E’ di alcune settimane fa l’annuncio da parte della Turchia della formale richiesta per entrare nei BRICS+ sollevando una serie di domande di carattere economico, politico ed internazionale sulle eventuali conseguenze. Posizione bipolare o lucido calcolo in previsione dell’incontro di Baku di ottobre?
Cosa sono i BRICS+?
Il raggruppamento, al momento della fondazione nel 2009, comprendeva Brasile, Russia, India e Cina; nel 2010 entra a farne parte anche il Sud-Africa (BRICS):. Durante il congresso tenutosi in Sud-Africa (gennaio 2024) altri cinque membri si sono uniti all’organizzazione: Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Iran (BRICS+).
L’importanza dei BRICS+ non è solo legata alla presenza al suo interno di paesi in via di sviluppo e con popolazioni estremamente numerose, ma anche al fatto che oltre a Cina e Russia, al suo interno siano presenti i principali attori di altri continenti, in particolare Sud-Africa e Brasile (“Brics: What is the group and which countries have joined?”).
I paesi componenti vengono considerati in via di sviluppo ma secondo quanto riportato da Bloomberg (Chang) ad oggi i BRICS+ producono il 35% del GDP globale superando di cinque punti il gruppo G7, che si ferma al 30% del GDP globale. La previsione è che la forbice incrementerà da qui al 2050, arrivando al 44% del GDP prodotto dai BRICS+ e con i paesi del G7 che impatteranno per meno della metà (21%). Ciò è in linea con quanto accade per i paesi in via di sviluppo e, nel contesto di questa gara, l’India sembra uscirne favorita, considerando inoltre che da qui al 2050 potrebbe conquistare il ruolo di “capofila” nell’organizzazione.
Inoltre, ad oggi i BRICS+ rappresentano già il 40% della popolazione mondiale (Acharya et al.) ed il valore è destinato, salvo inversioni demografiche, a salire.
I BRICS+ formalmente si presentano come una organizzazione con fini economici e di commercio (Acharya et al.). Tuttavia, in linea con quanto voluto al momento della fondazione da parte della Russia, l’obiettivo dei BRICS+ è anche quello di modificare l’ordine mondiale, tendenzialmente riposto sulle spalle degli Stati Uniti e dei loro alleati (Can).
Paese “cerniera” tra Occidente ed Oriente, nonché repubblica presidenziale, la Turchia presenta una popolazione di 85 milioni di abitanti (17° paese al mondo) composta per il 25% da Curdi ed altre minoranze etniche. La religione principale è l’Islam.
Presenta un indice di GINI pari a 41.9 (disuguaglianza media). E’ membro fondatore dell’OECD, appartiene al G20, all’organizzazione degli Stati Turchi e alla NATO.
Il paese registra l’11° PIL mondiale nonostante con 43.000 dollari annui sia il 46° paese al mondo per PIL pro-capite (Wikipedia).
A livello economico la Turchia ha visto negli ultimi 20 anni (2002-2022) un incremento del GDP del 5,4% (fonte World Bank) ed un calodella povertà di più del 50% (World bank).
Per quanto concerne il commercio, le principali voci in uscita sono petrolio raffinato, macchine e gioielli. I principali paesi importatori sono Germania, USA, Iraq e UK.
Le importazioni principali sono oro, petrolio raffinato, scrap iron e derivano soprattutto da Cina, Germania, Russia, USA ed Italia (https://oec.world/en/profile/country/tur).
Da questi dati economici e di commercio la Turchia appare con un baricentro più spostato verso il blocco occidentale, sbilanciamento reso ancora più favorevole dagli accordi doganali con l’UE (Can).
Se però analizziamo la posizione geografica della Turchia si aprono una serie di considerazioni interessanti. Infatti, l’Anatolia è da sempre considerata una zona cerniera tra Oriente ed Occidente. Appendice dell’Asia con cui confina per la parte orientale, si presenta come una propaggine all’interno del Mediterraneo e proiettata verso il Peloponneso da cui è divisa dallo stretto dei Dardanelli e del Bosforo. Questi sono considerati due dei più importanti punti di snodo del mediteranneo in quanto via di collegamento con il Mar Nero, ovvero uno deglisbocchi marittimi più ambiti dalla Russia. Ed è proprio la Turchia a controllarnei transiti in seguito al trattato dei Dardanelli firmato durante la seconda guerra mondiale.
Ma c’è di più. Data la sua posizione geografica, la Turchia ha assunto un ruolo importante anche nella logistica energetica, mediante la creazione del Turk-stream, una “pipeline” di collegamento fra i giacimenti russi e l’Europa e che vicaria il trasferimento del gasdotti passanti per l’Ucraina ed il “Trans Balkan Pipeline system” (fonte Wikipedia). Il Turk-stream con la sua prima linea riceve circa il 50% del gas dalla Russia, rendendo il paese fortemente dipendente da esso.
La sua posizione geografica, sommata a quella commerciale, sembrano porre le basi per un’ altrettanta posizione intermedia sullo scacchiere internazionale.
Ad oggi sono circa 40 le nazioni che hanno espresso la volontà di entrare a far parte dei BRICS+ (Acharya et al.), 22 delle quali hanno fatto formale richiesta di ingresso. Pertanto la tendenza all’espansione dei BRICS è un dato acclarato, sia con modalità per richiesta che per invito.
La Turchia è un caso a parte, essendo il primo paese che nonostante il proprio legame con il patto atlantico e con in attivo una richiesta d’ingresso nell’Unione Europea avanzi un’istanza di ingresso nei BRICS+.
