La dispersione scolastica è da tempo uno dei principali problemi del nostro paese, manifestandosi sia in forma esplicita (giovani che abbandonano precocemente gli studi) sia in forma implicita (studenti che conseguono il titolo senza acquisire le competenze di base). Negli anni sono stati messi in atto numerosi interventi per contrastarla, e sebbene ci siano stati miglioramenti tangibili, rimaniamo ancora indietro rispetto ad altri paesi europei. Proprio per questo, uno degli obiettivi prioritari del PNRR è la riduzione strutturale della dispersione scolastica.
A che punto siamo? Ne parliamo con Mauro Piras, Docente di Scuola Superiore che scrive sulla tematica da tempo e tra i fondatori del gruppo "Condorcet. Ripensare la Scuola".
Mauro Piras è dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo Masaccio di Firenze, ha insegnato per vent'anni nei licei ed ha pubblicato saggi di filosofia politica e politica scolastica. È tra i fondatori del gruppo "Condorcet. (Ri)pensare la scuola". Con lui, dati alla mano, parliamo di uno dei fenomeni più dilaganti, preoccupanti e deleteri del sistema scolastico del nostro paese per capire cosa c’è davvero dietro: la dispersione scolastica.
La dispersione scolastica è un termine generale con cui in realtà si fa riferimento a due situazioni:
Secondo i dati Eurostat elaborati da Save The Children nel 2021 il tasso di dispersione esplicita era del 12,7%, mentre quella implicita - dato più difficile da rilevare - era del 9,7% [1].
La dispersione scolastica di cui si parla molto è la dispersione esplicita ed è quel dato che viene comunicato normalmente dall’Unione Europea attraverso Eurostat e altri uffici statistici. Come si calcola?
Si prendono i giovani nella fascia d’età 18-24 anni e si cerca di vedere quanti di loro non hanno né un diploma di scuola superiore né una qualifica di formazione professionale almeno biennale.
La formula che viene usata per rappresentare questo dato è ELET cioè Early leaver from education and training e sostanzialmente si riferisce a chi non ha concluso il ciclo della scuola secondaria di secondo grado.
Questo calcolo è molto utile perché permette di capire nel concreto com’è la situazione della dispersione scolastica e quanti giovani non siamo riusciti a formare, ma non mostra alcune variabili particolari e non ci permette di vedere cosa succede durante un anno scolastico e tra un anno scolastico e l’altro, dunque quanto il sistema scolastico fallisce mentre agisce.
L’analisi degli ELET viene condotta regolarmente da più di 20 anni, cioè dall’inizio degli anni 2000 ad ora, e l'Italia è sempre stata al di sopra della media europea mostrando nel concreto sempre maggiore dispersione. Ma nonostante questo, dei miglioramenti nel corso del ventennio ci sono stati.
Comunemente siamo soliti parlare della “scuola di una volta” in termini positivi, idealizzando il periodo e parlandone come una sorta di età dell'oro che si è persa, ma, andando a vedere i dati, questa cosa viene smentita.
Il suddetto grafico riporta il tasso di scolarità in Italia dal 1951/52 al 2013/14: attraverso questi dati possiamo notare come la scuola del passato fosse una scuola in cui i giovani di età compresa tra i 14-18 anni non arrivavano a frequentare la scuola secondaria di secondo grado e raggiungevano forse la licenza media per poi andare lavorare, o comunque non si continuava a studiare. C’è stato però un progressivo miglioramento dopo la riforma Berlinguer (legge 30/2000, riforma arenata ma da cui è rimasto il concetto di portare l'obbligo scolastico dai 14 ai 16 anni, per poi fare un passo indietro con la “legge Moratti” 53/2003) grazie alla quale si è raggiunto stabilmente un 93% di studenti iscritti alla scuola superiore. Seppur i dati nazionali presentino in realtà delle differenze regionali, generalmente possiamo dire che oggi quasi tutti i giovani tra i 14-18 anni frequentano la scuola superiore, cosa che prima non avveniva.
Anche guardando i dati relativi al tasso di conseguimento del titolo di scuola secondaria di secondo grado dal 1949/50 al 2013/14 notiamo un miglioramento: analizzando le serie storiche ISTAT di lungo periodo, si può notare che nel 2013-14 quasi l'80% dei 19enni otteneva il diploma, e oggi questa percentuale è probabilmente ancora più alta.
Per quanto riguarda i dati relativi agli ELET abbiamo un dato ventennale che nel seguente grafico si ferma al 2020 ma sappiamo che secondo i dati Eurostat 2021 elaborati da Save the Children - precedentemente già osservati - la percentuale si aggira intorno al 12,7%: abbiamo dunque un passaggio dal 23,1% del 2004 al 12,7% del 2021 che certifica il miglioramento nella riduzione della dispersione scolastica (cosa che viene confermata anche dai dati del 2022 e 2023 in cui abbiamo rispettivamente una quota ELET del 11,5% e 10,5% secondo i dati Eurostat)
I dati ci comunicano che la dispersione scolastica è sì un problema - forse il problema principale della scuola italiana - ma su questo aspetto ci stiamo lavorando e ci sono infatti degli evidenti miglioramenti. Il nostro obiettivo ora è quello di raggiungere una percentuale inferiore al 10% per adattarci alla media europea.
Questo grafico è importante perché ci permette di notare che gli studenti di cittadinanza straniera hanno un dato di abbandono scolastico molto più alto rispetto agli studenti di cittadinanza italiana: nei fatti vediamo la quota di ELET con cittadinanza straniera arrivare al 35-36%, invece gli italiani arrivano all’11% (secondo il report del 2020). Si tratta di una percentuale altissima che rispecchia la situazione che vediamo tutti i giorni e che ci comunica che essere cittadino italiano o cittadino straniero incide e porta a un gap abbastanza costante nel tempo.
Dunque, un ulteriore obiettivo è quello di fare avvicinare le due curve e ridurre questa grossa differenza di percorso scolastico tra italiani e stranieri.
Si ricordi però che i dati ELET fanno riferimento all’abbandono scolastico e quindi solo alla dispersione scolastica esplicita. Non bisogna sottovalutare la dispersione scolastica implicita che va sommata al problema di abbandono esplicito. A proposito di questo, mentre possiamo dire di aver riscontrato miglioramenti nella dispersione esplicita, non possiamo dire lo stesso per la dispersione implicita, che è anzi peggiorata durante il periodo COVID, e ce lo mostrano alcuni dati.
Il concetto e il calcolo della dispersione implicita è stato presentato nel 2019 con il rapporto INVALSI 2019 accompagnato da un articolo di R. Ricci.
Come affermato nell’Editoriale, per dispersione implicita intendiamo una “quota non trascurabile di studenti che terminano il loro percorso scolastico, ma senza raggiungere, nemmeno lontanamente, i traguardi minimi previsti dopo 13 anni di scuola” ovvero quegli studenti che al termine del quinto anno di scuola superiore sulla base dei test INVALSI risultano essere fermi al massimo al livello 2.
Cosa significa questo? Le competenze INVALSI sono graduate da 1 a 5 e, come spiegato nell’Editoriale…
Il che vuol dire che tutti quelli che si collocano tra il livello 1-2 hanno delle competenze che non superano rispettivamente il livello della terza media e la seconda superiore pur avendo frequentato i 3 anni di superiori successivi.
Secondo i dati presenti in questo Editoriale sappiamo che nel 2019 - mentre la dispersione esplicita era al 14,5% - la dispersione implicita era del 7,1%. Poi nel 2020 non sono state effettuate le INVALSI a causa del lockdown e successivamente i dati del 2021 e 2022 danno rispettivamente 9,8% e 9,7% registrando così un peggioramento di questo dato.
Questi dati mettono in evidenza che il problema non è tanto l’abbandono scolastico - la dispersione esplicita - ma il livello delle competenze degli studenti (che si è aggravato con il COVID) - la dispersione implicita.
I risultati dell'INVALSI 2023 - GRADO 13 (cioè relative agli studenti dell’ultimo anno della Scuola secondaria di secondo grado) lasciano ben sperare perché registrano un calo della dispersione implicita di 1 punto percentuale, registrando un 8,7%.
L’incidenza degli ELET con aspetti come la cittadinanza, il sesso o l’indirizzo di studio emergono cambiando il metodo di calcolo. Tra i vari metodi ce n’è uno utilizzato da TuttoScuola da diversi anni che consiste nel prendere in esame gli studenti iscritti all'inizio e alla fine di un quinquennio e andando a vedere quanti studenti si perdono durante il percorso. Si tratta di un calcolo piuttosto semplificato perché ad esempio prende in esame solo le scuole statali, ma comunque riesce ad inquadrare bene la situazione e ci permette di notare - distinguendo tra i diversi ordini di scuola - l’incidenza rispetto ai vari indirizzi (ad es. maggiore dispersione nei professionali o nei tecnici) o altri aspetti.
Questa però non è una prerogativa di questo metodo, infatti, anche grazie ai dati che il Ministero raccoglie dal 2015 circa, è possibile notare un altro aspetto particolare come il parallelismo con il problema delle bocciature.
I dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito sono pubblicati relativamente ad ogni anno - ma non ogni anno - sul proprio sito. Sono stati raccolti a partire dal 2013-14 [2] e permettono, analizzando i dati dell'Anagrafe Nazionale degli Studenti, di andare a guardare per ogni anno scolastico…
Dunque, i dati pubblicati riguardano un anno scolastico ma prendono in esame in serie questi aspetti sia per la scuola media che per la scuola superiore. A differenza dei dati ELET che riguardano solo i giovani tra i 18-24 anni questi dati ci permettono di guardare i numeri della dispersione anche nella scuola media.
Oltre all’analisi dei suddetti aspetti è possibile analizzare anche la dispersione in relazione ad aspetti come indirizzi di studio (per la scuola superiore), cittadinanza, sesso, dati geografici come regioni, macroaree, ecc.
Le percentuali che saltano fuori dall’analisi ministeriale sono incomparabili con quelle viste visto finora e con i dati a cui siamo abituati per cui risultano un po' spiazzanti e per comparare bisognerebbe fare un ragionamento differente e complesso che qui verrà tralasciato.
La prima cosa che va notata è che anche questi dati confermano il generale miglioramento. Infatti, prendendo il rapporto che riguarda l'anno scolastico 2018/19 e il passaggio 2019/20 troviamo una pagina riassuntiva che fa vedere come sono andate le cose dal 2013 al 2020 e anche quelli confermano una tendenza generalmente in miglioramento.
Nello specifico, come è possibile vedere dai suddetti grafici parliamo di percentuali che vanno da un 4,6% annuo di perdite nell’a.s. 2014/15 passaggio a.s. 2015/2016 al 3,3% nell’a.s. 2018/19 passaggio a.s. 2019/20. Quindi conferma la tendenza al miglioramento (che è confermata anche nei dati successivi relativi alla scuola di II grado che registrano il 2,3% e un 2,5% causato però probabilmente dall’impatto COVID).
Un’altra cosa che possiamo notare è che anche nella scuola secondaria di primo grado il totale della dispersione scolastica nel 2015/16 era di 1,35% totale per poi scendere allo 0,93% nell’a.s 2018/19. Quindi si conferma anche qui un miglioramento (che anche in questo caso è confermato nei dati successivi in cui vediamo il numero scendere ancora fino allo 0,44% dell’a.s. 2020/21 passaggio a.s. 2021/22) ma rimane comunque un fenomeno che colpisce ed è importante e grave che ci sia una dispersione di diverse migliaia di studenti già nella scuola media.
Guardando alcune differenziazioni interne come quella per cittadinanza notiamo che la dispersione tra gli studenti di cittadinanza straniera è del 3,64% mentre quella tra gli studenti di cittadinanza italiana 0.87%: gli stranieri hanno un tasso di dispersione molto più elevato.
Un'altra cosa che c'è dietro il dato di dispersione è che si vede bene con questi dati ministeriali è quello che succede nei vari anni. Infatti, grazie a questi dati, possiamo notare come il picco della dispersione è nel primo anno delle superiori.
Ricapitolando:
La tendenza generale è migliorata ma alcuni dati che si celano dietro sono rimasti uguali:
Tutto ciò è confermato anche dai dati più recenti relativi al 2019/20 e 2021/22 come si può vedere nei grafici sottostanti che mostrano l’abbandono complessivo nella scuola secondaria di II grado per cittadinanza, anno di corso e di distribuzione geografica:
Nei licei la percentuale di dispersione media in tutto il quinquennio è dell’1,6%, negli Istituti tecnici abbiamo il 3,8%: è più del doppio. Negli Istituti professionali abbiamo poi un numero ancora più preoccupante ovvero il 7,2%.
Nel momento in cui notiamo che la dispersione colpisce così ferocemente gli Istituti tecnici e professionali - che sono quasi il doppio dei tecnici e il quadruplo dei licei - questi numeri ci devono spingere a riflettere sull’importanza di quello che sta dietro al dato generale (il 3,3%). Ci sono delle chiare tendenze strutturali su cui bisogna riflettere e questo è evidenziato anche dal fatto che è una costante che emerge nuovamente anche nel report relativo agli aa.ss. 2019/20 e 2020/21 come riporta l’immagine sottostante.
La dispersione esplicita ed implicita sono una problematica che viene da molto prima del momento della rilevazione al termine delle scuole superiori, cioè avvengono nel passaggio di ciclo dalle scuole medie e nel biennio delle superiori e questo è sintomo della presenza di un'incongruenza nel nostro sistema scolastico.
