Guida galattica per aspiranti leader: 10 anni di Narendra Modi

Nel lontano inizio “ottocento” India e Cina erano due delle economie più importanti al mondo. A seguire, colonizzazione britannica, Rivoluzione industriale ad occidente sino ad arrivare all'indipendenza del 1947, hanno portato l'India a metà del XX secolo a rappresentare il 3% dell'economia mondiale.

Foto generata da AI

Introduzione di contesto al personaggio Modi

A seguito del periodo di liberalizzazione iniziato nel 1991, tale percentuale è arrivata al 3,6%. 

Siamo nel 2024, all'interno di un contesto caratterizzato da progressi tecnologici, previsioni di rallentamento globale e nel pieno delle elezioni che termineranno il primo Giugno 2024 e che salvo colpi di scena porteranno l'attuale primo ministro Narendra Modi ad assicurare un terzo mandato, e l'India presenta una crescita annua del 7,6%.

Era dai tempi di Nehru che il paese non osservava l'ascesa di un leader così influente. Parte di essa dovuta alla sue origini di figlio di un commerciante di tè (o così pare), e combinata ad un cocktail di ideologia nazionalista induista e un approccio innovativo nel tentativo di riformare l'economia e il fare impresa. 

A caratterizzare Modi vi è anche l'aspetto che, a differenza di altri leader populisti, il suo supporto è composto sia da ceti istruiti che non. Un fenomeno decisamente insolito, considerando che generalmente questo tipo di governance di stampo populista raccolgono il core del loro sostegno dai segmenti meno istruiti della popolazione. Questo può essere dovuto a una serie di elementi, quali il tangibile progresso economico, il suo marcato ruolo nel posizionare l'India all'interno dei quadri geopolitici mondiali e al suo polso deciso e di matrice nazionalista. 

Oltre che consolidare livelli differenti di istruzione, Modi ha radicato la sua popolarità nel saper sostenere ed incentivare più classi sociali, da quella media alle élite. Nel primo caso grazie alla cosiddetta “capacità del far funzionare le cose”; nell'alta borghesia grazie alla sua politica estera che ha generato nuove possibilità di commercio e ha incrementato l'influenza globale del paese criticando le liberali istituzioni occidentali, elemento particolarmente ben visto dai ceti alti.

Luci ed ombre di un decennio di riforme economiche

La strategia adottata da Modi per alimentare la crescita economica del paese si affaccia su più fronti, tra i quali sviluppo infrastrutturale, esportazione di servizi e un sistema di assistenza sociale rivisitato e mirato alla riduzione della povertà. 

L'essenza del programma economico del leader proveniente dal Gujarat si basa su un ampliamento infrastrutturale, sia dal punto di vista “fisico” che digitale. Ciò consente e garantisce maggiore connettività e la possibilità di sfruttare l'economia di scala. Durante la sua legislazione gli investimenti strutturali hanno registrato un notevole aumento, a partire dalla rete stradale nazionale, che in 10 anni è cresciuto del 60%. La spesa per il trasporto è triplicata come quota del PIL. Inoltre, lo sviluppo di Aadhaar, sistema di identificazione digitale, avviato dal governo precedente ma implementato in seguito, ha posto le basi per il sistema di pagamenti utilizzato ad oggi da circa 300 milioni di indiani ogni mese. Lo stesso sistema ha anche permesso a gran parte delle famiglie di aprire un conto bancario e di effettuare, ad esempio, i pagamenti di assistenza sociale elettronicamente o di aprire più semplicemente una linea di credito. 

L'esportazione di servizi ha preso invece campo soprattutto nell'ambito IT, trasformando il paese in un centro di esportazione di servizi. 

Infine, il governo Modi è riuscito a ridurre notevolmente il tasso di povertà. L'indice di povertà multidimensionale è sceso dal 55% al ​​16% in un decennio, grazie alla crescita economica e alla spesa per il benessere. Tuttavia, l'efficacia dei programmi di welfare è stata oggetto di dibattito.

I due mandati Modi, come dicevo in precedenza, si caratterizzano anche per un tentativo di riformare il fare azienda e più in generale l'economia nazionale, soprattutto partendo dal settore finanziario. Quest'ultimo ha subito infatti un processo di “pulizia” e la sua credibilità sullo scacchiere internazionale è cresciuta notevolmente.  

Passando al settore aziendale, oggi possiamo notare come esso abbia un rendimento del capitale proprio superiore alla media globale. Principale protagonista di questo progresso è la GST (Goods and Services Tax), introdotta nel 2017, volta a semplificare ed armonizzare il sistema fiscale del paese e complice nel rendere l'ambiente aziendale più coeso. 