Secondo alcuni autori (CNBC) questa azione ha una duplice valenza: strategica (Soylu and Eftekhari) e simbolica.
In particolare, può essere indice della volontà di incremento della visibilità della Turchia e per segnalare una maggiore indipendenza nella politica estera e nelle aspettative verso un nuovo ordine mondiale (Wang). La volontà di entrare anche nella Shanghai Cooperation Organization (SCO) è un ulteriore punto a sostegno di questa ipotesi (“Turkey's Role in NATO Comes Under Scrutiny”).
Inoltre, secondo alcuni analisti la Turchia vorrebbe sviluppare delle relazioni complementari per superare eventuali difficoltà (Soylu and Eftekhari) e che non potrebbe sostenere con i soli rapporti occidentali.
Secondo quanto riportato da alcuni rappresentanti del think-thank EDAM il ritardo nei processi di integrazione in EU (Soylu and Eftekhari) potrebbe essere un’altra motivazione dell’avvicinamento della Turchia al blocco orientale. Per questo punto è doveroso sottolineare che le motivazioni del ritardo sono da ricercarsi nella lentezza della Turchia nel raggiungere gli obiettivi minimi richiesti dall’Europa e che hanno portato allo stop attuale che si protrae dal 2018. Come riporta il Consiglio Europeo, i negoziati sono in fase di stallo in seguito ad una “regressione del paese in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali” (“Turchia - Consilium”).
Detto ciò la richiesta di ingresso nei BRICS potrebbe portare ad un allontanamento dall’asse occidentale ed un avvicinamento verso “il blocco orientale”, con conseguente preoccupazione da parte dei paesi occidentali (Wang). Come riportato da alcuni autori, questo può essere visto come un aumento del suo interesse nazionale (Wang) ed economico, nonostante entri in contrasto con le attuali dinamiche di import-export (vedi prima).
Allo stato attuale è difficile valutare quali potrebbero essere le conseguenze dell’ingresso della Turchia e rientra nel dibattito generale sull’espansione dei BRICS+ (Expansion of BRICS: A quest for greater global influence?). Gli interessi sono molteplici ed i rapporti complessi perché multifattoriali e con differenti prospettive. Sicuramente l’ingresso di un nuovo paese relativamente di peso, e dotato di un certo vigore politico, come la Turchia potrebbe portare ad un rallentamento nel processo decisionale interno al gruppo (Expansion of BRICS: question for greater global influence) ma anche ad un aumento del peso specifico dell’organizzazione e quindi a maggiori capacità di definire le agende globali e politiche.
Le conseguenze dell’ingresso della Turchia potrebbero determinarsi da entrambi i lati. Dal punto di vista del “blocco orientale” possiamo ipotizzarne un incremento dell'influenza in aree strategiche (soprattutto Medio-Oriente e Mediterraneo), un processo di accostamento fra blocco orientale ed occidentale ed una maggiore potenza economica degli stessi BRICS+. Inoltre, un maggior numero di membri potrebbe portare ad un aumento del peso per controbilanciare quella che viene considerata “l’egemonia occidentale”.
Dal punto di vista del “blocco occidentale”, invece, l’ingresso della Turchia potrebbe portare ad una ridefinizione degli equilibri globali e ad una variazione dei rapporti con l’Unione Europea. Da non sottovalutare anche le conseguenze nei rapporti con la NATO. Come riportato da NewsWeek tra i due attori non scorre buon sangue ormai da anni;in particolare a seguito della questione S-400 (2020) e dei ritardi nell’ approvazione dell’invio degli F-16 in Ucraina (“Turkey's Role in NATO Comes Under Scrutiny”).
Le dichiarazioni rilasciate sul supporto all’Ucraina e le critiche nei confronti dellla situazione Israelo-Palestinese (sui cui la NATO non si esprime, Ndr) sembrano denotarsi come un ulteriore elemento di allontanamento della Turchia dalla posizione occidentale, seppur sulla questione medio-orientale l’occidente non abbia una posizione univoca (“Turkey's Role in NATO Comes Under Scrutiny”).
Tuttavia, per alcuni autori l’ingresso nei BRICS non significherebbe un allontanamento dalla NATO ma bensì potrebbe portare a dei risvolti positivi. In particolare, permetterebbe di avere al suo interno un paese con una estensione oltre i confini occidentali (Can).
Infine, dal punto di vista della Turchia, questa notevole diversificazione delle collaborazioni regionali e mondiali potrebbe garantire una maggiore tutela in chiave commerciale, di sicurezza e governance (Can). In definitiva, la diversificazione dei rapporti internazionali potrebbe essere sfruttata dalla Turchia per rendere più forte il paese sul piano internazionale.
L’eventuale ingresso della Turchia nei BRICS+ solleva una serie di quesiti circa il suo futuro rapporto con i paesi occidentali, l’allontanamento di un paese NATO dal baricentro atlantico e, di conseguenza, l’avvicinamento ad una posizione molto più “oriento-centrica”.
Per alcuni azione strategica, per altri azione simbolica, l’eventuale ingresso della Turchia nei BRICS+ potrebbe portare a molte conseguenze di difficile valutazione. Ma una cosa è forse più chiara: la diversificazione dei rapporti della Turchia può essere una tattica per incrementare notevolmente la sua potenza, in termini di collaborazioni regionali e mondiali, e rendere il paese più forte sul piano internazionale.