Sono passati ormai circa due mesi da quando Jerry A. Coyne e Luana S. Maroja hanno pubblicato sullo Skeptical Enquirer un articolo dal titolo “The ideological subversion of biology”, La sovversione ideologica della biologia.
Sia Coyne che Maroja sono due biologi evoluzionisti che insegnano in università degli Stati Uniti. Coyne, più anziano, è molto noto per i suoi studi di genetica legati alla formazione delle specie e per una notevole verve combattiva a difesa dei principi dell’evoluzionismo.
L’articolo ha sollevato un vero e proprio caso negli Stati Uniti e nel mondo occidentale, perché affronta un argomento che progressivamente sta diventando taboo: la guerra ideologica contro concetti biologici che riguardano la natura umana. A differenza delle classiche battaglie antiscientifiche contro la teoria dell’evoluzione fatte dalla destra reazionaria, questa guerra è combattuta principalmente dalla sinistra radicale, in nome di nobili principi egualitari (molto) male intesi. La provenienza da sinistra rende più pericolosa questa offensiva ideologica, poiché la comunità scientifica è in genere orientata su posizioni liberal ed è quindi particolarmente a disagio di fronte ad accuse di proporre ipotesi biologiche (molto solide sperimentalmente, peraltro) in contrasto con i principi vessillo della sinistra politica.
La cosa migliore rimane leggere l’articolo nella sua interezza, per farsi un’idea delle argomentazioni di Coyne e Maroja, anche se l’articolo non è purtroppo disponibile in italiano. Tuttavia, alcune considerazioni a latere appaiono molto utili, specie nel clima politico fazioso e ideologico in cui sta scivolando anche il nostro Paese.
Il punto di arrivo delle argomentazioni di Coyne e Maroja è simile a quello riportato qualche anno fa in un eccellente libro di Steven Pinker, psicologo cognitivo di Harvard, dal titolo “The blank slate” in italiano, Tabula rasa. Sostanzialmente, l’approccio dominante del programma ideologico della sinistra radicale è quello di negare o derubricare le differenze di tipo cognitivo e comportamentale tra gli individui basate su aspetti biologici. La nostra mente deve necessariamente essere una Tabula rasa, e la sua “evoluzione” in identità diverse deve essere guidata solo da aspetti di socializzazione e influenze di tipo ambientale. Questo approccio è filosoficamente molto antico: attinge a Locke, in parte al cristianesimo, senz’altro è intriso di marxismo, e si nutre dei frutti tossici del focoultismo e del costruttivismo sociale. Ed ha alla base un fraintendimento colossale: l’idea che identificare differenze biologiche tra gli individui apra la porta a pericolose distorsioni sociali dove non esiste l’eguaglianza tra le persone ma siano invece giustificate le più varie discriminazioni e perfino pratiche mostruose come l’eugenetica. Se invece siamo, in larga parte o del tutto, tabule rasae, l’umanità è perfettibile indefinitamente e giocando sui rapporti di forza inerenti alla società si può dunque giungere alla vera eguaglianza, intesa in questo caso come piena identità tra i vari individui. Se non ricordo male, Marx addirittura vede nella infinita malleabilità dell’individuo rispetto alle dinamiche economiche la vera base della realtà sociale, che è sempre fatta da molti, e mai da singoli.
Come anticipato, siamo di fronte ad un colossale (e talvolta in malafede) equivoco: non vi è alcuna ragione di mescolare i nostri approcci etici con evidenze di tipo biologico. La scienza persegue la verità, e la censura dell’evidenza scientifica non è certo un buon presupposto a modificare a quelle che riteniamo (in molti casi giustamente) inaccettabili storture della nostra società. E l’evidenza scientifica moderna continua a confermare che gli individui di una specie sono tutti diversi, fisicamente ed anche cognitivamente. Questo non significa affatto, come si può credere (e temere) che il nostro comportamento individuale e sociale (oltre che a livello fisico) sia geneticamente determinato. Le reali differenze cognitive su base genetica tra esseri umani sono in realtà abbastanza limitate e riguardano soltanto i valori medi di certe metriche quantitative misurate da specifici test (es il QI). Inoltre, appare sempre più rilevante l’aspetto “epigenetico”, ovvero il gioco dinamico tra informazione biologica inscritta nei geni e ambiente esterno. Il nostro DNA somiglia molto ad una ricetta di cucina, che può portare a risultati diversi con ingredienti o elettrodomestici diversi, più che un libro della legge immutabile che inchioda ogni organismo ad un particolare destino. Insomma, non c’è molto spazio per il determinismo biologico nella moderna biologia.