Source: FRED ST.LOUIS FED; Elaborazione personale del grafico basato sui dati presi dal link sottostante; Volume (espresso in milioni di rupie) di “gross fixed capital” formatosi tra il 1997 e il 2023. Il “gross fixed capital” è un componente della spesa per il PIL lordo che indica quanto del nuovo capitale immesso nell’economia viene investito piuttosto che consumato.

Tuttavia vi sono anche notevoli elementi negativi e definire il record tra luci ed ombre risulta alquanto complicato. 

Il tentativo di industrializzazione del paese attraverso la campagna “Make in India” ha presentato risultati a dir poco insoddisfacenti. La quota che il settore manifatturiero copre all'interno dell'economia è diminuita sotto la guida di Modi. 

L'inflazione, nonostante le confermate e positive prospettive di crescita economica, preoccupa gli economisti dato il rischio di un ulteriore incremento rispetto alle stime attuali. 

Il mercato del lavoro è fragile. La disoccupazione giovanile è passata dal 14% al 22% durante la sua gestione. La maggioranza della popolazione è sottoccupata, limitandone il consumo e le esportazioni non sembrano bastare a colmare il deficit. Alcuni economisti hanno sottolineato la necessità di un piano più concreto per sfruttare il potenziale dei dividendi demografici, evidenziando la mancanza di progressi significativi nella creazione di occupazione nonostante le promesse e gli sforzi del governo.

L'istruzione indiana è anch'essa in parte responsabile ma soprattutto le città non sembrano essere dotate della governance necessaria per gestire la transizione dal contesto rurale a quello urbano della popolazione, il quale sarebbe fondamentale in termini di produttività.

La crescita economica nelle aree rurali è rimasta di fatto stagnante, nonostante un apparente incremento salariale all’inizio del mandato Modi. Il PIL pro capite è cresciuto a un tasso annuo del 4,3% sotto Modi, inferiore al 6,2% durante il mandato di Manmohan Singh.

Tornando all’istruzione, nonostante la maggioranza dei bambini frequenti la scuola, soltanto il 43% degli studenti di quinta elementare risultano in grado di leggere testi di secondo grado, dimostrando bassi tassi di apprendimento. 

Nonostante la quota di energia rinnovabile sia aumentata dal 13% al 23% tra il 2014 e il 2023, l’India rimane estremamente dipendente dal carbone. Tra le più inquinate al mondo, le città indiane presentano quote costanti di decessi legati all’inquinamento atmosferico. 

Infine, l’indice della democrazia è diminuito, come specchio di un graduale crollo della fiducia nelle istituzioni democratiche durante il governo Modi.

Questa serie di dati rappresenta quanto l’immagine di un periodo idilliaco per quella che è sulla carta la “più grande democrazia del mondo” sia frutto di retorica politica e che la realtà è ben più complessa. 

Esempio di questa natura ambivalente dei 10 anni di Narendra Modi alla guida dell’India è quella che potrebbe essere definita la sua mossa più audace. La demonetizzazione. Avviata nel 2016, è frutto di un tentativo costante da parte del governo di tirare fuori l’economia indiana dai cosiddetti settori “informali”, ottenendo risultati decisamente altalenanti. Sebbene la demonetizzazione abbia effettivamente accelerato il processo di digitalizzazione del paese, essa ha generato una dislocazione di massa dall’economia informale. Gli investimenti delle famiglie e il credito sono crollati. 

Questa manovra non è altro che il riassunto delle riforme economiche di Modi. Esse avranno sicuramente migliorato il sistema di welfare rendendolo più efficiente e trasparente e permettendo che le classi povere siano raggiunte in modo più diretto ed efficace, ma allo stesso tempo il boom economico non è stato accompagnato adeguatamente da un aumento proporzionale dell’occupazione. La creazione di nuovi posti di lavoro rimane infatti un nervo scoperto di cui preoccuparsi. 

Source: Centre for Monitoring Indian Economy; Elaborazione personale del grafico basato sui dati presi dal link sottostante; indice di disoccupazione indiano dal 2008 al Gennaio 2024.

Due elefanti nella stessa stanza

Ai tempi della sua elezione, Modiji (soprannome usato colloquialmente per rivolgersi al presidente Modi) decantava promesse di sviluppo e trasformazione del paese corpo a corpo con il vicino gigante cinese, considerandolo come modello da imitare.  

Poco tempo dopo, in occasione di una visita informale dello stesso Xi in India nel 2014, riecheggiavano rumors di penetrazioni cinesi sul suolo nazionale nei pressi della regione del Ladakh. 

