E’ stata una conferenza stampa mesta quella con cui Giorgetti e Leo hanno presentato il Documento di economia e finanza 2024.
I punti salienti toccati da ministro e viceministro sono 4 e portano tutti ad amare considerazioni sul presente e sul futuro della finanza pubblica.
L’eredità del superbonus
Il conto del superbonus è arrivato a 216 miliardi. Com’era facilmente preventivabile, l’ultima stretta del 2023 ha generato una corsa alle asseverazioni per poter usufruire del massimo delle detrazioni e quindi nel solo periodo settembre-dicembre 2023 il costo per le finanze pubbliche dei trasferimenti a famiglie e imprese è aumentato di 78 miliardi dei quali, per via deduttiva, si può calcolare che i 2/3 siano ascrivibili ai bonus edilizi.
Le regole contabili eurostat hanno comportato l’iscrizione del disavanzo alla voce deficit 2023 e l’Istat ha dovuto ricalcolare questa voce al 7,2%. Eravamo già in procedura d’infrazione a dicembre (NaDEF stimava 5.3%, già in aumento rispetto al 4.5% del DEF), ma ora la procedura di rientro diventa pressoché impossibile.
Dopo aver scassato il conto di competenza (deficit) il superbonus aggredisce ora quello di cassa (debito). La traiettoria del debito prevista dalla NaDef (137,5 -137,4 – 137,2 rispettivamente per 2024, 2025 e 2026) viene rivista in peggioramento col rapporto debito/pil che riprende la sua salita e, dice Giorgetti, ricomincerà a scendere solo dal 2027. Chi scrive prevede una nuova procedura d’infrazione per debito eccessivo dopo la presentazione del DPB di ottobre prossimo venturo.
C’è un’altra considerazione da fare sul superbonus e sugli stimoli fiscali: dopo lo shock pandemico erano molte e varie le domande di un boost alla domanda aggregata. Ma uno stimolo così asimmetrico genera, quando viene meno, un effetto isteresi causando un freno (al meglio un contributo nullo) alla crescita. In altre parole, oltre ad aver causato il buco di bilancio, il superbonus provocherà meccanicamente un freno all’economia una volta venuto meno. E’ il controfattuale di un fenomeno che era già stato osservato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio nella sua relazione (inascoltata) del marzo 2023: in quell’audizione l’UPB specificava che una parte consistente degli investimenti nelle costruzioni sarebbero stati effettuati anche senza stimolo fiscale.
Il quadro programmatico
Giustificandosi con l’entrata in vigore del nuovo patto di stabilità, il MEF ha presentato un documento di economia privo del quadro programmatico e con previsioni fatte solo a legislazione vigente. La prassi di non presentare la strada verso la quale il governo vuole andare è propria dei governi dimissionari o il cui mandato è finito per scadenza della legislatura. Per un esecutivo a metà del suo mandato è una resa che indica l’incapacità di governare il bilancio. La scusa della “traiettoria tecnica” che sarà individuata solo a giugno dalla Commissione non sta in piedi. I contenuti del PCS si conoscono e obiettivi di medio termine del deficit sono assolutamente calcolabili.
Con questa bandiera bianca il governo, che aveva promesso di riconquistare un’autorevolezza perduta e “spezzare le reni” ai detrattori, si dichiara in balia dei suoi errori e di quelli dei governi precedenti.
Il taglio delle tasse
Nonostante le premesse fosche Giorgetti e Leo non hanno evitato di promettere la conferma del taglio Irpef per il 2025. Servono circa 15 miliardi che già ora non ci sono e il combinato di maggior indebitamento+rallentamento del ciclo economico rende molto probabilmente questo calcolo insufficiente. Le stime per il 2024 prevedono una crescita del Pil dell’1% nel 2024, dell’1,2% nel 2025 e dell’1,1% nel 2026. I numeri dell’economia stagnante a cui siamo abituati da oltre 30 anni. Come per quel 1,2% previsto nella NaDef di settembre anche questi numeri sembrano abbondantemente ottimistici. La banca d’Italia nel bollettino economico di marzo prevede una crescita molto più realistica dello 0,6%.
Sul fronte delle risorse da reperire per attuare il taglio delle tasse non si potranno usare le eventuali entrate da privatizzazioni (20 miliardi in 3 anni) destinate alla riduzione del debito. Le entrate fiscali sono già al limite (+24 miliardi rispetto al 2022). Insomma, non ci sono soldi: no hay plata.
Il problema PNRR
Chi scrive, e in generale tutto il collettivo di economisti di Liberi Oltre, aveva messo in guardia dal rischio enorme rappresentato dal sovraindebitamento dovuto dal PNRR.
Lungi dal fare da stimolo alla crescita, l’inefficacia delle riforme contenute nel Piano cui questo Paese è refrattario, sarebbe restato solo il fardello di un debito aggiuntivo di 230 milliardi. Il PNRR presentato dal governo Draghi prevedeva una crescita aggiuntiva 2.4% a fine 2024 e del 3,6% cumulata a fine 2026; numeri smentiti dall’osservazione empirica e ormai totalmente irrealistici.
Dei circa 110 miliardi già ricevuti attraverso 4 anticipazioni, le amministrazioni italiane sono riuscite a spenderne solo 46. Molti progetti sono fermi, le riforme mancanti neanche all’orizzonte. Un esempio plastico della pietrificazione dell’economia lo si trova nel fermo del più grande cantiere aperto con i soldi europei, la diga foranea di Genova; una maxi opera del costo stimato di 1,3 miliardi bloccata per irregolarità.
Di fronte a queste prospettive Giorgetti ha annunciato di voler proporre (e di aver già proposto) alla Commissione uno spostamento oltre il 2026 delle scadenze. Confida forse nel capitale politico a rischio della commissione uscente, oppure in una commissione entrante ancor più benevola. Ma se dalle urne di giugno venisse fuori una commissione composta da Paesi “amici” di questa maggioranza le possibilità di uno sconto sulle scadenze del debito europeo (in particolare dei Paesi “frugali”) è pari a zero. In ogni caso il Commissario agli affari economici Gentiloni ha già risposto che la scadenza del 2026 è improrogabile.
C’è un’ulteriore eventualità trapelata nel rispondere ad una domanda di un inviato stampa: che Giorgetti si dimetta dal ministero di via XX settembre per essere indicato dal governo per la prossima Commissione Europea. In questo caso sarebbe egli stesso chiamato a pronunciarsi su una richiesta avanzata dal suo governo; solo che i commissari, sebbene indicati dal loro Paese, non possono difendere interessi di una parte ma devono svolgere il loro compito nella correttezza istituzionale e a difesa degli interessi dell’Unione Europea intera. Detto altrimenti il Commissario Giorgetti dovrebbe dire di no al ministro Giorgetti. Un danno alla credibilità politica forse ancora maggiore del danno alla credibilità economica.
Conclusioni
Nel 2022 questa coalizione si era presentata agli italiani con lo slogan “Siamo pronti”. Non lo erano.
Certo non era stata prevista, se non da pochi, la voragine dei bonus edilizi, ma questo non assolve Fratelli D’Italia, Forza Italia e Lega che, ricordiamolo, erano a favore del superbonus e ne chiedevano nei loro programmi elettorali conferma ed estensione.
Si conferma dunque la validità di 2 regole: