Escargot, vestali della scuola e adverse selection

Brevi considerazioni a margine delle live “La mala educasión” del canale Agorà/LiberiOltre. Suggeriamo di mettere all’o.d.g. tre questioni: il reclutamento degli inse­gnanti, caratterizzato da una “selezione avversa” (abile sfruttamento supply-side dell’asimmetria informativa), la riparazione delle facoltà umanistiche, di­venute refugium peccatorum e quindi spesa improduttiva, l’oblio dell’argomentazione e della ricerca di senso in allievi un po’ troppo “transhumanist” (O’Connell 2017). Insegnanti capaci (incentivati!) e studenti realmente introdotti all’avventura intellettuale rimangono fattori capitali della formazione.

 

Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem,raccomandava Guglielmo D’Ockham, e qui un pizzico di necessità c’è, se nei dibattiti sull’istruzione (vedi gli ottimi live nel canale Agorà di LiberiOltre) si sente talvolta la mancanza di un chairman che prepari una scaletta degli entia sempre più numerosi che collabo­rano allo sviluppo di un fenomeno, e metta in conto l’immissione del fattore umano, un ostacolo al lavoro dell’osservatore, in dubbio sulla sua ingerenza nell’esperi­mento come nei primi vagiti della quantistica.

Questo per dire che ci sono elementi che si offrono volentieri all’indagine quantitativa e altri per cui è auspi­cabile un po’ dell’“immaginazione sociologica” del Wright Mills di White Collar (1951), dove venne scattata una (ingiallita?) istantanea degli insegnanti, sbiaditi esemplari della middle class americana, “proletariato economico dei professionisti” (le “vestali” di cui scrivevano da noi Barbagli e Dei nel 1969), dai tratti popolani e rurali, “plebeian cul­tural interests outside the field of specialization, and a generally philistine style of life”.

La situazione negli anni si è talmente complicata che siamo arrivati all’applica­zione dell’adverseselection - quella illustrata da George Akerlof nel classico Market for “Lemons” (1970) - grazie a cui una scaltra burocrazia ha sfruttato a suovantaggio le opportu­nità della “selezione avversa”. Non sapendo, o meglio nonvolendo, distinguere tra persone di valore e incapaci, differenziando retribuzioni e carriere, la burocrazia ha deciso di comportarsi come le ditte americane descritte da Akerlof, allorché gli agenti economici approfittavano dell’asimmetria informativa sui fattori di rischio per massimizzare i profitti. Acquistando un tanto al chilo, come un concessionario di auto usate che non sappia valutarle, il sistema dell’istruzione pubblica è stato organizzato con prezzi sotto mercato, funzionali ad attirare i rigattieri e allontanare quelli che hanno un’auto buona.

Che si trovi qui, in occhiute politichedel personale, la causa della decimazione dei lavoratori con buoni skill e dell’esubero di scartine, all’interno di un “quasi-mercato” (Somaini 1997) incapace di valutare i prodotti sul bancone? Cipollone e Sestito (2010) han­no constatato sbalorditi come, nonostante i bassi livelli di competenze degli al­lievi, gli italiani apprezzino le scuole molto più degli altri paesi OCSE, guarda caso quelle scarse nei test Invalsi ma di manica larga con i 100 e lode. Insomma, studenti e famiglie non si rendono conto di quanto i loro istituti siano buoni o scadenti, interessati alla promozione e al valore legale del pezzo di carta, sebbene privo di utilità segnaletica per il mercato del lavoro odierno.

Sembrerà bizzarro, ma, riemerso per caso “da un’infinità di tempo”, come la filippina di Montale in Satura, è capitato a fagiolo un saggio su Petrarca del filologo M. Pastore Stocchi, che può darci un’idea dei cambiamenti. Ivi ci accolgono frasi quali “farmacopea sentimentale”, “mansuetioresMusae della filosofia”, “blanda rusticatio” e così via, che si sciroppavano come niente per l’esame. La restante bibliografia era più o meno sulla stessa lunghezza d’onda: greco e latino nudi e crudi, prosa iperculta, lessico esoterico: gli studentelli, pe­dalare. Facciamo uno stacco brutale, e in un recente manuale universitario sui principali autori italiani siamo assediati da note per tutti i termini che esorbitano dalla ciàcola in pizzeria (Berardinelli 2022). “Don’t teach your grandmother to suck eggs”, sbottava invece Donald J. Gordon, il maestro di Meneghello a Rea­ding, quando volevano spiegargli l’ovvio. Che tempi: ora sembra che quasi tutto nella scuola sia regre­dito al Kindergarten. Ma è proprio così?