L'escalation definitiva delle tensioni mascherate è avvenuta nel 2020 sempre nella stessa area dove truppe cinesi ed indiane si sono  affrontate causando diverse morti. Il più grave scontro tra le due nazioni negli ultimi 40 anni. 

In reazione, il presidente Modi ha aumentato gli investimenti di difesa e migliorato le infrastrutture militari al confine. Quanto successo 4 anni fa ha definito un punto di svolta nel rapporto tra le due nazioni più popolose al mondo e ha fatto pagare la sua carente capacità risolutiva di gestire la crescente assertività della Cina di Xi. 

Dal punto di vista delle sue ambizioni di affermazione regionale e globale, l'India ha iniziato a percepire il fiato sul collo della “regina d'Oriente”. Manovre quali la Belt and Road Initiative hanno generato timori riguardo la potenziale perdita di polso indiana nell'area. Per cercare di arginare queste minacce Modi ha dato il via ad un intensificazioni delle relazioni con gli Stati Uniti e altre potenze occidentali, instaurando rapporti di ordine economico e difensivo. Tutto questo senza mai mettere a repentaglio l'ambiguo rapporto con la criminale Russia di Putin. 

La strategia estera attuale del presidente indiano si basa su tre punti principali. In primis costruire e rafforzare una serie di alleanze strategiche, tra cui quelle con Australia e Giappone per sostenere sicurezza e stabilità nell’Indo-Pacifico attraverso l’iniziativa del Quadrilatero di Sicurezza e con altri paesi del sud-est asiatico per bilanciare l'influenza cinese nella regione. In seguito affrontare la sorella cinese nella lotta per il dominio dei paesi in via di sviluppo. Infine intensificare la propria posizione ad ovest senza finire ingarbugliato nelle tensioni politico-commerciali tra l’Occidente e la Cina. 

MODI, STIRRED NOT SHAKEN 

Gli ingredienti del cocktail Modi non sono semplici da decifrare ma si evince sicuramente qualche tinta amara. 

Nonostante le politiche di Modi siano state elogiate per il loro strizzare l’occhiolino ai principi economici liberali e per l’operosità nel promuovere riforme, sono anche al centro di forti critiche. Tali sono infatti “accusate” di essere a favore di un certo tipo di capitalismo “crony” (capitalismo clientelare) e di spingere alla soffocazione del dissenso e delle opposizioni. Preoccupa la demonizzazione nei confronti della popolazione di credo musulmano e questa sorta di matrice ideologica dell’amministrazione al potere, soprattutto se consideriamo tutto questo nel contesto di erosione dei valori democratici che già sopra citavo. 

L’inaugurazione di fine Gennaio ‘24 del tempio Ayodhya coglie a pieno questa tendenza autocratica della nazione, sempre più spinta verso un esplicito nazionalismo induista. Questo evento non è isolato e si inserisce in un quadro ben definito di ristrutturazione identitaria.

A dimostrazione di questo, a fine Aprile, Narendra Modi si è lanciato in un alquanto controverso discorso nello stato del Rajasthan, definendo la minoranza musulmana come “infiltrata”. Questi, sempre secondo il carismatico primo ministro, sarebbero protagonisti dell’erosione della ricchezza nazionale qualora al potere dovesse salire il partito di opposizione. A chiudere in “bellezza” questo show politico Modi si rivolge alla popolazione femminile e le mette in allerta sul fatto che, sempre nel caso di vittoria del partito di Rahul Gandhi, i loro gioielli verrebbero confiscati e consegnati ai compatrioti di fede islamica.  

Il “materiale” alla base di questa offensiva verbale risale ad alcune dichiarazioni effettuate dal suo predecessore Manmohan Singh, che nel 2006 difendeva l’equa distribuzione della ricchezza tra tutte le variegate comunità presenti all’interno del paese. 

Su questa linea, dall’instaurazione del governo Modi, i musulmani hanno perso il diritto ad una rappresentazione almeno sufficientemente proporzionale nello sviluppo economico e sociale dell’India. 

Queste parole non fanno altro che riflettere l’ideologia e i sentimenti del Bharatiya Janata Party (BJP) che, storicamente, tenta di polarizzare gli induisti contro i concittadini musulmani. Inoltre, fanno trasparire perfettamente le tensioni politico-religiose attualmente in corso in India e mettono ulteriormente in risalto quanto sia necessario lottare per cercare di mantenere laicità ed inclusività attive all'interno di un contesto così diversificato. Nonostante ciò, l’uso spudorato e diretto di queste parole ha generato preoccupazioni per il potenziale incitamento all’odio e alla violenza contro il gruppo bersagliato dalla conferenza, soprattutto considerando la già estrema natura della destra che il BJP rappresenta. 