Per quanto riguarda le scuole superiori l’incongruenza sta in una doppia problematica: la troppa inclusività dovuta al fatto che si boccia sempre meno e la convivenza di questo aspetto con la selettività di un sistema al suo interno troppo rigido. La rigidità consiste nel fatto che i ragazzi a 14 anni hanno degli indirizzi molto diversi tra di loro, con passaggi interni difficili e con molte discipline caratterizzanti.
Nella scuola media invece il problema dell’incongruenza del sistema emerge diversamente: qui c’è un contesto in cui si boccia sempre meno e si fa molta fatica a tenere dentro gli studenti e a fargli acquisire le conoscenze.
Questa osservazione giustificherebbe l'analisi condotta da R. Ricci nell’Editoriale delle INVALSI 2019 sulle ragioni delle precondizioni per la dispersione.
Dunque, nella prima parte del secondo ciclo - cioè nelle scuole medie - le mancate bocciature portano a formare debolmente una parte cospicua della popolazione scolastica perché il sistema è schizofrenico: è al contempo inclusivo e rigido, ed è difficile formare gli studenti più fragili che vengono portati avanti nel percorso scolastico per pietà e così vengono poste le condizioni della dispersione esplicita e poi del fallimento scolastico e formativo di quella implicita.
Si ricordi poi che lo studente, nel momento in cui inizia il percorso nel secondo ciclo, viene improvvisamente catapultato dal mondo della scuola primaria - dal mondo delle maestre dei maestri e di un apprendimento di base - al mondo delle discipline e dei professori in cui deve frequentare 6 ore al giorno per 5 giorni alla settimana a cui va poi aggiunto il tempo da dedicare ai compiti a casa e questa risulta essere un'esperienza pesante anche dal punto di vista psicofisico. Dunque è così che nella scuola media si perde la formazione di base perché impostata in un modo precocemente disciplinare. Inoltre, la presenza del carico dei compiti a casa divarica i destini perché solo gli studenti con genitori con maggiore capitale socio-culturale riescono a seguire i propri figli in questo momento.
“È noto che la condizione socio-economica della famiglia di origine è un fattore determinante dell’abbandono scolastico precoce. Incidenze molto elevate di abbandoni precoci si riscontrano laddove il livello d’istruzione e/o quello professionale dei genitori è più basso. L’abbandono degli studi prima del diploma riguarda il 22,7% dei giovani i cui genitori hanno al massimo la licenza media; incidenze molto contenute di abbandoni, pari al 5,9% e al 2,3%, si riscontrano, invece, per i giovani rispettivamente con genitori con un titolo secondario superiore e genitori con un titolo terziario.”[4]
Il background familiare e in particolare il titolo di studio posseduto dai genitori incidono sul dato degli ELET. Nel 2021 mentre la dispersione generale è del 12,7% per i giovani che hanno genitori privi di capitale culturale - quindi con al massimo la licenza media - la percentuale di dispersione esplicita o ELET arriva al 22,7% per poi scendere a picco per i giovani con genitori con un maggiore capitale culturale che hanno dunque un titolo superiore e terziario: in questo caso parliamo rispettivamente del 5,9% e 2,3%.
Dunque, è paradossale ma per la sua struttura è come se la scuola italiana invece che diminuirlo aumentasse il discrimine sociale e questo è possibile notarlo osservando come già a un certo livello della scuola primaria i destini degli studenti iniziano ad allontanarsi a seconda delle regioni o macroaree per poi aggravarsi con la scuola media e le scuole superiori. Per capire la ragione di questo bisogna mettere in campo alcune ipotesi:
Le suddette cose non sono dunque risposte ma ipotesi e aspetti su cui bisognerebbe lavorare perchè sono cose che potrebbero incidere e creare dei problemi.
Una possibile soluzione a questo è l’abolizione della bocciatura da fare congiuntamente a una riforma dei cicli.
La proposta è quella di abbandonare il modello della ripetenza - o bocciatura nel gergo comune - rendendo più flessibile il sistema.
Ma come è possibile questo? Proponendo una ripetizione delle sole materie in cui non si sono raggiunte le competenze di base previste e continuando ad andare avanti nelle altre per procedere nel proprio percorso scolastico.
