Giletti, ovvero come il talk show fa propaganda al talk show

Non si può dire che quello andato in scena la sera del 5 giugno sia il fondo del giornalismo televisivo solo perché in Italia non si sa mai se oltre il fondo si scaverà. Tuttavia è un sufficiente punto di non ritorno sul quale fare delle considerazioni.

Naturalmente i principali commenti sono andati alla pseudointervista a Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri russo, alla scelta di Alessandro sallusti di lasciare studio e compenso, alle garbate rimostranze della collega di rete Myrta Merlino. Ma dopo aver detto brevemente la mia sulla patetica scena cui hanno assistito 888.000 spettatori (il 7,1% di share) vorrei sviluppare qualche ulteriore considerazione sull'intera pantomima televisiva andata in onda.

Per 50 minuti Giletti si è lasciato schiaffeggiare (non metaforicamente) dalla portavoce russa. Se non fosse che gli schiaffi fossero diretti anche a tutta la stampa italiana e alle istituzioni europee tutte, Commissario agli affari esteri della UE compreso, la cosa avrebbe poco di commentabile ché ciascuno è libero di coltivare le proprie perversioni, masochismo compreso. Ma, appunto, il Giletti in versione onlyfans di ieri sera, rappresentava disgraziatamente la stampa occidentale tutta, e fra un "Lei ha ragione, l'occidente ha le sue colpe, Lei ha inventato un nuovo modo di comunicare" e altri salamelecchi salivati all'illustre ospite, il già trisospeso giornalista conduttore non è riuscito ad opporre una sola parola, una di ribellione per il trattamento da schiavo ubbidiente che stava subendo. Uno spettacolo triste.

Per sottoposrsi a questa Caporetto comunicativa il nostro ha pensato bene di andare direttamente a Mosca, per fortuna a spese non nostre ma di Cairo. E vengo al punto

Perché affrontare un viaggio verso un Paese in guerra generando inevitabili problemi di collegamento, di ritardo dell'audio e infine di conduzione? La risposta che mi do è quel tipo di scelta è funzionale a due obiettivi precisi e correlati fra di loro: la ricerca dell'empatia verso il giornalismo che finge di essere giornalismo di trincea e l'autopropaganda in un campo del giornalismo pieno di concorrenza. Come vedete voglio escludere un terzo motivo più prosaico, ovvero la gita a scrocco in una delle città più affascinanti del mondo.

Giletti era già stato in Ucraina all'inizio della guerra ma almeno aveva prodotto, accanto ai problemi tecnici inevitabili, un paio di brevi ed inutili reportage dal fronte. La replica moscovita serviva a ribadire l'essere vicino ai fatti e ai luoghi inventandosi (ed attribuendosi) un ruolo ben più nobile che è quello del corrispondente di guerra. Corrispondenti, spesso sconosciuti al grande pubblico, che per amore della notizia e di un mestiere meravigliosamente pericoloso, mettono letteralmente in gioco la loro vita. Dall'inizio di questa schifosa aggressione ai danni del popolo ucraino sono 32 i giornalisti rimasti uccisi mentre svolgevano la loro professione. Ne voglio ricordare alcuni in memoria di tutti: Brent Renaud, reporter statunitense ucciso da colpi di mortaio mentre documentava l'evacuazione di civili da Irpin; Oksana Baulina, giornalista russa del giornale indipendente The Insider; Frederick Leclerc Imhoff, francese della tv BFM, morto il 30 maggio durante l'attacco russo a Severodonetsk.

Ecco, la sceneggiata di Giletti offende una professione e offende chi quella professione, ripeto nobilissima, svolge.


Il secondo punto attiene all'escalation di propaganda russa cui si assiste su tutte le tv nazionali. Dopo aver visto l'anchorman russo Solovyev, il politologo Suslov, la giornalista di Zveda Fridikhson, persino il numero uno della diplomazia del Cremlino Lavrov, e posto che lo "scoop" del secolo sembra per ora inavvicinabile, Putin, cosa c'è di meglio per spostare in là i confini di questa corsa assurda a chi ospita il propagandista più feroce se non andarlo ad omaggiare direttamente a casa sua? Gli è andata male è vero, ché Zakharova era in collegamento skype (altro elemento surreale) ma questo è.

Occorre chiedersi seriamente se è tollerabile una tv che ricorre a questi mezzi. Lungi dal voler persare a qualsivoglia forma di censura, esiste un Testo Unico del Giornalismo che al punto 1 dichiara che è obbligo inderogabile del giornalista il rispetto della verità sostanziale dei fatti; non c'è dunque spazio per fake news e propaganda e qualora ci siano è suo dovere correggere l'intervistato.

Da troppo tempo questo non avviene, e non avviene che l'ordine professionale richiami i suoi iscritti a questo imperativo.

Ad un certo punto Giletti ha avuto un malore, forse il freddo, forse la stanchezza, forse gli schiaffi che ha preso da tutti. Il malore rappresenta plasticamente lo stato di salute del giornalismo televisivo.

Parafrasando una celebre frase di Woody Allen la verità è morta, l'Ucraina sta morendo e anche la stampa non si sente troppo bene.

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