25 gennaio 2023
Auditorium San Filippo Neri, Fermo
Con il patrocinio del Comune di Fermo e dell’Ordine degli avvocati di Fermo e l’organizzazione a cura dell’associazione culturale Liberi Oltre le Illusioni, si è tenuta la presentazione del nuovo libro di Vittorio Emanuele Parsi, Il Posto della Guerra e il Costo della Libertà1
In una sala gremita e interessata,
si sono interrogati su temi delicati e di grande attualità.
L’invasione russa e le atrocità commesse in Ucraina (che sottendono ad un altro conflitto, quello tra ordinamenti fondati su valori liberali e democratici e ordinamenti autoritari e autocratici); le distorsioni della propaganda e le difficoltà dell’informazione nel mantenere la giusta distanza dai condizionamenti; la difficoltà per l’opinione pubblica di comprendere che anche la nostra libertà è sotto attacco e che la difesa della libertà ha un costo, ma che il costo più terribile da pagare sarebbe quello di perdere la democrazia nella quale la pace e la libertà sono custodite.
La democrazia liberale è costata tanto ed è un bene da difendere con la forza del pensiero, con la forza della retorica e, qualche volta, con la forza delle armi, soprattutto quando, come in questo caso, chi aggredisce lo fa con cieca violenza e determinazione a distruggere e imporre il proprio regime.
Di seguito si riporta la trascrizione ridotta dell’intervento di Vittorio Emanuele Parsi
Questo libro parte da un moto di indignazione e dalla necessità di fare un po’ di chiarezza; è stata una questione professionale cioè, a un certo punto, uno si scoccia di vedere la gente che gioca male!
Il libro mette al centro le istituzioni. Ciò che ha permesso questi 80 anni di pace in Europa sono state le democrazie nazionali che si sono riflesse nel sistema internazionale e viceversa; i due sistemi hanno lavorato in sintonia rinforzandosi reciprocamente.
Le Istituzioni, dunque, sono state quella cosa che ci ha consentito la pace fino a qua.
Nel dibattito politico italiano viene compiuta continuamente questa operazione: si dipinge un'ideale astratto della libertà perfetta, della democrazia perfetta, della giustizia perfetta, della pace perfetta per poter poi dimostrare che non viviamo in un sistema democratico del tutto libero, del tutto pacifico e del tutto giusto e quindi (dato che noi non ci viviamo, ma sosteniamo quei principi) siamo ipocriti.
Fino a quando si è potuto si è esaltato Putin; i più trinariciuti andavano in giro con magliette con la faccia di Putin; quelli appena un livello superiore sostenevano che Putinsi, è sicuramente un leader non democratico, una carogna, ma è uno statista.
Questo agli italiani piace molto: canaglia si, però bravo!
Quando non si è più potuto esaltare Putin (dopo le stragi e i palazzi distrutti) si è iniziato a vilipendere Zelensky con un attacco sistematico:- Zelensky che è responsabile dei morti suoi; Zelensky che non ha cuore di fronte alle sue vittime; Zelensky che è capo di un governo corrotto; Zelensky che è ingordo di armi; Zelensky che è responsabile.
Anche questa è un'operazione vigliacca: non puoi più esaltare l'aggressore, allora cerchi di denigrare la vittima “ma non poteva dargli sto Donbass; ma si, ma in fondo gli ucraini …; l'Ucraina… (se si fosse messa una gonna un po’ più lunga, se non fosse uscita la sera, nessuno l’avrebbe stuprata e adesso che è successo fa tanto la difficile, ci vuole un bel matrimonio riparatore…) si conclude un bel negoziato, un bel trattato e non è successo niente e continuiamo come prima”.
Sentire il coraggio trattato come un problema (un impiccio) e l'opportunismo trattato come la furbizia: questa è una cosa indecente, che non può essere tollerata. Poi c'è stato lo svilimento del processo di democratizzazione dell'Ucraina.
Cioè l'Ucraina non è la democrazia Svizzera (N.B. ma neanche noi lo siamo!) e ho sentito dire “eh vedi, hanno dimesso delle persone per corruzione? vedi, sono proprio marci”. Invece il ragionamento è opposto: cioè, in tempo di guerra, un sistema che funziona va a colpire quelli che sono colpevoli di corruzione e non può tollerare che qualcuno lucri e speculi mentre ci sono persone che muoiono per la libertà.
Accanto a questo c'è il catastrofismo.
