Inflazione verde e Transizione Ecologica: un dilemma per la Politica Monetaria

Allo scoccare della mezzanotte del primo Gennaio del 2050, oltre 100 Paesi (tra cui l’UE)(1) avranno raggiunto la neutralità climatica mentre l’aumento medio della temperatura globale sarà contenuto entro 1.5°C alla fine del secolo. Questo è lo scenario che i 195 partecipanti agli Accordi di Parigi si sono impegnati a raggiungere, ma a che punto siamo realmente?

Immagine generata con AI dall'autore

Secondo l’Emissions Gap Report del 2024 dello United Nations Environment Programme, lo sforzo derivante dalle attuali politiche di mitigazione condurrà il pianeta ad un aumento medio della temperatura globale tra 2.6°C e 3.1°C entro la fine del secolo (2), segnale di quanto ancora si sia lontani dagli obiettivi prefissati. In quest’ottica, i governi e le istituzioni sovranazionali saranno tenuti ad intraprendere azioni più incisive, sia in termini di politiche di mitigazione che di transizione, se vogliono mantenere raggiungibili gli obiettivi climatici concordati.

Ma quali saranno i costi per le economie, almeno nel breve periodo? Che ruolo avrà la Politica Monetaria nel supporto alla transizione verde?

Greenflation, Fossilflation, Climateflation – i costi evidenti (3)

Con il termine “Climateflation” ci si riferisce all’aumento dei prezzi relativi dovuto agli effetti del cambiamento climatico, come per esempio quanto avvenuto per alcuni generi alimentari a base di colture la cui produzione è minacciata da schemi erratici delle precipitazioni e del clima. E’ il caso dell’inflazione dei beni alimentari che secondo le stime della BCE, è aumentata dello 0,7% nel 2022 in Europa a causa delle temperature estreme.(4)

La “Fossilflation” invece si riferisce ad un generico aumento dei costi delle fonti fossili (carbone, petrolio e gas). E’ stata solo di recente affiancata al cambiamento climatico in quanto una parte della transizione verde consiste nel rendere più costoso l’utilizzo di queste fonti e rendere visibile il danno ambientale, internalizzandolo nelle decisioni economiche di imprese e consumatori.

Infine, con “Greenflation” si intende l’aumento dei prezzi relativi derivante dall’adattamento dei processi produttivi ad un’economia decarbonizzata. Ciò è riconducibile, oltre che alle politiche ambientali analizzate in seguito, all’aumento del costo di alcune materie prime critiche quali nickel, cobalto, litio e altri, per le tecnologie verdi. Per esempio il prezzo del litio, componente chiave nella produzione di batterie elettriche, è aumentato di 6 volte dal 2009(3). In generale i fattori che esercitano una pressione al rialzo sui prezzi di queste materie sono molteplici: la concentrazione delle riserve nelle mani di pochi Paesi ( ad esempio Australia, Cina e Cile per il litio), la rigidità dell’offerta dovuta a costi elevati, le spesso rilevanti difficoltà nei processi d’estrazione e la continua crescita della domanda.

Gli effetti di (non troppo) breve periodo della transizione sulla macroeconomia.

Se da una parte vi è un consenso generalizzato sul fatto che il passaggio ad un sistema economico decarbonizzato sia di per sé depressivo in termini di output (PIL) almeno nel breve periodo (5)(6)(7), le pressioni attese sul livello dei prezzi non sono unidirezionali e l’effetto complessivo non è così ovvio, sebbene sia ragionevole sostenere che prevarranno quelle positive. Oltre ai già menzionati effetti di costo, vi sono quelli derivanti dalle politiche di mitigazione. 

Gli strumenti che assegnano un valore economico alle emissioni di gas serra, quali Carbon Tax ed ETS, e gli strumenti regolatori come standard e divieti (come quello imposto dall’UE per il 2035 sulla vendita di veicoli con motore a combustione interna), sono intuitivamente ed empiricamente assimilabili ad uno shock negativo e persistente di offerta. Essi causano un aumento diretto dei costi marginali delle imprese “brown”, in particolar modo di quelle attive nel settore energetico, oltre che delle famiglie. Ciò si traduce in un aumento dell’inflazione (maggiormente per gli ETS) e in una riduzione dell’output aggregato (meno se il gettito viene per esempio reindirizzato alle imprese come decontribuzione per il lavoro, rendendolo meno costoso).

