La Grecia è passata attraverso una delle peggiori crisi nella sua storia: dal 2008 è arrivata vicino al rischio di default. Adesso però il paese si sta riprendendo ed è diventato un esempio virtuoso. Cerchiamo di capire come e perché il paese arrivò in quella situazione e come abbia fatto ad uscire dalla crisi.
Nel 2010 la Grecia è al collasso. Violente proteste invadono le strade del paese, mentre la disoccupazione raggiunge livelli record. Queste immagini riportano un paese vittima di politiche sconsiderate portate avanti per decenni. La Grecia divenne per anni la pecora nera d’Europa, adesso però, la situazione è cambiata: la Grecia è riuscita a riprendersi dal grande periodo di crisi che ha attraversato. Al giorno d’oggi è diventata un paese modello, superando persino l'Italia: lo spread greco, infatti, è più basso del nostro.
Cerchiamo di analizzare come tutto ciò è accaduto, e come ha fatto la Grecia a passare dall’essere un paese vicino al collasso a diventare un virtuoso esempio di ripresa economica.
Gli anni ‘80
La Grecia ha avuto un percorso tortuoso nel secondo dopoguerra. Il paese subì la Dittatura dei Colonnelli fino al 1974, anno in cui venne al potere Konstantinos Karamanlis, con il suo partito Nuova Democrazia. Considerato il padre del nuovo stato greco, trasformò il paese, dotandolo di una costituzione liberale nel 1975 e creando un sistema politico democratico. Grazie ad investimenti strategici e la costruzione di infrastrutture cercò di preparare il paese all'ingresso nella Comunità Economica Europea, che avvenne nel 1981. Questo fu un periodo di grande avanzamento e modernizzazione per la Grecia.
Le elezioni del 1981, però, porteranno al potere il Movimento Socialista Panellenico (PASOK) con il leader Andreas Papandreou come nuovo premier. Il partito, oltre che socialista può essere definito come populista: il suo governo fu caratterizzato da politiche clientelari, cioè dalla distribuzione di risorse dello stato ai cittadini per il solo scopo elettorale. Un esempio di questo è il numero di dipendenti pubblici, che aumentò vertiginosamente: nel 1979 era di 510.000 e nel 1990 aumento a 786.200, il tutto con una popolazione di 10 milioni di persone che restò praticamente invariata in questo periodo. Un aumento di più del 50% in un solo decennio. Anche le retribuzioni pubbliche aumentarono, diventando sensibilmente più alte di quelle del settore privato. Allo stesso tempo la spesa pensionistica aumentò, superando la media Ocse, e il debito pubblico andò dal 22,5% del 1979 al 73,2% del 1990. Questo primo periodo di amministrazione Papandreou, durato fino al 1989, fu disastroso per le finanze greche, portando il paese in una spirale di spese sconsiderate.
Nel 1990, la serie di governi Papandreou si interruppe con una sconfitta elettorale che portò, Konstantinos Mitsotakis, di Nuova Democrazia al potere. Nel suo governo (1990-93) tentò di riportare la spesa pubblica sotto controllo per preparare la Grecia all’entrata nella nascente Unione Europea nel 1992. Queste politiche però, gli fruttarono grande impopolarità e lo portarono a perdere le elezioni nel 1993. Seguì quindi un altro governo Papandreou, che continuò con le solite politiche clientelari insostenibili. Nel 1996 problemi di salute lo costringeranno a dimettersi, e al suo posto arriverà al potere Kostas Simitis. A differenza di Papandreou, lui può essere definito come un tecnocrate moderato che cercherà di attuare politiche in contrasto al tipico clientelismo del PASOK.
Nel 2004 però verrà sconfitto da Kostas Karamanlis, di Nuova Democrazia, nipote del primo Karamanlis. Lui però, diversamente dal suo predecessore, utilizzerà tecniche clientelari per restare al potere, uniformandosi con il PASOK. Il risultato fu quindi un sistema politico altamente disfunzionale, caratterizzato dai due principali partiti che cercavano di sprecare più risorse possibili per guadagnare consensi e restare al potere. La Grecia infatti, violò sistematicamente le regole del patto europeo di stabilità, superando la soglia stabilita del 3%. Il debito quindi aumentò anche in questo periodo: il debito-pil restò sempre sopra la soglia del 100%.
La crisi del 2008, originata negli Stati uniti, mise la grecia in grande difficoltà. Dopo tutti questi anni di spese folli, il debito greco è diventato difficilmente sostenibile. Nel 2009, il governo del PASOK presieduto da Georgios Papandreou, figlio del primo Papandreou, creerà un deficit del 15,4%, più del doppio di quanto inizialmente annunciato. Si scoprì infatti che i governi precedenti falsificarono sistematicamente i dati delle finanze pubbliche greche, così da poter fare più debito. Alla luce di questo, nel 2010, la commissione europea annunciò di non avere più fiducia nei dati pubblicati dal governo greco. I mercati iniziarono a dubitare della capacità greche di finanziare il proprio debito e i titoli di stato greci vennero declassati al grado di “spazzatura” (junk status). Di conseguenza, i tassi di interesse salirono vertiginosamente e diventò sempre più difficile per il paese finanziare il proprio enorme debito.
Il paese arrivò vicino al default: tra il 2009 e il 2010 la Grecia perse il 29,5% del proprio pil reale, il debito passò dal 126,7% al 178,8%, mentre il tasso di disoccupazione dal 9.6% al 27.5%. Il paese si trovò ad attraversare una delle sue peggiori crisi.
Per portare il paese fuori dal rischio di default e verso una ripresa vennero vennero concordati tre piani di salvataggio: nel 2010, 2012 e 2018. Nonostante la Grecia avesse apertamente violato le regole comunitarie sulla spesa, l’Unione Europea non poteva far fallire lo stato. Così facendo avrebbe mandato un messaggio preoccupante verso altri paesi gravemente indebitati, fra i quali anche l’Italia. Se la grecia fosse fallita, il progetto dell’euro sarebbe molto probabilmente collassato.
Il primo piano di salvataggio, concordato dal Fondo Monetario Internazionale e l’Unione Europea nel 2010 comportava un aiuto di 110 miliardi di euro allo stato greco, in cambio di misure di austerità. Queste furono: una riduzione delle compagnie pubbliche, il taglio della spesa nei settori pubblico-previdenziali e un aumento dell’Iva. Grazie a queste misure, il deficit fu ridotto del 40% nello stesso anno. Le misure di austerità, però, non furono ben accolte dal popolo greco, che scese in piazza in violente proteste.
Il secondo piano, nel 2012, venne negoziato dal governo di coalizione di Loukas Papademos, un economista di grande reputazione internazionale. Sempre concordato con FMI e UE, prevedeva 130 miliardi di euro in cambio di una riduzione del debito dal 160% fino al 120,5% entro il 2020, da attuare con ulteriori misure di austerità.
Il terzo piano fu frutto di una lunga gestazione iniziata nel 2015. le elezioni di quell’anno vennero vinte da Alexis Tsipras di Syriza, interrompendo il bipartitismo che aveva caratterizzato la politica greca sin dagli anni ‘70. Nel luglio del 2015, Tsipras decise di indire un referendum per chiedere ai cittadini greci se volessero accettare o meno il terzo piano di salvataggio. Il 60% degli elettori rispose di no, causando una perdita di fiducia dei mercati, e la crescita vertiginosa dello spread. Alla luce di questo, la pressione sul paese obbligò Tsipras ad accettare il piano di salvataggio, che venne finalizzato nel 2018. Il piano, concordato con L’UE ma non con il FMI, prevedeva 86 miliardi di euro in cambio di riforme fiscali, ulteriori tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni di asset statali e riforme del mercato del lavoro. Gli aiuti vennero erogati tramite prestiti del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), nato per salvaguardare la stabilità dell’area Euro. Degli 86 miliardi inizialmente messi a disposizione, solo 61,9 vennero utilizzati, questo fu dovuto grazie ad un uso più efficiente delle risorse da parte del governo greco. Il MES ha permesso al paese di prendere prestiti a tassi agevolati rispetto a quanto avrebbe potuto fare da solo. Nel 2017 il risparmio ammontava a 12 miliardi di euro, il 6,75% del pil greco dell’epoca. Così si concludono i tre pacchetti di aiuti internazionali alla Grecia che salvarono il paese dall’incombente default.
Il governo Tsipras durò fino al 2019, anno in cui venne eletto il nuovo governo capeggiato da Kyriakos Mitsotakis di Nuova Democrazia, leader con una buona reputazione internazionale e ancora oggi primo ministro greco.
Tra il 2010 e il 2018, vennero passati un totale di 15 pacchetti di riforme. I primi frutti delle misure iniziarono a vedersi già nel 2012, quando si misurò di nuovo un bilancio fiscale in positivo e in miglioramento. Nel triennio 2017-2019 si è misurata una crescita del pil che variava dal 1,1% al 1,9%. Nel 2017, il deficit arrivò al solo 0.8%. Sotto la guida di Mitsotakis si è continuato il percorso concordato con l’Unione Europea, velocizzando il processo di digitalizzazione e riducendo le imposte sul reddito delle società dal 28% al 24%. Gli effetti positivi delle riforme strutturali si sono manifestate anche con un calo della disoccupazione dal 17.3% nel 2019 al 9.4% nel 2024. L’IMF prevede un calo del debito del paese e una crescita del pil nel prossimo futuro.
Grazie agli aiuti e alle riforme passate, l’economia greca è diventata molto più resiliente di quanto non fosse prima della crisi, permettendo un veloce recupero dopo la pandemia. La Greca rappresenta un positivo modello di ripresa, riuscita a riprendersi dopo una violenta crisi che la portò sull’orlo del collasso, attuando riforme e imparando dagli errori passati. Il paese è passato da pecora nera d’Europa a studente modello.
Basato sul video di Luca Di Cunto: