L'inflazione, tema di attualità, è tornata a far parlare di sé. Una serie di fattori, tra cui lo sconvolgimento delle catene di produzione causato dalla pandemia, l'invasione russa dell'Ucraina e la crisi energetica, hanno contribuito al rialzo dei prezzi e al conseguente aumento del costo della vita.
La situazione attuale sta avendo un impatto diretto sul bilancio delle famiglie, soprattutto per quanto riguarda i beni essenziali. Nonostante l'aumento dei prezzi, la domanda di questi prodotti rimane notevolmente stabile, creando una pressione finanziaria crescente per le famiglie. Le politiche adottate dai governi e dalle banche centrali in risposta alla pandemia hanno contribuito a ciò che è indubbiamente l'episodio inflattivo più significativo degli ultimi anni. L'iniezione di liquidità nell'economia, se da un lato ha sostenuto la ripresa, ha anche alimentato l'aumento dei prezzi.
L'inflazione ha un impatto variabile in Europa, con alcune regioni che risentono in modo più accentuato di questa tendenza. Nel 2022, l'inflazione sui prodotti alimentari nell'eurozona arrivò intorno al 9,2%, con un aumento di circa il 7% in Italia. Questi dati evidenziano una pressione considerevole sui costi di alimenti e beni di prima necessità, mettendo a dura prova il bilancio delle famiglie italiane.
Un aumento delle spese è evidente in tutti i settori alimentari, ad eccezione di prodotti ittici e vino. In particolare, si registra un notevole incremento delle spese per gli oli (+16,7%), seguito dalle bevande analcoliche (+12,4%) e dai derivati dei cereali (+11,6%). Anche la spesa per le carni ha visto un notevole aumento (+9,9%).
Nel dibattito pubblico, la guerra in Ucraina è stata spesso indicata come la principale responsabile dell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, con l'Ucraina stessa definita "il mulino d'Europa". Anche i recenti conflitti in Medio Oriente, tra cui la nuova guerra tra Israele e Palestina ha portato a credere che i prezzi del petrolio potrebbero aumentare ed i mercati azionari crollare [Massimo Famularo ha spiegato perché non sia così (HAMAS E ISRAELE IN GUERRA LA REAZIONE DEI MERCATI)
Ma quanto c’è di vero in tutto ciò?
Qualche dato sui rapporti commerciali con i paesi interessati
Una piccola premessa: L’Italia, dal punto di vista alimentare, non è autosufficente, infatti importa circa l’82% dei prodotti alimentari, motivo per il quale è strattemente dipendente dagli altri stati dell’Unione Europea.
Possiamo notare infatti che i maggiori esportatori in Italia di prodotti alimentari sono Germania Francia e Spagna.
Per essere precisi, importiamo il grano dal Canada il 15.6%, dalla Francia il 13.8%, Ungheria il 13.7% ed 1.57% dall’Ucraina, dalla quale, tuttavia, importiamo il 43,8% di “seed oil”.
È rilevante notare che l'Europa non figura neanche tra i primi dieci importatori di prodotti alimentari dall'Ucraina. I maggiori importatori, specialmente di grano, sono paesi in via di sviluppo come Etiopia, Yemen, Afghanistan, Sudan, Somalia, Kenya e Gibuti.
La preoccupazione dell'Europa per l'approvvigionamento di grano ucraino non è tanto motivata da un interesse diretto, quanto piuttosto da una questione di sicurezza alimentare a livello internazionale.
La realtà dei fatti:
L'inflazione dei prodotti alimentari ha avuto inizio nella seconda metà del 2020, influenzata sia dall'incremento progressivo dei costi dell'energia, sia dalle politiche adottate in risposta alla pandemia di COVID-19. La conflittualità in Ucraina ha ulteriormente destabilizzato i mercati, particolarmente nel settore energetico.