Con i dati abbiamo notato che i problemi emergono maggiormente nella scuola media - dove si “prepara il terreno” per il grado di istruzione successiva e la didattica risulta troppo disciplinante e pesante rispetto a quella precedente - e nel primo biennio delle superiori - dove abbiamo il picco di dispersione - e questo deve indurci a riflettere sulla fascia d’età 11-16 che mostra una sua omogeneità dal punto di vista delle caratteristiche di sviluppo psico-cognitivo e normativo (cioè a livello di strutture morali) e a differenziarla dalla fascia successiva, 15/16-18, del triennio delle superiori.
Dunque, la proposta - in relazione a quella dell’abolizione delle bocciature - sarebbe quella di riformare anche i cicli scolastici e avere un ciclo intermedio di 4/5 anni (3 anni delle medie + 1 o 2 delle superiori) a cui far seguire una scuola superiore di 3 anni come è già accaduto in molti paesi come Francia e Polonia. Ovviamente la conseguenza sarebbe la modifica dell’età dell’obbligo che deve essere allineata alla fine di un ciclo.
I problemi strutturali si possono - e si devono - affrontare con una riforma strutturale come questa, che prevede un ciclo intermedio più lungo, omogeneo, centrato sui saperi di base e che porta gradualmente a competenze disciplinari per avere poi il vero lavoro approfondito sulle discipline in un triennio delle superiori dove deve essere prevista anche l’opzionalità.
Il vecchio liceo classico - quello prima della riforma del '62 [6] funzionava essenzialmente per questi motivi:
In poche parole funzionava perché “proteggeva” gli alunni dal cambiamento tumultuoso e improvviso in cui invece oggi vengono buttati i giovani a 14 anni, nel passaggio di ciclo. Ed è questo quello che fanno in molti sistemi europei, in cui è presente un ciclo unico fino a 16 anni - come ad esempio nei paesi scandinavi - o un ciclo intermedio di 4-5 anni a cui poi segue un triennio.
Visti i dati, viste alcune delle cause e delle possibili soluzioni il problema è trovare il consenso per una possibile riforma, costruire un capitale politico e scansare il rischio della morte politica contro cui si imbatte chiunque tenti di avvicinarsi alla politica scolastica in maniera strutturale.
I primi passi per avvicinarsi a un processo così ambizioso ma necessario sono:
Nel concreto di questa situazione l’invito è a cominciare a rendersi conto che la scuola media ha bisogno di potenziare la didattica dei saperi di base evitando la dispersione causata dalla presente struttura multidisciplinare e ad affrontare il tabù della frammentarietà patologica del biennio delle scuole superiori che crea enormi problemi. Ignorare questi aspetti e proporre superflui diversivi come il docente tutor, il docente orientatore, l’apertura delle scuole nel pomeriggio, ecc. non portano a nulla: la situazione presente è quella di una “scuola” come “una guerra” [8] in cui ci sono caduti, dispersi, sopravvissuti e ospedali da campo.
Il sistema scolastico francese è un modello a cui guardare perché l’Italia e la Francia hanno delle storie comuni e dei sistemi simili. La Francia è stata infatti piantata su sistemi rigidi simili al nostro per tantissimo tempo ma a differenza nostra l’ha poi cambiata introducendo la flessibilità e l'opzionalità nelle scuole superiori con un biennio comune e poi in seguito 2 anni di scelta. Quindi, la conclusione è sempre che si possono fare anche degli aggiustamenti parziali ma bisogna accettare che, ormai a questo livello qui, è necessaria una riforma strutturale. Infatti, con il nostro sistema certamente i dati della dispersione miglioreranno (come mostrano già i dati) nel tempo ma quelli della qualità dell'insegnamento - che confluiscono nel problema della dispersione implicita - no, e non sarà colpa degli insegnanti.
Un ulteriore problema a cui porre rimedio è poi quello degli Istituti che andrebbero implementati nella direzione degli Istituti tecnici per poi procedere con la razionalizzazione degli istituti professionali che hanno mostrato un crollo di iscrizioni e anche dei licei andando ad esempio verso un biennio unificato e fare in generale una formazione professionale seria con l’obiettivo di fornire ai diplomati ulteriori sbocchi alla fine del percorso oltre all’università o al lavoro, spingendo invece verso uno studio tecnico di alto livello.
In una situazione come quella descritta emerge più impellente che mai la necessità di riformare. Dal punto di vista politico l'invito è quello di creare una situazione di dialogo e consenso, agire anche con piccole riforme e procedere a quella strutturale. Invece, dal punto di vista analitico è ormai impensabile uscire dalla situazione in cui il nostro sistema scolastico riversa se non con una riforma strutturale piuttosto radicata. In politica ci sono certamente degli equilibri da gestire ma bisogna iniziare a guardare in prospettiva e avere le idee chiare.
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