Quelli che sostenevano che era inutile mandare armi perché la guerra sarebbe comunque finita con la vittoria della Russia, adesso ci dicono che no, non basta mandare armi, bisognerà prima o poi combattere e mandare i soldati. Lo scopo è sempre lo stesso: fare venire meno il sostegno dell'opinione pubblica al diritto dell'Ucraina di difendersi. Quindi prima si prova dicendo che è inutile, che è pericoloso, che è ingiusto e poi si dice invece che si, è giusto, però bisognerà andare fino in fondo e così la gente dirà maio non voglio la terza guerra mondiale (cosa che nessuno vuole evidentemente!).
Allora dobbiamo essere empatici sui valori e sulle cause che sono in gioco e che sono importanti, ma empatia non implica l'emotività.
Se io sono empatico con un naufrago non è che mi agito e mi blocco e senza far nulla strillo sta affogando! sta affogando! Se voglio salvare il naufrago devo mantenere la calma e cercare di tirarlo fuori dall'acqua.
Molti, che si proclamano amici della pace, parlano del rischio della terza guerra mondiale come imminente.
L'altro giorno un giornale che in questi 12 mesi ha fatto della confusione sulla guerra la sua bandiera ha pubblicato questa notizia: gli scienziati hanno detto che mancano 90 secondi sull'orologio verso la guerra mondiale. Cioè, dicendo “gli scienziati… con l'orologio… hanno calcolato…” hanno messo insieme tutta una serie di parole che alludono a una razionalità sopraffina mentre questa è emotività travestita da razionalità.
Immaginatevi di essere in sala parto, c'è lei che deve respirare mentre tu strilli oddio!oddio! …
Proviamo a ragionare su questo. Tra vent'anni noi immaginiamo e desideriamo che esista ancora l'Unione Europea?
E tra vent'anni immaginiamo e desideriamo che esista ancora l'Italia, la Francia, la Germania in quanto Paesi sovrani (e non c'è contraddizione tra due cose perché noi abbiamo una sovranità nazionale che esercitiamo in proprio e abbiamo una sovranità aggiuntiva che esercitiamo in maniera condivisa dentro l'Unione Europea)? Allora, se noi pensiamo che questo è un bene e vorremmo che esistessero anche tra vent'anni, ne consegue che dobbiamo lavorare affinché questo sia possibile. La sovranità nazionale ha trovato protezione e la costruzione dell'Unione Europea è stata possibile all'interno di un sistema politico internazionale che si è evoluto costruendo Istituzioni e sotto l’egida di principi che sono quelli dell'ordine internazionale liberale: se questi principi vengono meno, quelle istituzioni saranno più deboli.
E’ tutto qui.
Questa la posta in gioco in questo momento: gli Ucraini stanno combattendo per la loro libertà, per la loro sopravvivenza e, volenti o nolenti, per la protezione di un sistema dentro il quale noi possiamo esistere.
Concludo.
Auspicare un mondo pacifico non significa esorcizzare la guerra (gli esorcismi e le scomuniche non hanno mai prodotto nessun avanzamento nella conoscenza o nella libertà, hanno prodotto roghi in cui sono stati bruciati eretici, liberi pensatori e, molto più spesso, libere pensatrici).
La guerra è stata risolta nel rapporto tra le democrazie e le democrazie non si fanno la guerra tra di loro; la dimostrazione è che la Germania e la Francia non si fanno più la guerra da quando sono entrambe democrazie e sistemi aperti, economie aperte e società aperte.
Questo è stato l'evento gigantesco del secondo dopoguerra, legato ai principi liberali scoperti nell'illuminismo. Le religioni monocratiche esistono da secoli, da millenni e ci siamo fatti delle guerre sempre e comunque.
Sono i principi di libertà e democrazia liberale che ci hanno portato a fidarci reciprocamente a non farci la guerra.
E’ questa la cosa gigantesca.
Quello che ha cambiato il rapporto tra guerra ed esseri umani è l'avvento della democrazia: una cosa breve, dall'esperienza fragile, reversibile e che si è affermata in un pezzetto di mondo.
Allora noi dobbiamo fare in modo che le condizioni che hanno reso possibile questa pace (libertà e democrazia) vengano mantenute e ampliate in maniera tale da consentire tutto ciò, perché la pace passa attraverso la democrazia e non il contrario.
Da questo partono una serie di questioni infinite dal punto di vista anche della riflessione teorica: come è possibile il multilateralismo con sistemi non democratici fieramente autocratici che neanche si fingono più democratici?
Questo è un tema gigantesco.
Nel libro parlo del colonialismo, dell'imperialismo, del cattivo processo di decolonizzazione; tutto vero ma, detto ciò, l'Occidente è l'unico posto in cui la democrazia è un po’ più salda che in qualunque altro posto. Come ci si comporta rispetto a chi minaccia questa via e non vuole accedere alla via della pacificazione attraverso la democrazia?
Finché una minaccia è teorica possiamo discutere in tutti i modi e abbiamo provato ad evitare questa minaccia utilizzando le relazioni economiche.
Si può leggere il rapporto economico con la Russia di questi trent'anni come il modo di legare la Russia al carro delle democrazie attraverso il mercato.
Ma l'invasione dell'Ucraina ci dimostra, in maniera lampante, che questa modalità non ha funzionato, cioè non funziona per evitare la guerra; funziona solo se il capo dei russi non vuol farla la guerra, ma se vuole farla non è possibile evitarla.
Al contrario nessuna democrazia potrebbe aggredire brutalmente un vicino di casa solo perché il capo decide di farlo.
Allora cosa si fa in questi casi?
Questo significa avere “un posto della guerra” anche nel pensiero democratico.
Come ti comporti con gli intolleranti? Con gli intolleranti non puoi essere tollerante.
Se a qualcuno sfugge, se il concetto vi sembra astratto, dirò con i bulli non c'è che la fermezza, se lasci al bullo di bullizzare è impossibile qualunque convivenza.
Allora solo per concludere: qualche giorno fa è morto un grandissimo giocatore di pallone che si chiama Gianluca Vialli.
I giornali italiani sono stati pieni di (meritati!) peana nei confronti di Vialli che ci ha dimostrato (come molti altri prima di lui) il coraggio nel momento in cui è più difficile essere coraggiosi: quando la vita finisce.
Prima di morire - se vi ricordate - Vialli ha lasciato questa importante dichiarazione (che non è una sua invenzione, per carità, ma lui l'ha scelta, l'ha fatta sua e l'ha detta pubblicamente con l'impatto che ha un testimonial come Vialli) "la vita è fatta al 10% di cose che ci succedono e al 90% di come reagisci a queste cose".
E’ singolare; l’Italia è un Paese che pensa che la vita sia fatta al 90% di cose che ti succedono e al 10% di come tu reagisci (quindi se quello che faccio è giusto o sbagliato poco importa; sì, magari era meglio farlo bene e l'ho fatto male, ma vale solo il 10%...). E’ singolare, dicevo, che in un Paese che massimamente ragiona così ci sia l'esaltazione per chi ti dice una cosa giusta ma che non è quella che tu fai!
E rispetto al libro, appunto, potremmo fare un parallelo con D'Annunzio (amato dell'italietta liberale) che si prendeva gioco dei suoi seguaci e delle sue seguaci dicendo ardisco non ordisco e tutti ad applaudire: si! bravo il vate! il poeta di un paese che ordisce ma non ardisce…
Allora da un lato questa riflessione e dall'altra Vialli ci richiamano all'importanza della responsabilità. Se ci pensate, di fronte alla guerra la responsabilità è più semplice perché il 10% c'è già stato tutto (cosa c'è di più evento della guerra?)
Ma siccome anche di fronte alla guerra la proporzione è la stessa (10% quello che ti succede il 90% come reagisci) questo è il momento in cui ognuno di noi può fare la differenza, innanzitutto per se stesso e per i propri figli e le proprie figlie e poi per tutti gli altri.
Come noi reagiamo, questo è quello che conta. Pensiamo a Vialli, pensiamo alla guerra, pensiamo al futuro; vedete che non è così difficile seguire la linea, non tanto del dovere ma del coraggio o, se volete (un'espressione che mi atterrisce meno) la linea della virtù, che è quella che ci rende umani.
Siamo umani perché possiamo scegliere il bene rispetto al male, il coraggio rispetto alla vigliaccheria, la virtù rispetto al vizio.
Grazie
Risposta ad alcune domande della Sala
(Sulla disinformazione e le fake news) Le democrazie sono sistemi aperti, le nostre società sono aperte quindi il costo (l'altro lato della medaglia) della libertà è che i malintenzionati possono usarla anche per compiere azioni ostili.
Questo chiama in ballo la questione dell'utilizzo della disinformazione da parte di Putin; la Russia di Putin è un sistema orwelliano, ha le capacità dei sistemi dispotici contemporanei di controllare l'informazione capillarmente, di prendere misure molto sartoriali anche nella repressione e quant'altro e descrive molto bene il sistema di Orwell molto più che ai tempi di Stalin (Stalin non aveva la capacità di entrare in qualunque conversazione privata per questioni tecniche). Putin non avrà l'apparato ideologico di Stalin ma ha un apparato tecnico molto, molto più intenso nella lotta tra verità e bugia.
Dobbiamo sempre pensare che la verità emerge nel lungo periodo perché ha un rapporto effettivo con la realtà, ma nell'immediato la menzogna spesso prevale sulla verità perché è più seducente, perché ti posso convincere dicendoti quello che tu vuoi.
(Scenari nel dopo Putin) Facendo un parallelo con l'Italia io ho sempre detto, sin dall’inizio, che questa guerra sarebbe stata per Putin come per Mussolini la campagna di Grecia del ‘41. Il regime cade nel ’43, lì è stato l'inizio del crollo della fiducia nei confronti di Mussolini e ci sono voluti due anni perché questo poi diventasse una forma di diffidenza, che non è stata comunque in grado di fare cadere il regime (caduto per un colpo di Stato di palazzo) ma quando è caduto tutto il popolo era pronto.
Allora questo secondo me è quello che possiamo immaginarci come scenario; io penso che il regime di Putin non sia un regime così solido; penso che piano piano, da un lato l'opinione pubblica, dall'altro lato quella cricca che sta intorno a Putin (che si vede danneggiata fortemente da questa guerra demenziale che Putin ha scatenato), gli faranno pagare il conto.
Se cade Putin, ne verrà uno peggio? Io non credo perché se cade Putin cadono tutti quelli che hanno sostenuto questa guerra; perché se cade Putin, cade per questo e quindi è poco credibile anche chi l'aveva sostenuto, perché se è una sconfitta che ti fa cadere, tutti quelli coinvolti nella sconfitta sono toccati dal fallimento.
(Sulle armi che servono all’Ucraina) Guardate i carri armati servono per consentire all'Ucraina di resistere all'offensiva Russa e poter tornare sul piede avanzante. Cioè io non posso dire che con questi carri l'Ucraina vincerà, ma senza questi carri armati l'Ucraina perderà e questo è inaccettabile secondo me.
Poi penso che gli Ucraini combatteranno fino in fondo; se si realizza lo scenario più preoccupante, se l'Ucraina dovesse essere travolta, a quel punto per la NATO si porrebbe il problema non tanto di combattere contro i Russi. Se l'Ucraina crolla i Cinesi impareranno la lezione; ma se Putin viene bloccato la lezione mandata è: puoi mettere tutta la forza che vuoi; puoi essere spietato finchè vuoi; ma noi ti bloccheremo, non te lo faremo fare; non ti daremo mai la vittoria.
Lo imparerà Putin e il successore di Putin.
Quest'estate, quando c’è stato il momento di maggiore tensione con la Cina su Taiwan, il messaggio mandato da americani, australiani, francesi, inglesi e anche tedeschi (con le navi militari nel Mar della Cina a navigare intorno a Taiwan) è stato guardate non è cosa!
Vi invito a pensare a un fatto quando parliamo delle istituzioni.
Cosa ha impedito, fino ad adesso, alla Cina di attaccare Taiwan?
Certo, la protezione militare; ma anche un altro elemento fondamentale: che noi non abbiamo mai messo in discussione il diritto della Cina a riunificarsi con Taiwan; non abbiamo mai messo in discussione il fatto che ci sia una Cina sola; non abbiamo mai messo in discussione il fatto che Taiwan non può diventare Repubblica di Taiwan; perché questo provocherebbe un casus belli.
Però abbiamo detto ai cinesi una cosa molto semplice: tu puoi riunificarti con Taiwan basta che taiwanesi lo vogliano cioè, non puoi usare la forza (e questo non è ipocrisia, doppiezza); nessuno mette in discussione questa tua ambizione politica ma non puoi ottenerla con la guerra, perché rispetto alla tua rispettabile ambizione politica c'è una cosa più importante che è il non uso della forza.
Allora questo è quello che noi dobbiamo continuare a costruire, questo è il punto, perché è questo che allontana i conflitti ed è proprio il lavoro continuo delle istituzioni.
1. “Il Posto della Guerra il costo della libertà” - Saggi Bompiani, prima edizione novembre 2022