L'Ucraina detiene una posizione di rilievo a livello globale come principale esportatore di olio di girasole, rappresentando il 50% delle esportazioni mondiali. Inoltre, si colloca al terzo posto per le esportazioni di orzo (18%), al quarto per quelle di granoturco (16%) e al quinto per il frumento (12%). Nel solo anno 2021, l'Ucraina ha registrato esportazioni di cereali dal valore di quasi 12 miliardi di USD, pari a circa 11,5 miliardi di EUR.
Il 65% del frumento esportato attraverso l'iniziativa sui cereali del Mar Nero ha trovato destinazione nei paesi in via di sviluppo. La decisione della Russia di ritirarsi da tale iniziativa sta ulteriormente acuendo la crisi alimentare globale.
Un aspetto rilevante da evidenziare è il divieto all'importazione di grano ucraino da parte dei paesi dell'Europa dell'Est, come Polonia, Ungheria, Slovacchia e Bulgaria. Questa misura è stata adottata in risposta all'abbondanza di prodotti agroalimentari ucraini che, creando un surplus sul mercato, ha fatto crollare i prezzi. Tale situazione ha generato una crescente insoddisfazione tra i produttori locali, mettendo in luce come l'agricoltura ucraina non impatti direttamente sui prezzi nel settore alimentare europeo e quindi sull'inflazione in Europa.
L'unico prodotto che risulta essere direttamente influenzato dalla guerra in Ucraina è l'olio di semi di girasole, che ha registrato un aumento dei prezzi di quasi il 50% dopo lo scoppio del conflitto.
La Russia, inoltre, rappresenta il principale fornitore di fertilizzanti a livello mondiale e il secondo più grande esportatore di potassio. Le recenti sanzioni imposte obbligheranno l'Unione Europea a cercare alternative per sostituire la quota di importazioni provenienti da Russia e Bielorussia, che rappresentano rispettivamente il 60% per il potassio e il 35% per i fosfati.
Nell'Unione Europea, alcune aziende produttrici di fertilizzanti hanno temporaneamente interrotto la produzione a causa dei costi energetici troppo elevati, mentre altre hanno addirittura smesso di accettare ulteriori ordini, vista l'incertezza sui prezzi e la disponibilità per il resto della primavera del 2022.
Nei primi giorni della guerra, i prezzi dell'energia hanno registrato un significativo aumento, impattando ulteriormente sui costi di produzione.
Ad esempio:
Quindi ad avere realmente influito sul prezzo finale dei prodotti alimentari è l'approvvigionamento di energia, essendo il settore alimentare ad alta intensità energetica. Inoltre i costi elevati del carburante hanno anche influito sui costi di trasporto
Osservando l'andamento futuro, emergono segnali che suggeriscono come gli effetti della guerra sull'inflazione nell'area dell'euro, attraverso le dinamiche dei mercati internazionali dell'energia e dei prodotti alimentari, possano gradualmente attenuarsi.
La vera causa
Come scritto sopra, il fattore chiave in questo processo è il prezzo dell'energia che è andato a ridursi grazie alla diversificazione di approvvigionamento ed efficientamento.
Attualmente, l'inflazione dei prezzi sui alimentari rappresenta la principale componente dell'inflazione nell'area dell'euro. Tuttavia, gli indicatori anticipatori, come i prezzi alla produzione agricola nell'area dell'euro e i prezzi delle materie prime alimentari sui mercati internazionali, hanno mostrato consistenti diminuzioni dalla metà del 2022. Ciò indica che anche l'andamento dei prezzi nel settore alimentare potrebbe contribuire a una moderazione dell'inflazione nell'area dell'euro.
Allo stesso modo la guerra in Israele potrebbe contribuire quindi all’inflazione a causa della diminuzione dell’offerta di petrolio, ma è ancora presto per dirlo e bisogna attendere sviluppi sul conflitto prima di poter fare delle previsioni attendibili. L’unica cosa che possiamo dire, è che da Israele importiamo lo 0,062% del crude oil e lo 0,63% del petrolio raffinato.
Tutto ciò ci fa notare come il diffondersi di un metodo di produzione che miri alla riduzione degli sprechi (e quindi all'aumentare dell'efficienza) come l’agricoltura di precisione, sia sempre più necessario.
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