“From Russia with Love”. Tradotto, “Dalla Russia con Amore”, questo è il nome che il Cremlino dette alla missione militare che inviò in Italia nel marzo 2020, nel pieno della prima ondata pandemica di COVID-19. Ma fu veramente l’amore a motivare le azioni di Mosca? A detta di Putin e dell’allora Premier Conte, gli scopi della missione erano puramente umanitari, ma analizzando la questione vi sono numerosi aspetti che sollevano ragionevoli dubbi sugli intenti del contingente russo che atterrò a Pratica di Mare la sera del 22 marzo 2020. A onor del vero, il COPASIR – il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica – sta tuttora indagando sulle controverse dinamiche della vicenda, perciò le riflessioni che verranno presentate in questo articolo hanno lo scopo di informare il lettore sui fatti finora emersi, affinché quest’ultimo possa poi giungere autonomamente a delle conclusioni.
Tutto è iniziato da una telefonata tra Conte e Putin avvenuta in data 21 marzo 2020. Come di consueto quando vi è una telefonata tra due alte cariche di stato, i dettagli e i contenuti della chiamata sono stati perlopiù mantenuti riservati e la stampa fu semplicemente informata del fatto che Putin si fosse offerto per inviare aiuti umanitari in Italia.
Sta di fatto che meno di ventiquattro ore dopo, alle 21:15 del 22 marzo 2020 atterra presso la base militare di Pratica di Mare il primo di tredici quadrireattori Ilyushin Il-76md. In un’intervista rilasciata al Foglio, lo stesso Generale Vecciarelli – capo di stato maggiore della Difesa durante il secondo governo Conte – racconta che il contingente dispiegato da Mosca destò una certa preoccupazione in lui in quanto, più che di una spedizione di aiuti sanitari, si trattò di un dispiegamento di forze militari a tutti gli effetti. I dati ufficiali riportano che il contingente russo contava 104 individui in totale, di cui 32 unità di personale sanitario (28 medici e 4 infermieri), mentre i restanti 72 uomini erano soldati delle forze armate russe. A capo della missione russa vi era il Generale Sergej Kikot, il quale – stando a ciò che riporta il Foglio – sostenne che i suoi uomini fossero stati autorizzati a muoversi liberamente entro tutto il territorio nazionale italiano grazie ad un “accordo politico di altissimo livello”. E l’ex membro del CTS Agostino Miozzo ha dichiarato che tra le richieste dei russi vi fosse quella di sanificare alcuni uffici pubblici, la quale fu respinta. Non solo. Raggiunto dal Corriere della Sera, l’attuale segretario generale della Difesa, Generale Luciano Portolano, che al tempo era a capo del Comando Operativo Interforze, ha spiegato di aver discusso con il Generale Kikot. Il comandante russo sosteneva appunto di avere un nulla osta per spostarsi in tutta Italia e, dopo aver “bonificato” la Lombardia, cercò di far spostare il contingente russo in Puglia. Una richiesta alquanto strana considerando che, come fa notare Luca Roberto de Il Foglio, al tempo nella suddetta regione i contagi da COVID-19 erano quasi inesistenti. Curiosamente però, ad Amendola, in provincia di Foggia, si trova il più grande aeroporto militare d’Italia.
Riassumendo, due sono le domande per cui dobbiamo cercare una risposta. La prima, gli aiuti russi sono stati davvero un gesto mosso da un innocuo senso di generosità? E la seconda, l’assistenza offerta da Mosca è effettivamente servita a qualcosa? Il Corriere della Sera fa presente che il mantenimento dei 104 militari russi è stato a carico del governo italiano, il quale ha speso più di tre milioni di euro tra vitto e alloggio per il personale e il carburante per i tredici quadrireattori impiegati per il trasporto. Tredici quadrireattori che non sono serviti a trasportare 104 soldati, ai quali sarebbe probabilmente bastato un solo aereo, bensì a far sbarcare alcuni mezzi Kamaz riadattati per la sanificazione del suolo.
In altre parole, si trattava di mezzi che spruzzavano candeggina sulle strade, una pratica che non ha alcun effetto se non quello di inquinare. I russi portarono in Italia anche del materiale sanitario e il Corriere della Sera racconta che si trattò di “521.800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1.000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10.000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali”. A primo impatto questi sembrano dei numeri esorbitanti, ma lo stesso giornale fa notare che la quantità di materiali donatici da Mosca non bastasse a coprire il fabbisogno sanitario di mezza giornata.
Come anticipato nel primo paragrafo, le informazioni sul caso accessibili al pubblico sono poche e non sempre verificabili, e le indagini del COPASIR sono tuttora in corso. Pertanto, al fine di essere intellettualmente onesti, bisogna dire che non abbiamo le prove per affermare che dietro la missione di Mosca vi fosse un tentativo di spionaggio. Tuttavia, si può altresì escludere l’ipotesi che i russi siano stati particolarmente generosi e vi sono ragioni per credere che l’operazione avesse scopi propagandistici più che umanitari.