“Da un lato lo Ius Sanguinis, che rappresenta le attuali norme in vigore sulla cittadinanza italiana, dal lato opposto c’è lo Ius Soli, che fu previsto ed ipotizzato da Laura Boldrini (PD), Matteo Orfini (PD) e Francesco Verducci (dem) e, nel mezzo, lo Ius Scholae il cui disegno di legge a firma della senatrice del PD Simona Malpezzi sarà discusso alla Camera dei Deputati, con buona probabilità, nel prossimo autunno. Ma cos’è lo Ius Scholae? Cosa cambierebbe rispetto alla legislazione vigente?”
Terminate le Olimpiadi, la politica italiana torna a parlare di cittadinanza.
Sembra quasi un déjà-vu se non fosse che, successivamente alle Olimpiadi di Tokyo del 2020, a riportare in auge l’argomento fu il presidente del Coni Malagò, il quale chiese a gran voce lo Ius soli sportivo.
Se ne parlò per un periodo, ma come spesso accade in politica, non trovando un punto in comune da cui partire, si finisce per accantonare la tematica e riporla nel cassetto.
Questa volta, però, sembra esserci uno spiraglio di luce, perché il ministro degli Esteri nonché leader di Forza Italia, Antonio Tajani, così come riportato sul sito degli esteri, attraverso un’intervista rilasciata a “Il Messaggero” ha aperto alla possibilità di riconoscere la cittadinanza ai minori stranieri che, residenti in Italia, abbiano completato uno o più cicli scolastici.
Sarebbe sicuramente una svolta storica, ma considerando come ogni schieramento politico conservi la propria idea e la propria posizione, c’è bisogno di estrema cautela ed occorra procedere un passo alla volta.
Difatti, ad oggi, se Fratelli d’Italia pur rappresentando il partito di maggioranza sia rimasto in silenzio, l’altro partito della coalizione ha già eretto un muro ed il suo leader, Matteo Salvini, attraverso un video pubblicato sui propri profili social ha sottolineato che “non c’è nessun bisogno, nessuna urgenza di cambiare la legge sulla cittadinanza che già oggi dice che l’Italia è il Paese europeo che concede più cittadinanze”.
Il dato fornito dal Ministro dei trasporti e infrastrutture è corretto: considerando un rapporto della Fondazione ISMU ETS si evidenzia che, in base agli ultimi dati Eurostat, nel 2022 abbia acquisito la cittadinanza italiana il 4,3% dei residenti con cittadinanza italiana a fronte della media del 2,6% per l’intera UE.
Ciò, però, non è sufficiente per rimanere arroccati sulle proprie posizioni, perché un dato resta un dato ed occorre contestualizzarlo al fine di poterlo interpretare correttamente.
Ed il contesto mostra come che si sia di fronte ad una legge vecchia di più di 30 anni all’interno di un Paese che da allora abbia subito continui cambiamenti, anche a livello demografico.
Contestualizzando, dunque, appare doveroso affrontare questa tematica delicata con la massima lucidità possibile, spogliandosi (anche se parzialmente) del ruolo di politico che difende le proprie posizioni ad ogni costo.
Dal lato opposto, sinistra e centrosinistra hanno sempre sostenuto la necessità di cambiare l’attuale legge sulle modalità di ottenimento della cittadinanza italiana, l’ultima delle quali avvenuta nel 2015, quando lo Ius Soli che recava la firma di Laura Boldrini, aveva ottenuto il sì dell’Aula della Camera (poi fermatosi al Senato) ottenendo 310 sì, 66 no e 83 astenuti; i contrari, ovviamente, erano rappresentati dai deputati di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, mentre gli astenuti erano costituiti dai deputati del Movimento 5 Stelle, oggi invece favorevoli.
Attualmente, così come previsto dalla L. 91/1992, ci sono delle modalità abbastanza stringenti per poter ottenere la cittadinanza italiana.
La prima, rappresentata dallo Ius Sanguinis, riguarda l’acquisizione automatica della cittadinanza italiana che si ottiene per nascita da un genitore italiano (art. 1, L. 5 febbraio 1992, n.91).
Sempre per nascita e sempre ai sensi dell’art. 1 della medesima legge, è cittadino italiano chi è nato nel territorio italiano se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale gli stessi genitori appartengono.
Una ulteriore modalità “diretta” di acquisizione della cittadinanza italiana è inoltre rappresentata dall’adozione di un minore da parte di un cittadino italiano (art. 3).
Accanto allo Ius Sanguinis, poi, l’ottenimento della cittadinanza italiana può avvenire:
Diversamente da quanto accade per lo Ius Sanguinis, lo Ius Soli (puro o illimitato) prevede che il diritto di cittadinanza venga concesso aqualsiasi individuo nato sul territorio italiano, indipendentemente dai propri genitori e da qualsiasi altro fattore, così come avviene in Francia e negli Stati Uniti d’America.
In Italia, però, non è mai stato preso in considerazione lo Ius Soli in senso stretto ma, piuttosto, sarebbe più corretto parlare di Ius Soli temperato.
Lo Ius Soli temperato si fonda sul principio secondo cui è possibile ottenere la cittadinanza italiana se almeno uno dei due genitori risiede stabilmente e legalmente in Italia da almeno 5 anni.
Lo Ius Scholae rappresenta (o può rappresentare) un giusto compromesso tra i due estremi dello Ius Sanguinis e dello Ius Soli e, dunque, potrebbe essere il giusto terreno di confronto tra maggioranza ed opposizione.
Entrando nel dettaglio, lo Ius Scholae, il cui disegno di legge a firma della senatrice del PD Simona Malpezzi, prevede che la cittadinanza italiana possa essere ottenuta dai giovani extracomunitari nati in Italia od arrivati prima del compimento del dodicesimo anno di età che risiedano legalmente in Italia e che abbiano frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio in Italia, ovvero a seguito di un percorso di istruzione e formazione professionale.
Sulla base della situazione attuale è più che lecito pensare che la questione immigrati presenti alcune criticità.
Il primo fattore da prendere in considerazione è sicuramente quello correlato all’istruzione.
Da un lato, troviamo il rendimento degli studenti non italiani di gran lunga inferiore rispetto a quello degli studenti italiani: infatti il 26,9% si trova in una situazione di ritardo scolastico contro il 7,5% degli studenti italiani.
Dall’altro, invece, il dato della dispersione scolastica tra gli studenti con cittadinanza non italiana, che è del 30,1% contro il 9,8% degli studenti italiani.
Da cosa derivano ritardo e abbandoni?
Come analizzato dal progetto IMMERSE (Integration Mapping of Refugee and Migrant children in School an other Experiential environments in Europe), progetto Horizon 2020 di cui Save the Children Italia è partner per l’Italia, pubblicato a marzo 2022, le motivazioni sono molteplici. Tra di esse:
Analizzando queste motivazioni si può affermare, dunque, come la privazione della cittadinanza per i giovani migranti, costituisca un elemento particolarmente importante “che segna i vissuti e le esperienze delle nuove generazioni di origine immigrata in termini di socialità e partecipazione” e che rischi di limitare il senso di appartenenza al territorio ed alla comunità, nonché limitare il desiderio di partecipare alla vita sociale dei quartieri.
L’aspetto che limita il senso di appartenenza al territorio nonché il desiderio di partecipare alla vita sociale della comunità, ovviamente, può essere esteso a tutti gli immigrati senza cittadinanza italiana e non limitato ai soli minori.
Accanto al fattore istruzione, poi, c’è da prendere in considerazione il fattore lavoro.
La presenza di immigrati irregolari non fa altro che alimentare il lavoro in nero e, con esso, una serie di conseguenze più o meno dirette.
Strettamente collegato allo sfruttamento di manodopera irregolare (che rappresenta un reato ai sensi dell’art. 603 bis del Codice Penale), c’è infatti il mancato versamento di imposte e contributi; ciò arreca un danno importante sia all’erario che agli istituti previdenziali.
Il mancato versamento delle imposte (nella fattispecie si tratta di imposte sul reddito da lavoro dipendente), produce un minor gettito nelle casse dello Stato che comporta, di conseguenza, una minore quantità di risorse necessarie atte a finanziare le spese pubbliche (come, ad esempio, istruzione, sicurezza, amministrazione pubblica).
L’eventuale regolarizzazione azzererebbe (o, meglio, ridurrebbe) questo minor gettito, generando esclusivamente benefici.
Primo fra tutti, la riduzione del debito pubblico.
Infatti il Documento di Economia e Finanza 2023, stima che un aumento dell’immigrazione del 33% ridurrebbe il debito pubblico di ben oltre 30 punti percentuali al 2070, rispetto a quanto previsto in uno scenario di immigrazione costante (Fonte: DEF 2023, elaborazioni MEF).
Dal lato previdenziale, invece, la regolarizzazione dei lavoratori contribuirebbe a far affluire nelle casse dell’INPS delle risorse necessarie volte a sostenere ed incrementare le entrate e ridurre così i rischi insiti in un equilibrio di bilancio instabile del medesimo ente.
Difatti, così come scrisse in una lettera l’ex Presidente INPS Pasquale Tridico, “l’andamento della crescita demografica in Italia pone a rischio l’equilibrio di bilancio e apre nuove nuove sfide per governare gli scenari del futuro”.
Una ulteriore conferma circa l’instabilità del sistema pensionistico, deriva dal decimo rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano, realizzato da Itinerari Previdenziali, il quale ha evidenziato come i contributi versati dai lavoratori ogni anno non siano sufficienti a pagare le pensioni.
Tornando alle parole dell’ex Presidente INPS, emerge un ulteriore elemento di analisi, rappresentato dal progressivo invecchiamento della popolazione, associato al fenomeno della denatalità.
Secondo l’ISTAT, infatti, il 75,1% degli stranieri in Italia nel 2021 aveva meno di 50 anni, a differenza del solo 51,9% tra gli italiani.
Questi elementi portano ad una logica conseguenza che è rappresentata dalla riduzione della (giovane) forza lavoro che va a “giustificare”, anche, i diversi allarmi lanciati dai rappresentanti di categoria.
Tra questi, ad esempio, c’è la crisi degli artigiani, che, stando ad uno studio della Cgia di Mestre (Venezia) sono diminuiti del 22% dal 2012 al 2023, passando da 1.867.000 unità del 2012 a 1.457.000 del 2023 (di cui 73.000 solo nell’ultimo anno).
Accanto alla drammatica riduzione degli artigiani, ci sono anche le riduzioni degli avvocati che, sulla base del Rapporto sull’Avvocatura 2024 realizzato da Cassa Forense in collaborazione con il Censis, nel 2023 sono diminuiti di 8.043 unità rispetto all’anno precedente.
Riduzioni importanti, infine, si sono registrate per le categorie dei Dottori Commercialisti che, se per numero di iscritti rimane invariato, diminuisce in maniera quasi drammatica il numero dei praticanti (-8,4%) e per la categoria dei Medici di famiglia, ridotti dell’11% dal 2019 al 2022 (dati SISAC).
Anche sotto questo punto di vista, probabilmente, una modifica dell’attuale legge sulla cittadinanza, consentirebbe ai giovani oggi senza cittadinanza, di poter valutare altre ipotesi per il proprio futuro, che non si traduca in un prematuro abbandono degli studi a favore del mondo del lavoro, ma che piuttosto possa consentire ai giovani stessi di poter perseguire i propri desideri e le proprie aspirazioni, così come dovrebbe essere per tutti, sempre.
Sulla base degli elementi analizzati si può affermare che la vigente Legge 91/92, così com’è configurata, presenta evidenti limiti e criticità sia dal punto di vista sociale che economico.
Sarebbe pernicioso, però, affermare che con una modifica della legge sulla cittadinanza verrebbero colmate tutte queste lacune e si risolverebbero tutte le problematiche analizzate.
Sarebbe altrettanto sbagliato non prendere in considerazione tutti gli elementi positivi che deriverebbero da una modifica della predetta Legge 5 febbraio 1992, n.91.
Occorre, dunque, che gli esponenti politici si siedano attorno ad un tavolo per discutere di una possibile modifica della legge 91/92, che rappresenterebbe, con buona probabilità, un primo, piccolo passo verso un vero processo di integrazione atto a portare reali benefici sociali, educativi ed economici, sia ai migranti, sia al Paese.