Se l’approccio scelto è invece quello del sussidio (empiricamente meno efficace in relazione al costo ma più abbordabile politicamente (5), come negli U.S. con l’Inflation Reduction Act del 2022 e in Cina, la sua implementazione genera effetti positivi sull’output ma può esercitare pressioni diversi sui prezzi in base alla destinazione: se diretto agli investimenti in tecnologie verdi, genera un aumento della domanda degli stessi con pressioni inflazionistiche; se vengono invece sussidiati gli input allora si avrà un abbattimento dei costi con un conseguente calo dei prezzi. Quest’ultima conclusione poggia sull’assunzione che i prezzi del settore green siano sufficientemente flessibili anche nel breve periodo(6).

Ovviamente, la scelta tra le due famiglie di strumenti è influenzata dalla salute dei conti pubblici dei governi, oltre che dalle stesse ideologie politiche. La prima tipologia rappresenta infatti un’entrata, anche se decrescente al ridursi delle emissioni, mentre la seconda una voce di spesa. 

Le aspettative contano, in quanto in un contesto di aspettative perfettamente razionali e di politiche ambientali credibili, l'annuncio di standard più stringenti porterà le famiglie ad attendere un decremento del reddito futuro e dunque a ridurre i consumi incrementando i risparmi; allo stesso tempo le imprese potranno attendersi un calo dei profitti e limitare gli investimenti. Ciò porterebbe ad una minore domanda aggregata, nonché  un effetto deflazionistico già nel breve periodo. Tuttavia, è più verosimile che le aspettative non siano completamente razionali e che il loro effetto sia di modesta mitigazione delle già menzionate pressioni inflazionistiche.

Investimenti green e progresso tecnico: i veri motori della transizione

Nel medio termine, l’incremento degli investimenti green, sia da riallocazione dai settori ad alte emissioni che da finanziamenti aggiuntivi, favorisce la proliferazione di nuove imprese nei settori green (7). Ciò impatta positivamente sul livello dei prezzi riducendo l’inflazione per via dell’aumento della produttività nei settori green, principalmente quello energetico, e dell’abbattimento dei costi che ne consegue per imprese e famiglie. Per esempio, dal 2010 i prezzi dell'energia solare ed eolica si sono ridotti rispettivamente dell’85% e del 55% (IPCC 2023).

Da qui, man mano che si riducono i costi, può instaurarsi un circolo virtuoso di incremento della domanda di beni che fanno uso di tecnologia green, il quale genererà a sua volta un aumento degli incentivi da parte delle imprese ad investire per rimanere competitive, una conseguente riduzione del costo degli investimenti per l’aumento della produttività e un ulteriore aumento della ricerca avente come effetto l’accelerazione della transizione e una riduzione dei prezzi (5). Nell’Unione Europea, sebbene sia stato fatto tanto (764 mld in media nell’ultimo decennio, ovvero il 5,5% del PIL annualmente)(9) il flusso di investimenti pubblici e privati non è ancora sufficiente. 

European Commission (EU Com), International Energy Agency (IEA), BloombergNEF, Institute for Climate Economics (I4CE) and ECB own calculations

Questo grafico mostra un gap di investimenti di 477 miliardi l’anno, principalmente nel settore energetico e dei trasporti, necessari per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. 

Il dilemma della Politica Monetaria

Tenendo a mente che il seguente argomento è rilevante solo nel breve periodo in quanto nel lungo termine la politica monetaria è neutrale rispetto alle variabili reali dell’economia, nell’orizzonte temporale descritto le manovre sui tassi di interesse sono determinanti cruciali in quanto in grado di controllare direttamente il costo del capitale necessario agli investimenti.

Mentre nel caso di uno shock di domanda la Banca Centrale non ha dubbi riguardanti le scelte di stabilizzazione del ciclo economico, quando si ha uno shock d’offerta come quello associato alla transizione, si verifica un conflitto tra l’obiettivo di stabilità dei prezzi e quello di promozione del pieno equilibrio domanda-offerta.

Nello specifico, il compromesso è il seguente: se la Banca Centrale è conservatrice e la sua politica monetaria è volta alla stabilizzazione dei prezzi, allora agirà con una manovra restrittiva (alzando i tassi di interesse) che d’altro canto ha l’effetto di deprimere l’economia e di inibire gli stessi investimenti che sono il cuore della transizione, di fatto rallentandola.

Se invece si decide di “guardare attraverso” lo shock d’offerta e non frenare l’economia, l’aumento dell’inflazione rende più rapida la crescita dei prezzi delle tecnologie sporche relativamente a quelle verdi accelerando la transizione. Un altro vantaggio è rappresentato da un più elevato livello di occupazione, rispetto allo scenario precedente, durante il processo stesso (10). Il rischio in questo caso è tuttavia la possibilità di perdere l’ancoraggio delle aspettative inflazionistiche rendendone più difficile la stabilizzazione verso il nuovo equilibrio.

Cosa accade in casa nostra ? (4)(11)

Per quanto concerne la Banca Centrale Europea, l’impegno annunciato è quello del perseguimento della stabilità dei prezzi poiché ritenuta funzionale al supporto della transizione verde. Il razionale di questa decisione è quello di creare un contesto macroeconomico stabile necessario per: 

a ) Preservare le capacità informative dei prezzi relativi: requisito necessario per consentire ad imprese e famiglie di modificare rispettivamente i propri modelli di impresa e di consumo lungo un sentiero sostenibile.

b) Consentire una corretta pianificazione degli investimenti e una riduzione del costo di quelli a lungo termine, per favorire cambiamenti strutturali duraturi. 

c) Mantenere l’ancoraggio delle aspettative inflazionistiche per evitare l’innesco di spirali difficili da stabilizzare e di ostacolo alla transizione in seguito. 

Alcune delle iniziative concretamente messe in moto a partire dalla strategia per il 2020-2021 si sono sviluppate prevalentemente su due binari: 

  1. Gestione del collaterale, ad esempio attraverso  l'introduzione tra i criteri per l'eleggibilità dei titoli posti a garanzia collaterale delle operazioni di rifinanziamento e di mercato aperto, di un rating interno che valuti l’impatto carbonico presente e prospettico degli emittenti(11). In questo contesto rientra anche la sottoscrizione dei green bonds (GB) e dei sustainability-linked bonds. Lo scopo di queste misure è quello di reindirizzare i capitali verso attività verdi, superando il principio della neutralità di mercato.
  2.  Introduzione dei rischi climatici nelle pratiche di gestione del rischio e conduzione di stress-test  sul sistema economico per valutare l’esposizione e la corretta gestione dei rischi menzionati. 

Infine, il piano climatico annunciato per il 2024-2025 definisce tre aree di interesse che guideranno l’attività analitica della BCE: gestione della transizione a un’economia verde analizzando i costi e il fabbisogno di investimenti, analisi del crescente impatto fisico del cambiamento climatico sul sistema economico e proseguimento degli studi sulla perdita e sul degrado della natura (4).

Conclusione

Alla luce di quanto detto risulta chiaro che la trasformazione strutturale dei nostri sistemi economici rappresenta una sfida che non può essere pienamente affrontata dai singoli attori economici in assenza di collaborazione.

Una transizione ordinata, efficace ed efficiente è possibile solo con la coordinazione delle politiche fiscali e monetarie. Ai governi spetta il compito di guidare gli ingenti investimenti necessari nella giusta direzione e di incentivare correttamente il settore privato, le banche centrali hanno il ruolo cruciale di garantire la stabilità dei prezzi necessaria al perseguimento degli obiettivi delle politiche ambientali.

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