che eravamo anime gemelle quando si trattava di ridurre il governo ed espandere la libertà economica" (2). Questo allineamento si tradusse anche sul terreno militare. Il sostegno della Thatcher al dispiegamento di missili da crociera statunitensi sul suolo britannico, come parte della strategia di deterrenza della NATO nel 1983, fu l'esempio più chiaro della sua cooperazione nel contenimento dell'Unione Sovietica (3).
Ma ci sono stati sostanziali momenti di tensione e di sfiorata rottura nella relazione tra questi due leader. Uno di questi era rappresentato dalla strategia nucleare. Dopo il vertice di Reykjavik del 1986, un incontro al vertice tra Ronald Reagan e il segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, Mikhail Gorbachev, la Thatcher temeva che le ambizioni di disarmo nucleare di Reagan avrebbero lasciato l'Europa vulnerabile all'influenza sovietica: "La Thatcher informò Reagan che 'sarebbe inquietante per l'opinione pubblica europea ipotizzare la possibilità di liberarsi delle armi nucleari in tempi relativamente brevi'" (4). Tuttavia, come suggerisce Cooper, entrambi i leader vedevano la loro alleanza in "termini ecclesiastici", percependo i loro ruoli come difensori degli ideali occidentali contro l'espansione sovietica, ma con approcci distinti: Reagan e la Thatcher perseguivano una politica di "pace attraverso la forza" e privilegiavano una difesa forte [...]. Reagan voleva controllare l'equilibrio di potere, attraverso la creazione della SDI (Strategic Defence Initiative) e la vittoria nella corsa agli armamenti [...], la Thatcher voleva semplicemente uno status quo che favorisse l'Occidente, basato sulla deterrenza nucleare" (5). Anche se con mezzi diversi, entrambi consideravano l'Unione Sovietica come l'"impero del male" da limitare ad ogni costo, cementando la reputazione della Thatcher come uno dei principali sostenitori dell'atlantismo.
La posizione della Thatcher nei confronti dell'Unione Sovietica, pur segnata da una continuità nell'opposizione all'"impero del male", era determinata ad aprire un nuovo dialogo tra Est e Ovest. Un momento rivoluzionario in questo senso fu rappresentato dalla visita di Gorbachev in Gran Bretagna nel 1984. Dopo l'incontro, per il quale Gorbachev fu sorpreso dalla quantità di tempo dedicatagli dal primo ministro britannico, la Thatcher disse notoriamente: "Mi piace il signor Gorbachev. Possiamo fare affari insieme" (6). Questa posizione sottolinea il riconoscimento da parte della Thatcher di Gorbachev come riformatore, in grado di avviare un processo di profondo cambiamento nel blocco comunista e di ridurre le tensioni diplomatiche.
Il primo incontro della Thatcher con Gorbachev fu determinante, tanto da indurre alcuni della sua cerchia a ritenere che gli storici potrebbero considerare il suo incoraggiamento al dialogo con il leader sovietico come il suo "più grande risultato negli affari esteri"(7). Riflettendo sul suo impatto, nelle sue memorie la Thatcher ha osservato di aver avuto "una certa influenza sul Presidente Reagan su questioni fondamentali della politica di alleanza", aggiungendo che "Gorbachev, quindi, aveva motivo di fare affari con me tanto quanto io con lui" (8). Dopo il vertice di Ginevra del 1985, Reagan fece un commento positivo su Gorbachev, facendo eco alla Thatcher nel dire: "Maggie aveva ragione, possiamo fare affari con quest'uomo", sottolineando così l'importanza del suo ruolo nel suo mutato atteggiamento (9). Questo riconoscimento occidentale avviato dalla Thatcher sottolineava un cambiamento perché era disposta a condividere la sua convinzione che la flessibilità ideologica di Gorbachev rappresentasse un'opportunità senza precedenti per l'Occidente di aprire un dialogo senza fare concessioni sulle questioni di sicurezza.
Margaret Thatcher è stata il primo Primo Ministro a porre la questione europea al centro del dibattito politico britannico. "Ted Heath, preoccupato della sopravvivenza interna, non cominciò a farsi notare. Harold Wilson e Jim Callaghan, pur essendo costretti a prestare attenzione alla questione, cercavano sempre di respingerla. Il loro successore [Margaret Thatcher] fu il primo a vedere l'Europa come un argomento non da reticenza apologetica ma da protagonismo trionfale" (10).
