Nella serata del 15 settembre è andata in scena la spettacolare presentazione del bilancio dello Stato per il 2025 da parte del Presidente Milei. Come c’era da aspettarsi il discorso non è stato privo di colpi di scena e battute tra l’Esecutivo e i banchi dell’opposizione. Il tutto intermezzato da cori, grida da ambo i lati dell’emiciclo, con la partecipazione del Presidente, che non si è sottratto al gioco. Ma il discorso è stato al tempo stesso ricco di contenuti ed ha ribadito ancora una volta l’impostazione ortodossa con cui il Governo intende gestire l’economia.
Quando si rileggono le parole con più calma, smorzata l’euforia pungente che si può respirare seguendo la scena, risulta chiaro come più che la presentazione concreta del bilancio che il Congresso dovrà approvare, il tutto sia alla fine una lezione di liberalismo da manuale; se non anche un discorso alla Nazione fatto da chi non avrebbe sofferto di aspettare fino a Capodanno.
La proposta di bilancio elaborata dell’Esecutivo, che il Presidente definisce la più radicalmente distinta della storia argentina, ha come pietra basale un concetto che potremmo definire il fil rouge di tutto il discorso: il deficit zero.
La storia economica argentina ha poca familiarità con questo concetto, avendo passato la quasi totalità della propria storia moderna in disavanzo fiscale.
Lo schema di causa-effetto elaborato da Milei è a tratti banale, ma fortemente esplicativo. Quando un governo vuole spendere più di quanto incamera ha davanti a sé due soluzioni: alzare le tasse o chiedere prestiti. Nella situazione argentina, dove il margine per alzare le tasse si è praticamente azzerato, non resta che la seconda opzione. Chiesti i prestiti, ma continuata la spesa al di fuori delle proprie possibilità, non resta che imprimere più moneta, cosa che permette nell’immediato di essere solventi, ma questo sulle spalle dei cittadini a cui vengono rubati soldi per mezzo del signoraggio. Portato questo ragionamento alle estreme conseguenze, alla fine arriva il default - condizione non esattamente estranea agli argentini -, cosa che genera la fuga di capitali. E tutta questa concatenazione di eventi dà come risultato uno Stato con un disperato bisogno di credito, a cui però viene negato per l’insicurezza che genera investire in quello che sembra un pozzo senza fondo.
Come abbiamo menzionato all’inizio, il perno della proposta di bilancio è evitare in qualunque modo il deficit fiscale, in quanto quest’ultimo produce il debito, che a sua volta causa l’impressione di moneta, che genera l’inflazione, che equivale a dire l’impoverimento generale (e particolare dei redditi medio-bassi).
Per questa ragione il Governo si riserva di approvare solamente quelle proposte di innalzamento della spesa pubblica che conterranno la spiegazione di quale voce ridurre per coprire tale aumento.
Gli obiettivi fin qui proposti si reggono su un meccanismo che potremmo quasi definire aritmetico: il livello di spesa pubblica da erogare sarà condizionato dall’avanzo primario da conseguire, che a sua volta sarà condizionato dalle entrate al netto degli interessi da pagare sul debito. Per dirla in maniera più semplice, una volta pagati gli interessi sul debito si vede quanto resta (ovvero qual è l’avanzo pubblico), la spesa può essere equivalente o inferiore a questa cifra, ma mai superiore.
Prosegue poi Milei nella spiegazione, quasi avesse rivestito per un attimo i panni da professore di economia, che la spesa pubblica argentina si divide in due parti, una automatica, e l’altra discrezionale. La prima è indicizzata all’andamento dell’inflazione, la seconda è fissa. Qualora le entrate fossero superiori al previsto, la spesa automatica potrebbe salire, mentre quella discrezionale rimarrebbe fissa.
Nello schema elaborato, si possono verificare tre scenari. Ad un aumento transitorio delle entrate, lo Stato può trattenere pesos o cancellare debito, cose che portano ad un abbassamento dell’inflazione. Se la crescita si dimostra invece strutturale, i benefici saranno più evidenti, dato che si vedrebbe un abbassamento delle tasse. Nello scenario peggiore, quello in cui le entrate siano inferiori al previsto, cadrà la spesa automatica e si ridurrà quella discrezionale.
Il risultato invariante in ognuna di queste tre ipotesi è sempre il deficit zero: sia quale sia la situazione economica, il surplus è garantito.
A questo punto Milei ci illustra quali sono a suo giudizio gli unici tre compiti dello Stato: assicurare la stabilità macroeconomica, le relazioni con l’estero e il dominio della legge. Da buon liberale classico tutto d’un pezzo, qualsiasi altra questione può essere risolta dal mercato o dai governi subnazionali (il sistema provinciale in Argentina). E allo stesso tempo, da buon economista, si sofferma molto più tempo sulla prima che sulle rimanenti.
