Il governo si divide tra l'ottimismo per un possibile rimbalzo dell'economia su base trimestrale superiore alle aspettative (rammentate che anche un gatto morto, se lanciato da altezza sufficiente, rimbalza) e l'esultanza per una caduta del PIL 2020 che potrebbe essere "ad una sola cifra" (una cosa tipo -9% invece di <-10%).
La stampa è occupata raccontare un referendum nel quale, caso più unico che raro, entrambe le alternative disponibili risultano imbarazzanti da sostenere, la riapertura delle scuola colorita dal folklore dei banchi a rotelle e dalla sovrapposizione con elezioni amministrativa tanto rilevanti sul piano politico da far slittare in gennaio il piano del governo sul recovery fund
Come il ragazzino della fiaba di Hans Christian Andersen, la Banca d'Italia in una audizione tenuta da Fabrizio Balassone, Capo del Servizio Struttura economica, davanti alla Commissione V della Camera dei Deputati (Bilancio, Tesoro e Programmazione) ci ricorda che i vestiti nuovi del Governo conte non sono invisibili agli stolti, ma di fatto inesistenti.
In particolare, ci viene ricordato che:
A leggere con attenzione si tratta di una bella sberla a molta della retorica dilagante come evidenziato anche da Gabriele Iuvinale in questo post.
Cerchiamo brevemente di evidenziare i concetti più importanti del messaggio di Bankitalia onde evitare che vengano diluiti e travisati nella narrazione dei partiti politici, di fatto quasi sempre rilanciata e mai messa in discussione dai media più seguiti.
Il messaggio più forte è che il problema di crescita del nostro paese non può essere risolto da nessuno stato imprenditore (men che meno innovatore), ma necessitano di energie, impregno, capitali e ingegno del settore privato che potranno essere mobilitati solo se il governo riuscirà a restituire fiducia alle imprese e ai consumatori e a costruire un ambiente favorevole allo sviluppo.
I ritardi di produttività accumulati non possono essere colmati con politiche monetarie e di bilancio espansive. Queste sono misure di stabilizzazione macroeconomica fondamentali per conseguire livelli adeguati di domanda aggregata, favorire la piena occupazione e mantenere la stabilità dei prezzi, ma non possono di per sé innalzare la dinamica della produttività nel lungo periodo.
Non è nazionalizzando le imprese (bruciando soldi dei contribuenti in aziende morte), congelando in modo artificiale le dinamiche di mercato prolungando oltre il necessario misure come il divieto di licenziamento o introducendo distorsioni per specifiche regioni come la fiscalità di vantaggio al sud che si affrontano i problemi strutturali del nostro paese.
Piuttosto queste misure rischiano di aggravarli rinviando il momento della verità in cambio di un modesto guadagno di consenso nel presente.
Un secondo importante messaggio è che il ritardo delle regioni del sud va recuperato mettendo a disposizione dei cittadini un ambiente nel quale l'applicazione della legge sia garantita e una pubblica amministrazione più veloce ed efficiente prima di qualunque discorso su infrastrutture che, in mancanza dei questi presupposti rischiano di rimanere cantieri aperti senza fine per costruire inutili cattedrali nel deserto.
Nelle regioni meridionali deve innanzitutto migliorare l’ambiente in cui le imprese operano, in primo luogo con riferimento alla tutela della legalità. È più ampio il ritardo tecnologico da colmare, inferiore l’efficacia delle politiche pubbliche, più difficoltoso il completamento degli investimenti. Nel 2014 il 55 per cento dei reati contro la PA registrati dalle forze dell’ordine risultava commesso al Sud, con un’incidenza rispetto alla popolazione residente 2,3 volte più elevata che nel resto del Paese. La realizzazione delle opere pubbliche richiede tempi più lunghi, in particolare per le attività amministrative connesse. Inoltre, il 70 per cento delle “opere incompiute” è localizzato in queste regioni, alle quali fa capo solo il 30 per cento circa dei lavori pubblici.
Ultimo, ma non per importanza il monito intramontabile sul fatto che non esistono pasti gratis: prestiti e sussidi sono utili solo se impiegati per promuovere la crescita futura e per rimuovere gli ostacoli allo sviluppo presente. Se vengono sprecati contribuiscono solo ad accumulare nuovo debito insostenibili portando il nostro paese ancora più vicino al fallimento.
Il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza deve fondarsi anche sull’obiettivo imprescindibile di conseguire un sostanziale, progressivo e continuo riequilibrio dei conti pubblici. A questo può contribuire soprattutto il rilancio della crescita, che sarà possibile solo se le risorse saranno impiegate in maniera produttiva; in caso contrario i problemi del Paese non sarebbero alleviati dal maggiore indebitamento, ma sarebbero accresciuti.
La morale della favola è pertanto che c'è poco da cantar vittoria per un mezzo punto di PIL di crescita in più o in meno rispetto a quanto previsto (soprattutto quando manca ancora un trimestre alla fine dell'anno), mentre c'è invece tanto da fare per non lasciarsi sfuggire la straordinaria occasione data dal Recovery Fund e che per farlo occorre un radicale cambio di rotta rispetto alla miope politica di bonus e salvataggi pubblici a cui abbiamo assistito fino ad ora.