Da parte dell’opposizione si sono scagliate forti critiche. L’utilizzo di motivi religiosi nel discorso del premier ha scaturito preoccupazioni riguardanti potenziali violazioni delle regole elettorali. Alcuni sostengono anche si siano trattate di parole per distogliere l’attenzione dai reali problemi del paese quali la disoccupazione e l’inflazione. Nonostante ciò niente si è concretizzato, considerando che con regolarità il BJP fa uso di riferimenti religiosi durante i suoi comizi, e Narendra Modi resta il favorito per vincere. 

Source: The V-Dem Dataset; Elaborazione personale del grafico basato sui dati presi dal link sottostante; Rileva in che misura i leader politici sono eletti con diritti di voto dal totale della popolazione, in elezioni libere ed eque, e in che misura sono garantite le libertà di associazione e di espressione. Va da 0 a 1 (più democratico).

Meriti propri o demeriti altrui?

Collegandosi, elemento determinante nell'assicurare a Narendra Modi il pronostico a favore per il terzo mandato consecutivo è la totale assenza di un'alternativa credibile all'opposizione. Questo ha rafforzato la sua figura tra le élite e ha fatto perdere credibilità al Partito del Congresso (INC) e al suo leader, Rahul Gandhi. Una terza sconfitta in questa scena politica caratterizzata da tensione ed aspettative, sarebbe un disastro per l'INC. Quest'ultimo, dopo aver dominato il panorama politico del paese per decenni dopo l'indipendenza, si trova ad affrontare una debacle senza precedenti, per di più guidato da una leadership privata di idee e accompagnato da un sostegno elettorale in netto declino. Rahul Gandhi non sembra di fatto capace di invertire la rotta e, soprattutto, le accuse a suo conto di manipolazione elettorale (da parte del governo in carica) non fanno che lederne ulteriormente lo status. 

Se il Partito del Congresso non riuscirà ad innovarsi potrebbe essere il caso e il momento che la classe di giovani riformatori si separi e crei un nuovo movimento capace di affrontare e bilanciare il potere del BJP, senza scaturire ulteriori divisioni all’interno dei confini nazionali. 

Ennesimo elemento a favore del partito di Modi è la diaspora indiana, in grado di influenzare la finanza e di mobilitare la popolazione. con la sua influenza finanziaria e la capacità di mobilitazione, svolge un ruolo significativo nella politica indiana. Nonostante il suo impatto non possa agire direttamente sulle elezioni considerando le restrizioni logistiche di voto attive in India, la diaspora svolge un ruolo significativo ad esempio finanziando le campagne elettorali.

Nell’accompagnare le campagne di promozione nazional-induista non vi è solo la sfera politica ma seguono a ruota altri segmenti quali la cultura e l’istruzione. Bollywood e i media sono perfetti portavoce di questa riscrittura della storia secondo la sceneggiatura del partito di governo.


Quale futuro?

Le domande che si stagliano tra noi e il futuro del paese più popoloso al mondo sono varie. Sarà Modi in grado di evolversi soddisfando le variegate esigenze economiche senza intaccare o alimentare le divergenze culturali che caratterizzano lo stato dell’arte attuale e complesso dell’India? 

Riuscirà a restare in equilibrio tra queste sue esplicite tendenze autocratiche e l’ovvia necessità di instaurare le basi dell’economia nazionale sull’innovazione, la conoscenza, il merito e il pensiero critico? 

Capirà il BJP l’esigenza di dover cedere alle voglie scioviniste, per poter al meglio sostenere il progresso attuale e futuro dell’India attraverso un’agenda più inclusiva e orientata alla crescita? 

Nonostante i molti punti interrogativi, vi sono alcuni segnali positivi, quali gli investimenti privati e l’aumento di entusiasmo tra gli investitori verso il mercato indiano. Di fatto, Modi ha dimostrato buone capacità di perseguimento di grandi progetti di riforma e i risultati definitivi potrebbero richiedere molto più tempo per far sì che possano essere completati ed analizzati. 

Concludendo, il destino del paese e della sua “missione” nel rinascere e rinnovarsi dipende non soltanto dai suoi risultati tangibili ma anche dalla sua capacità di adattarsi e di generare nella popolazione una sorta di eredità che vada oltre al tifo da stadio politico. La strada è ancora lunga e se dovessi scegliere tre parole per descrivere quello di cui l’India ha bisogno e di cui Modi deve essere consapevole sono: Prospettiva, concretezza ed inclusività.

 

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