D’altronde, in uno scenario particolare come è la politica argentina, Milei ha gioco facile per andare in Parlamento a fare lo Zarathustra e dire quello che il cittadino sa e fa ormai da anni. Nel 2024 chiunque può aprirsi un conto all’estero senza muoversi di casa, per questo l’imperativo dev’essere in primis rendere economicamente attrattiva l’Argentina per i suoi stessi abitanti. L’unico modo però per favorire gli investimenti è ridurre l’ammasso di regolamentazioni, permessi e costi che finora ha fatto da barriera.
In conclusione il Presidente rivolge due appelli, uno ai governatori provinciali (si ricordi che l’Argentina ha un sistema federale in cui le Province hanno facoltà di spesa) e l’altro al Congresso stesso. Ai primi ricorda che il popolo argentino non accetterà che a una riduzione della spesa pubblica federale corrisponda un aumento di quella provinciale; mentre ai legislatori prospetta l’opportunità, o meglio l’obbligo, di sfruttare il momento per cambiare le cose, prima che sia troppo tardi.
Il discorso è stato poi condito con pathos e un piglio che gli argentini e il mondo hanno ormai imparato a riconoscere. Non sono mancate frasi a effetto come: “Governare non è amministrare lo Stato, governare è rimpicciolire lo Stato per ingrandire la società”; “Se il ciclo economico non è di origine reale, ma è generato dallo Stato, è la stessa cosa che accettare che un mafioso ci rompa le gambe per venire poi a offrirci le stampelle. Non vogliamo le stampelle dello Stato, vogliamo vivere in libertà! Non vogliamo che ci rompano le gambe!”; “Gli stupidi ignorano la realtà, i folli la negano, coloro che scommettono sul successo la accettano e la risolvono”.
Imperdibili i battibecchi con l’opposizione a cui spesso Milei si è rivolto in modo polemico, oltrepassando il limite che l’Istituzione gli imponeva. Il tutto si è svolto in un clima piccante, ad esempio quando il Presidente provoca i banchi del Giustizialismo(1) dicendo: “Voi da questo potete anche astenervi, so che fate i calcoli con difficoltà”, al chè il capo dell’opposizione, Germán Pedro Martinez, lo sfida a parlare senza leggere, Milei non si fa cogliere impreparato rispondendo a tono: “Guarda, che io legga o no, tu continui a fare i calcoli con difficoltà Martinez”. Allo scambio di battute è corrisposta ovazione dai banchi filogovernativi, applausi generali dal pubblico e ovviamente le dure critiche dal lato sinistro dell’emiciclo, il tutto in clima che però non ha mai ecceduto il limite ed è invece sempre rimasto nel goliardico sberleffo.
Ovviamente non sarebbe stato un discorso del loco senza qualche stranezza che fa storcere il naso ai suoi detrattori. Si va dagli slogan consolidati - ma con qualche novità -: “Non sono venuto a guidare agnelli, ma a svegliare leoni” a cui ha aggiunto: “e se non lo avete visto o non volete vederlo, i leoni si sono svegliati”; al solito ed immancabile: “¡Viva la libertad, carajo!” a cui i banchi a destra dell’Esecutivo rispondono in un clima da stadio con: “¡Viva!”; fino a giungere ad un’insolita citazione(2) ad un Cicerone oeconomicus, liberista ante litteram. Peccato che la frase non venga dal famoso Arpinate, bensì dal romanzo storico La columna de hierro, datato 1965. Per carità, la citazione ha i suoi anni, ma non certo i 2000 che le attribuisce Milei. Per la fortuna degli argentini continuerà a occuparsi di politica ed economia, lasciando da parte avventurose incursioni nella filologia classica.
Nello snodo argomentativo non sono mancati neppure i riferimenti alla riduzione della criminalità, e ad altri successi che il Governo si attribuisce, ma in un discorso incentrato pienamente sull’economia sono sembrate più giustapposizioni che altro.
Traendo le somme, il caso argentino è emblematico di per sé, a partire dal leader che sta guidando questa rivoluzione. Un personaggio indubbiamente carismatico, ma anche contraddittorio, cristiano ma non cattolico e praticante l’ebraismo; un politico pronto a chiamare “rappresentante del maligno” il connazionale residente in Vaticano per poi farci la pace a una settimana dall’assunzione come Presidente. Insomma, non sarebbe l’Argentina se non ci fosse un po’ di dramma in questa complessa storia, figlia di anni di malgoverno e violenza, ma che ora forse si apre ad una strada di possibile stabilità per il popolo del Río de la Plata, incrociamo le dita per loro.