La letteratura sull’argomento è smisurata e monotona, larga com’è di diagnosi e carente di prognosi e terapie attuabili, che spetterebbero ai politicieai gradi apicali della P.A., oppure a eventuali minoranze organizzatee sanculotte, di cui non si hanno notizie. “A ogni compito corretto si rafforza in me la consa­pevolezza che non è solo la storia a uscirne umiliata, ma anche la geografia […] e la stessa lingua italiana”, lamenta M. De Nicolò (2020), docente all’Università di Cassino, il quale allega un florilegio di sfondoni ai suoi esami, dai p. remoti “infliggerono” e “nacquerono”, al “new dilan” di Roosevelt e alla bomba atomica “sganciata su Kawasaki”. Il cattedratico, che gestirà un terzo degli studenti di una prof delle scuole medie, si chiede cosa diavolo abbiano fatto prima dell’università, mentre la fantaccina dell’esercito di riserva ricardiano viene impiegata in rigido stilefordista dall’amministrazione. Tutto sommato, la “scuola dei poveri” (Scotto di Luzio 2013), per quanto emiparesica, tira ancora avanti come può, servendo faute de mieux quale sfo­gatoio e disciplinatore giovanile, tipo il servizio militare dei tempi dei boomer. Consiglierei di tenerlo presente, visto che gli escargot da spedire all’università sono stati almeno “spurgati” dalle vestali per essere serviti alla Bourguignonne ai cattedratici: non potrebbe essere anche lui - il De Nicolò - parte del problema, essendo spesa pubblica (improduttiva, rebus sic stantibus)?

La ragione viene rintracciata forse nei posti sbagliati; non credo che Millennials e Z-Gen sia­no immattoniti, ma un po’ suonate sembrano le facoltà di Humanities - al postutto costi da non sprecare e semenzaio di futuri docenti - messe in un an­golo a grattare il fondo del barile dei diplomati per mantenere le catte­dre, i finanziamenti, i PRIN (Giunta 2017). Le stupidaggini riferite da De Nicolò non sono tanto figlie di una “controcultura” basata sull’indifferenza o su “un’aperta ostilità nei confronti della cultura” (Brevini 2021), quanto della débâcle dei sa­peri non tecnico-scientifici, rimasti, tipo la bruttina in discoteca, l’extrema ratio per non andare in bianco, senza un “titolo di studio”. Se gli STEM si riveriscono e sono in crescita, ragionamento, immaginazione, linguaggio sono do it yourself: niente greco e latino, storia non pervenuta, leggere propria sponte neanche a parlarne, disturbi dell’area di Wernicke per sovraesposizione digitale, comuni­cazione basic e graforroica.

Certo, segni dei tempi: però sono le “basi” di paper in cui, come ha osservato Cipollone (2010), si coglie una ten­denza comune a molti scolari; “quando si spiegano, non sanno dove vogliono an­dare a parare”, cioè l’immancabile “Prof, ma cosa devo scrivere?” delle bimbe nei licei-discount alla lettura delle “tracce di maturità”. Anni di tutorial an­che su come soffiarsi il naso, e poi procedure, sequenze, istruzioni step by step e ti credo che sono nel marasma per arrangiarsi a buttare giù due righe con un minimo di autonomia.

La disobbedienza e la conseguente li­bertà di esplorazione sono andate a farsi benedire, e a remengo è andato il parrici­dio edipico, grazie a cui si evitava il doublebind identitario (“diventare se stessi” scopiazzando), favorendo l’emancipazione e l’azzardo innovatore. Sul nostro conservatorismo, tutt’altro che esclusiva  delle scienze umane (Fuggetta 2020), troppe cose da dire: i lavori non mancano, e una googlata potrebbe essere utile per raccogliere le idee (Robinson 2006).

 

 

Bibliografia:

Akerlof G. A. 1970: “The Market for ‘Lemons’: Quality Uncertainty and the Market Mechanism”, in TheQuarterly Journal of Economics, vol. 84, n. 3 (August 1970).

Akerlof G. A., Kranton Rachel E. 2002: “Identity and Schooling: Some Lessons for the Economics of Education”, in Journal of Economic Literature, vol. 40 (December 2002).

Barbagli M., Dei M. 1969: Le vestali della classe media. Ricerca sociologica sugli insegnanti, Bologna, il Mulino.

Berardinelli A. 2022: “Se leggi troppo rischi di ingrassare”, in Il Sole 24 Ore Domenica, 16 gennaio.

Brevini F. 2021: Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? La crisi dell’autorità culturale, Milano, Raffaello Cortina.

Cipollone P., Sestito Paolo 2010: Il capitale umano, Bologna, il Mulino.

Cipollone P. 2010: “Vocaboli, congiuntivi, apostrofi. Allarme dai test”, in Corriere dellaSera, 20 settembre.

De Nicolò M. 2020: Formazione. Una questione nazionale, Roma-Bari, Laterza.

Fuggetta A. 2020: Il paese innovatore. Un decalogo per reinventare l’Italia, Milano EGEA.

Giunta C. 2017: E se non fosse la buona battaglia? Sul futuro dell’istruzione umanistica, Bologna, il Mulino.

Meneghello L. 1993: Il dispatrio, Milano, Rizzoli.

O’Connell M. 2017: To be a Machine, London, Granta.

Robinson K. 2006: Do schools kill creativity? TED 2006, https://bit.ly/3Kf1nWU.

Scotto di Luzio A. 2013: La scuola che vorrei, Milano, Bruno Mondadori.

Somaini E. 1997: Scuola e mercato. Problemi e prospettive dell’istruzione in Italia, Roma, Donzelli.

Wright Mills C. 1951: White Collar. The American Middle Classes, New York, Oxford University Press.

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