Una prima questione importante riguardava la percezione della mancanza della Comunità Economica Europea nel dibattito sulla sicurezza globale. Durante Les Grandes Conferences Catholiques, tenutesi nel 1978, la Thatcher tenne un discorso pubblico – intitolato "Le linee guida della politica estera" – in cui affermò: "Chi c'è nelle deliberazioni della CEE per parlare di difesa? Non ho la certezza che tutte queste questioni collegate vengano esaminate insieme" (11). La sicurezza, uno degli elementi chiave del Thatcherismo, non venne inserita nell'agenda del dibattito europeo e questo suscitò le prime critiche.
Un altro grande scetticismo riguardava la crescente interferenza delle istituzioni europee, percepita come una minaccia alla sovranità della Gran Bretagna sulle proprie questioni politiche ed economiche. Un momento cruciale in questo senso emerse con forza durante i negoziati sulla riduzione del bilancio del 1984. Già nel 1979, in occasione del Consiglio europeo di Doblin, Margaret Thatcher disse notoriamente "è chiedere alla Comunità di riavere i nostri soldi" (12), riferendosi a ciò che percepiva come i contributi iniqui dei singoli Paesi al sistema di finanziamento europeo. In effetti, prima del 1980, la principale fonte di entrate della CEE era costituita dalle Risorse Proprie Tradizionali (RPT), che comprendevano i dazi doganali sulle importazioni nell'UE, i dazi agricoli e i prelievi sullo zucchero (13). A causa dei costi crescenti che la CEE doveva affrontare, agli Stati membri fu chiesto di fornire una frazione delle entrate annuali dell'Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) per finanziare il bilancio. Nel giugno 1984, durante la riunione del Consiglio europeo di Fontainebleau, "Margaret Thatcher negoziò con gli altri membri dell'UE quello che oggi è noto come sconto britannico. L'obiettivo era quello di correggere l'apparente squilibrio del contributo britannico all'epoca. Lo sconto britannico fu ratificato e poi attuato nel maggio 1985" (14).
La guerra delle Falkland del 1982 fu un episodio emblematico di ‘thatcherismo’ ed epitomò l'innovazione che la Thatcher portò nella diplomazia estera. In primo luogo, la natura assertiva e decisiva della risposta britannica alla crisi delle Falkland: la formazione dell'Unità di Emergenza Falkland presso il Ministero degli Esteri mobilitò il sostegno a livello internazionale, cosa del tutto inusuale, data la natura tradizionalmente timida della diplomazia britannica. Nel giro di una settimana dalla crisi, la Thatcher aveva portato dalla sua parte l'Australia, il Canada, la Nuova Zelanda e la Francia: un'iniziativa ben lontana dalla tradizionale posizione insulare della politica estera britannica (15). "Un'azione decisa sembrò presto essenziale se non si voleva mettere in discussione la determinazione della Gran Bretagna in patria e all'estero. L'intero spettro delle operazioni era ormai stato identificato, con misure equivalenti a una guerra su larga scala a un estremo e una strategia di ritardo ultra-cauta e probabilmente insostenibile all'altro" (16).
Mentre altri membri del suo governo avrebbero potuto adottare una posizione più cauta, la Thatcher inviò una task force nelle Falkland. Questo non era universalmente supportato all'interno del governo della Thatcher e la sua decisione rifletteva la sua determinazione ad andare controcorrente rispetto alla tradizionale cautela diplomatica. I trentatré deputati laburisti che votarono contro la frusta del partito a maggio non erano affatto esclusivamente a sinistra del partito. L'opposizione era in gran parte quella espressa da Lord Wigg in una lettera concisa al Times: "Non ho fiducia nelle avventure militari improvvisate per perseguire obiettivi indefiniti"(17).
Infine, l'atteggiamento e il discorso deciso della Thatcher furono al centro della presentazione pubblica della guerra: "Sconfitta – non riconosco il significato della parola!". Il Primo Ministro era "determinato a far sì che il conflitto delle Falkland fosse visto come una crociata nobile e di principio"(18), in linea con la sua percezione della sovranità britannica e di una forte identità nazionale a livello internazionale.
Il mandato di Margaret Thatcher come Primo Ministro ha rappresentato un momento di spartiacque per la politica estera britannica, segnato dal suo approccio assertivo durante la guerra delle Falkland, riaffermando la sovranità britannica e ottenendo un ampio sostegno internazionale, radicato in una solida identità nazionale, allineato con un forte impegno per la difesa, l'alleanza anglo-americana e lo scetticismo verso l'integrazione europea, sottolineando la sua influenza nel ridisegnare il ruolo della Gran Bretagna sulla scena globale. Alla luce dell'analisi effettuata, si può quindi concludere che ci fu una fase "thatcheriana" nella politica estera britannica, non solo per la rottura con le pratiche del passato, ma anche per l'eredità che lasciò ai suoi successori.
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