Messa così, la discussione appare scivolare su un rassicurante tono scientifico e razionale. Tuttavia, quando si vanno ad analizzare casi specifici -come fanno Coyne e Maroja- cominciano le sorprese e le radicalizzazioni. I due autori analizzano sei diversi ambiti in cui la sovversione ideologica della biologia ha portato ad un dibattito assurdo e pericoloso. Merita elencare brevemente almeno tre malintesi generati dall’approccio ideologico della Tabula rasa riportati dai due autori.
Il primo afferma che il sesso negli esseri umani non è binario, ovvero diviso in maschi e femmine, ma si articola lungo uno spettro continuo (al massimo bimodale, ovvero con alcune “prevalenze”).
Questo è semplicemente falso. Il sesso è la caratteristica biologica determinata dalla produzione, da parte dell’organismo, o di gameti (ovvero cellule preposte alla riproduzione) “grandi” e “poco mobili” (e la cui formazione è energeticamente dispendiosa) o di gameti “piccoli” e “mobili” (e la cui formazione è energeticamente poco dispendiosa). Nel primo caso l’organismo è definito “femmina”, nel secondo caso “maschio”. Negli animali e nelle piante vascolarizzate non esiste un terzo sesso. Possono esserci organismi ermafroditi, ovvero dotati di entrambi i tipi di gameti, ma non una “distribuzione” di questi. Solo in protisti, funghi ed alghe si può parlare, almeno in parte, di variabilità sessuale. Il motivo per cui in gran parte del mondo biologico il sesso è binario deriva dal fatto che si è evoluto così, e ci sono molte buone ragioni per cui sia così. Coyne e Maroja spiegano bene questo punto, mostrando che vi possono certamente essere effetti non solo del genoma, ma anche ambientali che determinano il sesso in certe specie. Ma il sesso rimane binario, ed ha conseguenze che sono -evoluzionisticamente- affascinanti. Tutti gli aspetti di selezione e comportamento sessuale studiati nelle varie specie (promiscuità, ornamenti, accudimento dei cuccioli) si spiegano bene sulla base della differenza nell’investimento energetico che maschi e femmine pongono nella costruzione dei loro gameti.
Nonostante questa semplice evidenza, si assiste ad un florilegio di visioni sociali e persino normative totalmente sganciate dall’aspetto biologico: si parla ad esempio di “sesso assegnato alla nascita”. Che diavolo vuole dire “assegnato”? Qual è la radice di questo malinteso? Appare abbastanza evidente il tentativo di piegare un aspetto puramente biologico (il sesso), con evidenti e innegabili conseguenze dal punto di vista comportamentale, ad un costrutto sociale basato sull’identità e le proprie preferenze, ovvero il genere sessuale. Ma, ancora una volta, non è giustificabile distorcere fatti scientificamente verificati per puntellare una espansione di diritti individuali. I nuovi diritti si giustificano sulla base dell’evoluzione dei criteri di civiltà che sempre sono avvenuti nella storia e che hanno aperto spazi di libertà e di rispetto verso gli altri esseri umani, qualunque siano le loro preferenze e identità. Confondere dati biologici ed etica pubblica produce solo una insopportabile confusione condita da animosità.
Collegato a questo primo punto, vi è un secondo fraintendimento “peloso” della realtà biologica: tutte le differenze psicologiche e comportamentali tra maschi e femmine sono legate alla socializzazione.
Ci sono moltissimi studi che mostrano che ci sono differenze medie tra uomini e donne in molteplici comportamenti basate su differenze biologiche. Moltissime di queste sono condivise da altre specie, e sono profondamente legate alla caratteristica binaria del sesso. Tra queste si possono citare ad esempio le abilità spaziali (più a favore del sesso maschile) e l’empatia (più a favore del sesso femminile). Tra l’altro è interessante notare che queste caratteristiche sono legate all’evoluzione in un determinato contesto ecologico. Per esempio ci sono specie in cui le femmine hanno mediamente maggiori abilità spaziali dei maschi, perché l’aspetto riproduttivo è fortemente legato alla loro capacità di identificare siti adatti per nidificare e/o accudire i cuccioli. E’ importante ricordare che per tutte le specie, inclusa la specie umana, stiamo parlando di differenze medie con una grande sovrapposizione delle distribuzioni delle varie capacità. Molte donne, ad esempio, avranno un’abilità spaziale migliore della maggior parte dei maschi. E tuttavia, ricordare questi semplici fatti appare un invito alla misoginia, alla perpetuazione del patriarcato, ed altre nefandezze sociali che sarebbero giustificate da un uso “non controllato” delle evidenze biologiche.
Il terzo e ultimo malinteso che voglio citare riguarda il campo di azione denominato sociobiologia, che oggigiorno si preferisce definire col termine più preciso “psicologia evolutiva”. Molti contestano l’idea che possa esserci uno studio del comportamento umano basato sull’evoluzione biologica. In particolare, si oppongono argomenti non scientifici a tutti quegli studi che mostrano come la cooperazione tra individui abbia anche una profonda base genetica, perché appare su base individuale e non definisce un “altruismo universale” che si vorrebbe proprio della specie umana. Se la nostra innata tendenza alla cooperazione ha in parte base genetica, ed è per questo rivolta in primo luogo ai consanguinei, questo non implica certo che una società formata da molti individui e basata sulla liberaldemocrazia sia instabile e destinata col tempo a evolversi nella disgregazione in piccole tribù in guerra tra loro. Né la cooperazione tra consanguinei è necessariamente la base dell’egoismo sociale. Ma la cooperazione nelle specie animali è un fenomeno assai complesso anche in ambito biologico e dipende da molti fattori inclusa la dinamica temporale di interazione tra diversi individui, come meravigliosamente mostrato in quel capolavoro che è “The evolution of cooperation” (in italiano: Giochi di reciprocità).
Negli anni 70, il grande evoluzionista E.O. Wilson fu oggetto di vere e proprie intimidazioni per aver sottolineato alcuni evidenti legami tra comportamento cooperativo e parentela genetica, oltre ad aver introdotto per primo l’idea che il comportamento sia anche legato ad aspetti biologici. Oggigiorno le intimidazioni sono in genere più sottili: non esiste una singola istituzione negli Stati Uniti che inserisca un corso di biologia evolutiva nel percorso di studi in psicologia. Ma sono stati riportati anche casi di docenti allontanati da prestigiosi campus per aver espresso convinzioni ben fondate nella moderna psicologia evolutiva.
Guardando all’Italia, la sovversione ideologica della biologia non è ancora -fortunatamente- molto visibile a livello dell’Accademia. Tuttavia, alcuni elementi propri della Teoria della tabula rasa infestano il nostro dibattito pubblico. Un corollario della tabula rasa è -come detto- che solo la struttura sociale determini i comportamenti degli individui; volgarizzando Marx, si cerchino gli interessi economici e si troverà tutto ciò che condiziona negativamente la nostra società. L’eco di questo populismo ideologico risuona da anni nel nostro Paese. Il progressivo scivolare della sinistra politica verso il radicalismo dei diritti civili e dell’eguaglianza sociale segue un trend già avvenuto negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali. Questo trend si è sempre accompagnato con forme di scomunica verso approcci scientifici che mostrano l’evidente retaggio biologico dei comportamenti umani. Ironicamente, l’indifferenza con cui è considerata la scienza nel dibattito pubblico italiano serve solo a rallentare questa evoluzione.
In conclusione, lungo un percorso di libertà e democrazia che ha ormai almeno 500 anni di evoluzione, l’uomo si è liberato dall’idea della schiavitù, dall’idea che a etnie diverse andassero associate legislazioni diverse (preferisco non usare il termine, altrettanto esplicativo, di razza, visto il connotato spregiativo che lo contraddistingue), che donne e uomini abbiano diversi ruoli sociali, che i gusti sessuali possano essere oggetto di persecuzione. Questa evoluzione della società risponde in primo luogo al riconoscimento di quelle che Jefferson, nella dichiarazione di Indipendenza, definì “verità autoevidenti”: rispetto della vita, della libertà e della ricerca della felicità come base di una società armonica e stabile. Le differenze biologiche esistono, e si potrebbe persino affermare che hanno un ruolo nella elaborazione della stessa idea di società moderna, grazie alla conoscenza su base scientifica dei nostri limiti, delle nostre possibilità e della nostra meravigliosa costituzione materiale di organismi che vivono su questo pianeta. Negare il valore della conoscenza, radicalizzare lo scontro su basi ideologiche prive di sostanza, porta solo ad un peggioramento delle nostre condizioni. E, ironicamente, è contrario all’idea che alla fine si vorrebbe difendere: la fiducia nella capacità degli esseri umani di poter migliorare le proprie esistenze. Una capacità che solo la conoscenza priva di infingimenti rende possibile.
Ranieri Bizzarri
Laureato e dottorato in Chimica, ha scelto l'eclettismo come ragione di vita e, dopo un percorso tra la Scuola Normale, il CNRS, la Cornell University e il CNR, è finito a fare il biofisico all'Università di Pisa, dove insegna e fa ricerca con grande divertimento personale. E' appassionato di ogni aspetto della vita studiabile scientificamente, dalle molecole di base alla sociobiologia evolutiva, anche se la sua ricerca è principalmente rivolta all'imaging cellulare con microscopi fin troppo costosi. Nel (poco) tempo libero da lavoro e famiglia prova a fare sport da boomer (padel e calcetto), cerca di viaggiare, ama più o meno ogni tipo di musica e balletto classico, ed ha una passione che va ben oltre la dipendenza per la Formula 1 e la Ferrari. E per non farsi mancare nulla segue Boldrin dai tempi di NfA e ora è associato a Liberioltre.